L’inflazione in Italia è arrivata al 6,9%, mai così alta dal 1986

Economia & Finanza

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Si è già esaurito l’ottimismo di aprile, quando il rialzo dei prezzi aveva subito un rallentamento, A pesare è soprattutto il caro-energia. Per la Fabi l’unica soluzione è aumentare gli stipendi.

di Gaia Vendettuoli

© Agf – La spesa al supermercato risentirà dell’inflazione

AGI – A maggio, dopo il rallentamento di aprile, l’inflazione torna ad accelerare salendo del 6,9%, un livello che non si registrava da marzo 1986 (quando fu pari a +7,0%). L'”inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, accelera da +2,4% a +3,3% e quella al netto dei soli beni energetici da +2,9% a +3,7%. Su base annua, accelerano sia i prezzi dei beni (da +8,7% a +9,7%) sia quelli dei servizi (da +2,1% a +3,1%); rimane stabile, quindi, il differenziale inflazionistico negativo tra questi ultimi e i prezzi dei beni (-6,6 punti percentuali come ad aprile).

L’aumento congiunturale dell’indice generale e+dovuto, per lo più, ai prezzi dei Beni energetici non regolamentati (+3,2%), degli Alimentari lavorati (+1,5%), degli Alimentari non lavorati (+1,1%) e dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (+1,2%).

Il governatore della Banca d’Italia ammonisce: se il conflitto in Ucraina dovesse sfociare in un’interruzione nelle forniture di gas dalla Russia, le conseguenze sul Pil sarebbero molto pesanti. L’aumento dei prezzi non era così alto dal 1986

L’inflazione acquisita per il 2022 è pari a +5,7% per l’indice generale e a +2,5% per la componente di fondo. Secondo le stime preliminari, infine, l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca) registra un aumento su base mensile dello 0,9% e del 7,3% su base annua (da +6,3% nel mese precedente).

Vola il cosiddetto ‘carrello della spesa’ a maggio, che si porta a +6,7%, come non accadeva dal marzo 1986 (quando fu +7,2%). Lo rileva l’Istat spiegando che nel mese corrente accelerano i prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona (da +5,7% a +6,7%) e quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +5,8% a +6,7%).

L’accelerazione dell’inflazione su base tendenziale a maggio (+6,9%), dopo il rallentamento di aprile, si deve principalmente agli elevati aumenti dei prezzi dei Beni energetici che “continuano a essere il traino dell’inflazione (con quelli dei non regolamentati in accelerazione) e le loro conseguenze si propagano sempre più agli altri comparti merceologici, i cui accresciuti costi di produzione si riverberano sulla fase finale della commercializzazione”.

Nel dettaglio, l’inflazione corre per l’aumento dei prezzi dei Beni energetici (la cui crescita passa da +39,5% di aprile a +42,2%) e in particolare degli Energetici non regolamentati (da +29,8% a +32,4%; la crescita dei prezzi degli Energetici regolamentati è stabile a +64,3%), dei Beni alimentari (da +6,1% a +7,1%), soprattutto dei Beni alimentari lavorati (da +5,0% a +6,8%), dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +2,4% a +4,4%) e dei Servizi relativi ai trasporti (da +5,1% a +6,0%).

L’inflazione dell’Eurozona vola all’8,1%

L’inflazione annua dell’area dell’euro dovrebbe essere dell’8,1% a maggio, in aumento rispetto al 7,4% di aprile, secondo una stima flash dell’Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea. Considerando le principali componenti dell’inflazione nell’area dell’euro, l’energia dovrebbe avere il tasso annuo più elevato a maggio (39,2%, rispetto al 37,5% di aprile), seguita da cibo, alcol e tabacco (7,5%, rispetto al 6,3% di aprile), dai beni industriali non energetici (4,2%, contro il 3,8% di aprile) e dei servizi (3,5%, contro il 3,3% di aprile). Il dato italiano è al 5,8%.

L’unica soluzione: aumentare gli stipendi

“Ci solo oltre 10 milioni di lavoratrici e lavoratori italiani che aspettano i rinnovi dei loro contratti nazionali e questi rinnovi non possono aspettare anche rispetto a quella che è una rispettabilissima previsione o valutazione dello stesso governatore Visco” ha detto il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, “L’inflazione in Italia ad aprile era il 6,3% nell’area euro era al 7,4% e noi paghiamo una tassa occulta di 110 miliardi di euro su 1.760 miliardi di risparmi depositati nei conti correnti e i primi a pagarne le conseguenze, in termini di perdita di potere d’acquisto, sono proprio quei lavoratori dipendenti che non hanno i loro contratti nazionali e hanno i loro stipendi fermi da anni. Quindi, mettere in relazione l’aumento dei prezzi con un rinvio dei rinnovi dei contratti nazionali magari garantendo loro, a chi lavora soltanto una tantum, io la vedo abbastanza dura. Come organizzazioni sindacali noi vogliamo rinnovare i contratti nazionali che possono mettere a riparo gli stipendi proprio rispetto all’inflazione”.

“I dipendenti pubblici come i privati hanno assoluta necessità di rinnovare i loro contratti. È chiaro che, mentre le aziende private, a iniziare dalle banche, possono agganciare i loro aumenti di stipendio a una produttività e al raggiungimento di determinati risultati, credo che questa situazione possa essere valutata dalle organizzazioni sindacali dei dipendenti pubblici perché il mondo è cambiato, il mondo sta andando avanti e quindi dei cambiamenti rispetto alla produttività e alla redditività di certi settori vanno considerate. Gli aumenti non possono più riguardare soltanto l’aumento dell’inflazione e deve essere un po’ ristrutturata la concezione stessa intellettuale e contrattuale di come vengono rinnovati i contratti perché non si possono rinnovare i contratti partendo dal presupposto che va recuperata solo l’inflazione”, ha aggiunto Sileoni.

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