Le mani nude dei Papi contro l’Inutile Strage

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lI Novecento è il secolo in cui il Vaticano non più potenza temporale diviene libero di dire che le stragi sono tutte uguali, indipendentemente da chi le compie. Francesco vuole andare a Kiev.

© Maria Laura Antonelli / AGF
– Papa Francesco

AGI – Era la fine del 1967 e più truppe di terra chiedeva insistentemente a Washington il Generale Westmoreland, impantanato in una risaia. Ma Lyndon Johnson nicchiava, se nicchiare vuol dire arrivare a dispiegare in Indocina 167.000 ragazzi del Minnesota o del North Dakota. Il fatto è che in Vietnam gli Stati Uniti stavano cambiando strategia: non tanto soldati sul terreno quanto bombe dal cielo e si sa, quando cade una bomba è come quando cade la pioggia: chi prende prende. Paolo VI, un diplomatico di lungo corso, guardava esterrefatto l’escalation e colse l’occasione del Presidente americano in visita a Roma per chiedergli se, almeno per il periodo di Natale, non si potesse sospendere il macello. L’udienza ebbe luogo il 23 dicembre: sarebbero bastati tre o quattro giorni, mica di più. Facciamo una decina: sempre pochi sono. Il Vietnam, poi, era nazione dalla forte impronta cattolica. Invece, niente da fare.

Tormentato rapporto, quello tra i papi e la guerra, perchè il Novecento è stato sì il sanguinolento trionfo di von Clausewitz e della sua politica proseguita con altri mezzi, ma è anche il secolo in cui – verrebbe da dire finalmente – il Vaticano non più potenza temporale diviene libero di dire che le stragi sono tutte uguali, indipendentemente da chi le compie. E sono peggio che tutte sbagliate: sono tutte inutili.

Giunge adesso la notizia che Papa Francesco, che ha scomunicato il concetto di Bellum Iustum – come dire? – sic et simpliciter (vale a dire che la guerra non è mai giusta, ma proprio mai) non esclude per nulla di andare a Kiev, dove lo hanno invitato gli ucraini che sono aggrediti dai russi e che però rispondono senza restare con le mani in mano. “Ipotesi sul tavolo”, ha detto andando a Malta. Sarà estremamente interessante, il viaggio, per tanti motivi. Il primo, il più evidente, è la sua portata profetica. Mai un Pontefice si era recato in prima persona, a fermare gli eserciti, se si esclude Leone I alla corte di Attila sul Mincio.

Ma erano sedici secoli fa, e poi oggi gli storici sostengono che, più che il Pontefice, potè il digiuno: Attila non scese a Roma perchè la sua masnada era bloccata da carestia e dissenteria, e in più stava arrivando un esercito bizantino a prenderla alle spalle. Ma questo non conta: Leone I divenne Leone I Magno e chi non è d’accordo applichi pure la Cancel Culture all’affresco di Raffaello nelle Logge Vaticane, se ci arriva. Il secondo motivo è dottrinale: andare in zona di guerra, dalla parte degli assediati, farà chiarezza su un punto, se cioè usare le armi per difendersi sia lecito oppure no, o comunque equiparabile alla guerra (che di per sè è cosa scomunicata). Interrogativi più grandi di noi, che lasciamo volentieri ai teologi e ai giuristi.

Comunque vada, il viaggio segnerà una nuova fase in quella che è l’elaborazione necessariamente lenta dell’idea che la Chiesa ha della guerra. Si parta da lontano, e non solo perchè il cristianesimo antico attraverso le legioni spesso si diffuse in tutto l’Orbe romano. San Maurizio e San Martino di Tours non erano esattamente monaci stiliti. San Bernardo di Chiaravalle, ad esempio, nel 1129 presentò al Concilio di Troyes due cose: la prima la regola di un nuovo ordine di monaci, che guarda caso erano anche guerrieri e si chiamavano Templari; la seconda il concetto – accolto senza problemi dai presenti – che ammazzare un infedele non solo era lecito, ma addirittura “malicidio”. Uccisione, in altre parole, del Male incarcato. Cosa buona e giusta. Truppe di leva e mercenarie vennero usate dalla Chiesa quand’essa era anche Stato; è uno degli aspetti caratterizzanti della sovranità statale e non ci si scandalizzi.

