Blinken lascia l’Africa con la nuova agenda Usa in chiave anti-Mosca

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Si è concluso a Kigali, in Ruanda, il viaggio del segretario di Stato americano che ha toccato anche la Repubblica democratica del Congo. La strategia americana punta a un approccio non soltanto militare contro il terrorismo-

di Angelo Ferrari

© Andrew Harnik / Pool / AFP – Viaggio di Antony Blinken in Sudafrica

 

AGI – Si è concluso a Kigali, in Ruanda, il mini tour africano del segretario di Stato americano, Antony Blinken. Un viaggio dettato dall’esigenza di rendere nota la nuova agenda statunitense per l’Africa, ma anche quello di contrastare l’influenza sempre più crescente della Russia.

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Una nuova agenda che Washington vorrebbe caratterizzata da approcci non solo militari contro il terrorismo, per lo meno più “olistici”, evidenziando “i paesi africani che hanno un ruolo geostrategico essenziale e sono alleati cruciali sulle questioni del nostro tempo, dalla promozione di un sistema internazionale aperto e stabile alla lotta agli effetti del cambiamento climatico, all’insicurezza alimentare e alle pandemie”.

Blinken, durante l’ultima conferenza stampa, dopo il faccia a faccia con il presidente ruandese, Paul Kagame, non ha mancato di esprimere, anche, la preoccupazione degli Stati Uniti sulla violazione dei diritti umani in Ruanda. “Come ho detto al presidente Kagame – ha spiegato Blinken – pensiamo che le persone in tutti i paesi devono poter esprime le loro opinioni senza paura di intimidazioni, incarcerazioni, violenze o altre forme di repressione”.

Quello del segretario di Stato era un discorso molto atteso in particolare da quella parte di società civili che si batte per i diritti umani. Ma non solo. Il leader dell’opposizione ruandese Victoire Ingabire ha invitato Blinken a sollevare la “questione dei giornalisti e dei politici incarcerati” per essersi opposti al governo di Paul Kagame.

A tale proposito, Blinken ha espresso la preoccupazione americana anche intorno alla vicenda di Paul Rusebangina, reso famoso dal film “Hotel Ruanda”, che racconta come questo hutu moderato che gestiva l’Hotel des Mille Collines a Kigali abbia salvato più di mille persone durante il genocidio ruandese.

Rusebangina, che gode dello status di residente permanente negli Stati uniti, ha subito un processo con l’accusa di terrorismo ed è stato condannato a 25 anni di reclusione dopo un processo giudicato “non equo” dall’amministrazione americana. In questo mini tour africano Blinken, che è stato un Sudafrica e nella Repubblica democratica del Congo (Rdc), ha affrontato anche la questione spinosa delle relazioni “molto tese” tra Rdc e Ruanda.

Proprio in Rdc ha espresso forte preoccupazione per le notizie “credibili” secondo cui il Ruanda ha sostenuto il movimento ribelle M23.

Una visita, dunque, tesa a trovare una mediazione tra i due stati per porre fine alle violenze nell’est del paese. “Vogliamo che questa violenza nell’est finisca. Rispettiamo la sovranità della Repubblica democratica del Congo” ha sostenuto il segretario di stato americano, insistendo sul fatto che “tutti i paesi devono rispettare l’integrità territoriale dei loro vicini”.

L’M23 è un gruppo ribelle dominato dall’etnia tutsi che si riteneva sconfitto nel 2013, ma che ha ripreso le armi alla fine dell’anno scorso, accusando Kinshasa di non aver rispettato gli accordi sulla smobilitazione e il reinserimento dei suoi combattenti nell’esercito regolare.

Secondo un recente rapporto delle Nazioni Unite l’esercito ruandese è intervenuto contro i “gruppi armati e le posizioni delle forze armate congolesi” dal novembre 2021 fino al giugno del 2022. Fatti sempre smentiti da Kigali.

Con il presidente congolese, Felix Tshisekedi, Blinken ha affrontato anche temi squisitamente economici come lo sfruttamento del petrolio e la questione dei blocchi messi all’asta dal governo di Kinshasa, alcuni dei quali in aree protette.

Il segretario di stato americano ha annunciato che verrà creato un gruppo di lavoro che esaminerà questo problema, tenendo conto, però, che il paese ha “bisogno di risorse aggiuntive, supporto finanziario per fare ciò che è necessario per proteggere le aere protette ma, allo stesso tempo, che ci sia il supporto necessario affinchè la Repubblica democratica del Congo possa svolgere il lavoro di cui ha bisogno”.

Ma è nella prima tappa del viaggio, quella in Sudafrica, che Blinken ha definito la nuova strategia americana per l’Africa, cioè la ricerca di un “vero partenariato”, chiarendo che questa visione non vede il continente africano come l’ultimo campo “da gioco di una competizione tra grandi potenze”.

Il riferimento chiaro è alla Cina e alla Russia. Il viaggio africano di Blinken, infatti, arriva dopo quello del suo omologo russo, Sergei Lavrov, che ha visitato Egitto, Etiopia, Uganda e Congo Brazzaville. Proprio in questo paese il capo della diplomazia russa ha sottolineato la “posizione responsabile ed equilibrata” sul dossier Ucraina.

Un “elogio”, ovviamente, rivolto a tutti quei paesi che si sono astenuti durante il voto di condanna dell’invasione russa dell’Ucraina all’Assemblea delle Nazioni Unite. Lavrov, inoltre, ha annunciato che nella prima metà del 2023 ci sarà un vertice russo-africano per incrementare la cooperazione con il continente. Due narrazioni molto diverse che, poi, devono misurarsi con la prova dei fatti.

Gli Stati Uniti sostengono che una spinta per una maggiore apertura e democrazia nell’Africa subsahariana aiuterà a contrastare “le attività dannose”. è evidente il riferimento alla Cina che sul continente esercita un’influenza che nessun’altra potenza è in grado di esercitare, tanto che l’obiettivo di Pechino è quello di diventare il primo partner commerciale entro il 2030, superando l’Unione europea.

Già nel 2021 l’interscambio commerciale tra Africa e Cina ha toccato la cifra record di 245 miliardi di dollari, un dato in crescita del 35% rispetto al 2020. Ma gli Usa, quando parlano di “attività dannose” si rivolgono anche alla Russia che ha lanciato la sua sfida nel continente tessendo una rete di accordi bilaterali soprattutto in tema di armamenti, cooperazione militare e intelligence, non essendo in grado di competere sul piano economico. La strategia del presidente russo Vladimir Putin fa leva sulla cooperazione di fronte alle “azioni egoistiche” dell’Occidente.

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