Si deve sapere per una semplice ragione: nei talk show piu’ che giornalisti, nonostante la loro appartenenza ad un ordine professionale, molti sembrano i capi delle opposte tifoserie degli stadi piu’ infuocati. E’ per questo che vengono chiamati: quasi a recitare una parte.
Di Nicola Cariglia
Mi trovo in disaccordo con due amici liberali che stimo e che da tempo collaborano con Pensalibero. Con loro sono stato quasi sempre in sintonia sui principali temi di politica interna, estera, economica e su temi cruciali come giustizia, laicità dello stato, etc.
Ora sul modo migliore di porre termine alla invasione della Russia alla Ucraina e persino sulla Nato siamo in dissenso. Naturalmente i loro articoli continuano ad essere pubblicati e per i nostri lettori non è certo una novità. Del resto, basta andare a vedere nella home page di Pensalibero “Chi siamo” per leggere che “nessuno si sorprenda di leggere articoli che contengono giudizi e soluzioni differenti per gli stessi problemi. Il giornale non ha da imporre alcuna linea. E, per quanto possa interessare, non è in obbligo con alcuno che una qualsiasi linea possa o voglia imporgliela”. Inutile aggiungere che i nostri collaboratori non sono retribuiti e, dunque, sono nella situazione ideale per essere liberi di scrivere ciò che vogliono.
Ma tutto ciò mi offre l’occasione per affrontare un tema in questi giorni cruciale anche grazie alle polemiche suscitate dalle presenze a pagamento nei talk show del prof. Alessandro Orsini. In verità è un tema vecchio, che non nasce con lui.
Giusto pagare professori e giornalisti per partecipare ai programmi televisivi, e, in tal modo provocare una zona grigia, non distinguibile, tra informazione e intrattenimento? Non penso che si possa dare una risposta netta, valida per ogni situazione. Deve essere però chiaro che le polemiche sulla libertà di opinione, per ciò che accade, non c’entrano proprio niente. E chi le alimenta, gridando addirittura al liberticidio e al bavaglio, è proprio di fuori. Perché nessuno attenta alla libertà di parola. Tutti siamo liberi. Il problema riguarda i mezzi di comunicazione di massa che non sono a disposizione di tutti. E, sia detto fuori dai denti, non potranno mai esserlo. Ed è evidente che giornali e televisioni daranno sempre la parola e i microfoni secondo i loro insindacabili criteri e, guardando in faccia la realtà, secondo i loro insindacabili interessi. Ma può valere lo stesso criterio per la RAI, azienda di servizio pubblico, pagata dai contribuenti, visto che il cosiddetto canone è una bugia, trattandosi in realtà di una tassa sul possesso del televisore?
Si tenga conto che i cachet per partecipare ai programmi televisivi sono ragguardevoli. Al prof Orsini pare che la RAI abbia offerto due mila euro a comparsata. Piu’ o meno due mesate di stipendio per giovani che iniziano la loro carriera. Del resto fare buoni programmi o anche solo programmi capaci di alzare gli indici di ascolto non costerebbe meno. Ma che tutto sia trasparente. Sia reso noto che l’ospite viene retribuito. A maggior ragione per i giornalisti. Si deve sapere per una semplice ragione: nei talk show piu’ che giornalisti, nonostante la loro appartenenza ad un ordine professionale, molti sembrano i capi delle opposte tifoserie degli stadi più infuocati. E’ per questo che vengono chiamati: quasi a recitare una parte. Che può anche essere autoimposta, in modo da procurarsi nuovi ingaggi. Dunque, che si sappia quale è l’onorario. Che poi, per i commedianti è l’unico modo per misurare il loro valore.
Nicola Cariglia