Qualche volta però furono usate anche troppo, da Giulio II come ancor prima da Roberto da Ginevra alla presa di Cesena. Narrano le cronache di come il prelato ordinasse la strage di tutti gli abitanti. Persino Giovanni Acuto, capitano di ventura anglosassone senza troppi peli sullo stomaco, si rifiutò di obbedire a un ordine tanto crudele. Il legato pontificio non se ne curò, e fece procedere con l’eccidio. In Romagna se ne ricordano ancora, con uno dei detti a tutt’oggi più diffusi nelle Legazioni: “Boia d’un cardinale”. Ma, lo si ripeta, altri tempi ed altri stati erano. Le cose sarebbero, fortunatamente, cambiate.

Nella giornata di Porta Pia le truppe pontificie ricevettero l’ordine di opporsi con la carabina. Non per il gusto della violenza, ma per dimostrare che la violenza c’era, sì, ma da parte del Regno d’Italia. Sull’altro lato della barricata ci si era solo difesi. Alla fine i morti, fra gli uni e gli altri, furono una settantina. Insomma, una battaglia in piena regola. Va detto che i papalini non si difesero niente male: cinquanta di quei settanta morti erano bersaglieri. Fu comunque il tramonto non solo dello Stato Pontificio, ma anche dell’idea che la dottrina cattolica giustificasse l’uso delle armi nella risoluzione delle controversie internazionali. Passarono pochi decenni, che sono un soffio per la Chesa, e Benedetto XV gridò alle nazioni che fermassero l’Inutile Strage. Era cambiato tutto: una volta si benedicevano gli eserciti, ora gli si chiede di stare in caserma. E poetava, in contemporanea a Papa Della Chiesa, più banalmente Trilussa: “Chè ‘sto covo de assassini/ che ce insanguina la tera/ lo sa bene che la guera/ è ‘n gran giro de quatrini”. Parole, le une e le altre, che sono rimbalzate sui social più volte, anche in queste ore.

Come sono risuonate del resto anche le parole di Pio XII, che ebbe modo di sottolineare un conflitto mondiale più tardi: “Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra”. Non a caso veniva dai ranghi della diplomazia, e sapeva di cosa parlasse. Diplomatico come il già menzionato Paolo VI, che nel 1965 si recò nella tana del multilateralismo (vale a dire il Palazzo di Vetro) ed esclamò a sua volta “Mai più la guerra!”. Dai papi guerrieri sia era passati ai papi ambasciatori di pace. Svolta irreversibile, che segna più di ogni altra cosa il cambiamento dello spirito dei tempi. Tanto che quel “mai più la guerra” fu ripetuto da un vecchio e stanco Wojtyla nel 2003, quando un gruppo di “giovani leader” (così li chiamò lui, con la sufficienza del Leone che aveva fermato il comunismo) non vedeva l’ora di menar le mani in Iraq. Perchè loro le mani le avevano bene armate mentre i Papi, dal 1870, le hanno nude e Stalin se la rideva al pensiero di quanti divisioni avesse il Papa.

I patti senza spada sono solo parole, e il Leviatano se li divora. Non ci si stupisca, allora, se a questo punto Francesco pensa ad andare di persona a Kiev: a Montini disse di no Johnson, a Giovanni Paolo II Bush e Blair. Volete continuare? Ditemelo in faccia. Perchè se per ballare il tango basta essere in due, si è almeno in due per fare la guerra, mentre per fare la pace bisogna essere tutti. Ma proprio tutti.

 

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