Vendite oltre attese, per il settore moda la stima è di un +16% nel primo semestre

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E il 2021 si è chiuso in recupero con 91,7 miliardi di fatturato, ancora al di sotto dei livelli pre-pandemia.

© Agf –

 

AGI – La moda italiana è in decisa ripresa, ma gli imprenditori temono le conseguenze dell’aumento dei prezzi di energia e materiali. Questo il quadro tracciato da Confindustria Moda, la Federazione Italiana che riunisce le associazioni dei settori Tessile, Moda e Accessorio.

Il primo trimestre 2022 si chiude con un rialzo del fatturato del 19,3%, superiore alle aspettative che prevedevano una crescita del +14%. Anche l’andamento degli ordini ha registrato un trend molto positivo, mostrando un +15% rispetto allo stesso periodo del 2021.

Relativamente al secondo trimestre, invece, l’incremento medio delle vendite è atteso nell’ordine del 12,9%, che, sebbene sia una previsione positiva, vede un rallentamento anche a causa delle incertezze sullo scenario internazionale su cui pesano principalmente le tensioni del conflitto russo-ucraino. Con queste previsioni, il primo semestre 2022 dovrebbe archiviarsi con una crescita del fatturato del 16%.

Il fatturato annuo del settore è stimato per il 2021 a 91,7 miliardi: un recupero importante ma ancora parziale dal momento che il gap con i livelli del 2019 resterebbe nell’ordine del -6,4%, corrispondente a -6,3 miliardi in valore assoluto.

Secondo l’indagine, tra le imprese emerge una forte preoccupazione legata al futuro del comparto, perché solo l’8% registra un sentiment positivo sull’evoluzione congiunturale del settore, contro il 49% che confida nella stabilità del mercato e un 43% che prevede un peggioramento.

A pesare sono indubbiamente le preoccupazioni legate al conflitto russo-ucraino, che sono solo in parte legate all’esportazione. Nel 2021 il comparto ha esportato verso Russia e Ucraina beni per 1,72 miliardi (rispettivamente 1,46 miliardi e 0,26 miliardi). Assieme i due Paesi costituivano il decimo mercato di sbocco, con una quota sul totale dell’export pari al 2,5%. Nonostante la quota complessiva sia piuttosto contenuta, alcuni settori e distretti risultano particolarmente esposti.

Secondo lo studio, è pari al 43% del campione la quota di aziende esportatrici su questi mercati: il 61% di queste imprese dichiara che la quota di export nei mercati russo, bielorusso e ucraino è inferiore al 5% del totale vendite aziendali; per il 15% è compresa fra il 5% e il 10%, per il 10% delle imprese è compresa fra il 10% e il 20%.

Solo per l’11% del sottocampione, l’export verso questi mercati è compreso fra il 20% e il 50%, con un restante 3% esposto per oltre il 50% dell’export complessivo.

Gli impatti più pesanti del conflitto sono quindi legati all’aumento dei costi trasversali, di materie prime ed energia. La guerra ha infatti pesantemente aggravato una situazione di aumento complessivo dei costi che rappresenta una seria problematica per le imprese.

 

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