di Roberto Guerra
D– Giovanni, in questo periodo stai promuovendo quasi in tour il tuo ultimo libro, Azzurre Lontananze- On The Road, tuoi personali diari di viaggi (Irlanda e Islanda in Europa e Pakistan, Mongolia, Nepal in Asia) uno zoom?
Si, in effetti in quest’ultimo periodo sono impegnato in una serie di presentazioni del mio libro, Azzurre lontananze. Tradizione on the road, edito da Iduna (pp. 221, euro 20,00) che raccoglie i miei diari di viaggi compiuti oltre trent’anni fa in giro per il mondo. Il viaggio nella società post-moderna, che vive nei non-luoghi della produzione e del consumo, della mercificazione universale della vita e dell’immaginario individuale messa in atto dalla Forma-Capitale, è stato svilito al ruolo di categoria interna all’industria del turismo. Il viaggiatore, attento al risveglio illuminativo di cui ha detto Thoreau, non è neppure lontano parente del turista.
Questi è un barbaro che parla la lingua del pensiero Unico, l’inglese americanizzato della globalizzazione. Per tale uomo, andare a Kathmandu, a Sidney, oppure a Parigi, è la medesima cosa. Costui non conosce, infatti, l’ubi consistam, spirituale e culturale, dei popoli che incontra. Pertanto, non li rispetta, non comprendendone le scelte di fondo. Il turismo ha un impatto devastante sui paesi in via di sviluppo. Si pensi, tra gli altri, all’inquinamento prodotto in Himalaya dai rifiuti lasciati dalle spedizioni alpinistiche o dai trekking “tutto incluso”, organizzati da apposite agenzie. No, nelle pagine del mio libro mi auguro di aver mostrato che, nonostante la pervasività dell’industria turistica, è possibile, anche oggi, il viaggio consapevole e non casuale. Viaggiare e camminare sono per me forme d’arte. Ne ebbe consapevolezza, nella Germania di fine Settecento, Karl Gottlob Schelle, che scrisse un libro gioioso, L’arte di andare a passeggio.
Passeggiare, così come viaggiare, sono attività che inducono il corpo a un silenziosa collaborazione con l’anima: «in quel momento seria», dedita alle rêverie, alla meditazione. L’atto del passeggiare, del camminare, dell’essere in moto, a dire di Schelle, determinerebbe una metamorfosi interiore: «l’attenzione dello spirito» da seria diverrebbe: «giocosa. Dovrebbe scivolare lieve sulle cose».
L’atteggiamento interiore del camminatore di Schelle è non dissimile da quello del flâneur di Walter Benjamin che, con leggerezza, nell’esperienza del presente, fa riemergere un antico passato. Un sguardo tra-scorrente è quello di chi è in moto, atto a cogliere, come nel pensiero aurorale, non staticizzato dal primato concesso da Aristotele al concetto, la natura come mixis, la sua potenza generatrice e tragica al medesimo tempo. Uno sguardo capace di rilevare l’inscindibile unità di vita e morte, di essenza e di esistenza.
Camminare, viaggiare, andar per montagne rendono l’uomo sempre in fieri, sempre novum come nelle corde del più autentico lógos physikós, del quale tali attività sono organi, momenti di realizzazione. Il titolo scelto per queste pagine, Azzurre lontananze, richiama la titolazione di una raccolta di scritti di Hermann Hesse, indicante in modo mirabile la dimensione dell’Altrove, che abbiamo inseguito viaggiando. Il sottotitolo è On the road e Tradizione.
L’On the road, il viaggio d’avventura condotto con mezzi disparati, facendo l’autostop, servendosi del bus, dell’aereo, a piedi, ha segnato di sé un’intera generazione, quella cui appartengo, che ha fatto della critica della vita artificiale, dell’utilitarismo e del produttivismo dominanti il mondo occidentale, il proprio vangelo. Il viaggio alternativo è stato teorizzato, tra gli altri, da Jack Kerouac in due romanzi notissimi, On the road e I vagabondi del Dharma, i cui protagonisti di fatto appartenevano al movimento Hippie.
Noi abbiamo condiviso tale modalità di viaggio, ma alla dimensione puramente negativa, al rifiuto della società capitalistica, egualitaria, materialista dell’Occidente globalista, abbiamo opposto il mondo valoriale della Tradizione. Ci teniamo a sottolinearlo con forza: è esistita una frangia giovanile che ha esercitato una radicale contestazione al sistema, richiamandosi a Julius Evola, alla Tradizione quale alternativa al presente nichilista e relativista. Nei miei viaggi, come da molti luoghi dei diari si evince, ho interpretato le realtà che, di volta in volta incontravo, alla luce di tale visione del mondo, a volte, è inutile nasconderlo, in modo assolutamente ingenuo!
Queste le motivazioni di fondo che mi hanno indotto a viaggiare, a pormi in cammino, ad andar per montagne. Mi auguro di essere riuscito a trasmettere ai lettori, almeno parte delle emozioni che ho provato in giro per il mondo. Per farlo, nel momento in cui, dopo alcuni decenni, ho deciso di trascrivere questi diari dalle pagine ingiallite dal tempo dei quaderni sui quali, sulla strada, magari sotto lo scrosciare della pioggia o durante nevicate in quota, li avevo composti, ho pensato fosse necessario mantenere inalterato lo stile scrittorio. Esso è frammentario, sincopato, come lo è il ritmo di qualsiasi viaggio: atto a registrare i momenti intensi, così come quelli di “stanca” del mio peregrinare, i momenti di esaltazione e di sconforto, di anelito al nuovo o di nostalgia per ciò che, alla partenza, si è lasciato. Azzurre lontananze è un libro in cui avventura, esperienza escursionistica d’alta quota, si alternano a digressioni inerenti libri, a descrizioni naturalistiche o relative a opere d’arte e monumenti che ho avuto la fortuna di poter ammirare. Non mancano considerazioni di tipo antropologico ed etnologico.