Trump e un’indagine sul filo della crisi istituzionale

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Il ministro della Giustizia americano, Merrick Garland: “Ho personalmente approvato la perquisizione ma rivelare l’operazione è stata una decisione dell’ex presidente”. Critico il Wsj: “Rotta una tradizione di 232 anni”. In Ohio un uomo armato ha tentato un’irruzione negli uffici dell’Fbi, era a Washington il giorno prima dell’assalto a Campidoglio-

di Massimo Basile

© MANDEL NGAN / AFP – Conferenza stampa Garland e Biden

 

AGI – L’Attorney general Merrick Garland ha spiegato di aver autorizzato personalmente l’irruzione dell’Fbi nel resort in Florida dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump. In un breve messaggio lanciato tre giorni dopo le perquisizioni a Mar-a-Lago, l’intervento del responsabile della Giustizia arriva nel momento in cui gli Stati Uniti sono sull’orlo di una crisi istituzionale senza precedenti: mai, nella storia americana, l’amministrazione in carica aveva preso un provvedimento giudiziario nei confronti di un ex presidente e potenziale avversario nel 2024.

Il presidente Joe Biden, ha fatto sapere il suo entourage, non era a conoscenza dell’iniziativa dell’Attorney General, ma questo non poteva placare la rabbia dei Repubblicani. L’intervento di Garland segna la prima apparizione pubblica dopo il raid, ma senza riuscire a giustificarlo.

Quel che è successo, che resta clamoroso, può portare a due possibili sviluppi: o durante le perquisizioni sono state trovate prove schiaccianti che potrebbero mettere Trump con le spalle al muro oppure quello che è avvenuto lunedì è il punto di non ritorno di una crisi istituzionale dagli sviluppi imprevedibili.

Garland era stato indicato nei mesi scorsi come l'”uomo debole” dell’amministrazione, accusato dalla base democratica di non aver mai preso ufficialmente posizione nei confronti di Trump, messo sotto inchiesta dalla commissione della Camera che indaga sull’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021.

All’improvviso il responsabile della Giustizia ha firmato l’atto piu’ contestato dell’era Biden, diventando il bersaglio dei Repubblicani, e oggetto di minacce di morte. Secondo alcuni media americani, tra cui il Washington Post, è stata fatta pressione su Garland perché dicesse qualcosa pubblicamente, ma alla fine l’Attorney General si è rifiutato di fornire informazioni sull’inchiesta, lasciando spazio ai dubbi. “Sostenere il valore della legge – si è limitato a dire – significa applicarla in maniera corretta senza paure o favoritismi”.

“Sotto la mia responsabilità – ha aggiunto – è precisamente ciò che il dipartimento Giustizia sta facendo”. Trump e i suoi alleati hanno rifiutato di rendere pubblica copia del mandato di perquisizione, mentre il figlio del tycoon, Eric, ha raccontato che gli agenti non avrebbero consegnato nessun ‘warrant’, limitandosi a mostrarlo ai legali di Trump solo a tre metri di distanza.

Conoscere il testo a questo punto diventa cruciale perchè descriverebbe il materiale di cui gli agenti dell’Fbi erano a caccia e indicherebbe di quali crimini sarebbe accusato Trump. La precisione delle accuse sarebbe un’aggravante per l’ex presidente. La vaghezza lo sarebbe per Garland e, di riflesso, per Biden.

Il tycoon continua a postare sulla sua piattaforma privata, Truth, ma ancora non ha detto se contrasterà o chiederà il rilascio del mandato di perquisizione. Si è limitato a dire che i suoi avvocati avevano stabilito un “buonissimo” rapporto con gli inquirenti federali. “Potevano avere tutto ciò che volevano – ha scritto – bastava chiederlo”.

Il raid viene definito “follia”

Garland, nel suo intervento durato due minuti, ha spiegato di aver deciso di fare un comunicato pubblico perchè Trump aveva già confermato l’iniziativa dell’Fbi e perchè il caso, ormai, aveva assunto un “sostanziale interesse pubblico”. La mancanza di interventi chiarificatori rischia di infiammare il clima già teso del Paese.

Gli oltre trentamila agenti federali si sentono nel mirino, e possibili bersagli, come dimostrato dall’attacco di oggi alla sede dell ‘FBI di Cincinnati, Ohio. Alcuni Repubblicani hanno chiesto di togliere fondi all ‘FBI, altri si sono spinti a chiederne l’eliminazione. Già il fatto di essere arrivati a questo punto, indica come le fondamenta della piu’ grande democrazia al mondo non siano così salde.

L’America è entrata in un momento di prime volte: prima perquisizione contro un ex presidente, prima rivolta contro un organo dello Stato e prima volta in cui il rischio di una guerra civile, innescata da atti isolati di terrorismo, possa condurre il Paese verso il buio.

E questo avviene nel momento in cui anche i giornali piu’ progressisti, come il New York Times e il Post, avanzano dubbi sulla validità del raid. Non solo ha fornito Trump un motivo per rivendicare il fatto di essere nel mirino dei suoi avversari, ma potrebbe sgombrare il campo dei candidati che si stavano preparando a sfidarlo alle primarie, come il governatore della Florida Ron DeSantis, forse il maggiore avversario, l’ex vicepresidente Mike Pence, il senatore del Texas Ted Cruz e l’ex governatore del New Jersey Chris Christie.

Con l’esclusione del leader repubblicano al Senato, Mitch McConnell, che ha mantenuto un eloquente distacco, tutti i big si sono schierati al fianco di Trump, attaccando l’amministrazione Biden per un’operazione da “Repubblica delle banane” e “Paese da terzo mondo”. Di fatto l’ex presidente ha ricompattato tutti attorno alla propria figura “messianica”. Per gli altri potenziali aspiranti alla Casa Bianca diventerà difficile proporsi come alternative a un uomo riconosciuto da milioni di americani come un “perseguitato” dalla “infinita caccia alle streghe” dei Democratici.

Il blitz dell’Fbi, non solo nei modi mai nei tempi, ha finito per produrre un danno collaterale a Biden: dopo mesi di insuccessi, gaffe, polemiche e sondaggi disastrosi, proprio quando era arrivata la prima settimana di successi, in cui l’inflazione è arretrata ed è stato approvato il piano sul clima atteso da quasi un anno, l’America parla solo del blitz a Mar-a-Lago. Da oggi Biden e la first lady sono ufficialmente in vacanza, ma forse non pensava di arrivarci con lo spettro di una crisi istituzionale.

Il giudizio del Wall Street Journal su Garland

Un’iniziativa che ha rotto una tradizione istituzionale che durava da 232 anni e una conferenza di due minuti che ha lasciato più dubbi che certezze. È il severo giudizio sull’Attorney general Merrick Garland espresso dal Wall Street Journal in un editoriale uscito sull’edizione online del giornale finanziario newyorkese. Il commento segue il breve messaggio con cui Merrick, in due minuti e senza rispondere alle domande dei reporter, ha giustificato la perquisizione da parte dell’Fbi nel resort in Florida di Donald Trump, il primo del genere nella storia americana.

“Chi dice – si chiede il Wsj con sarcasmo – che Merrick Garland sia un politico naif?”. Il board del giornale sottolinea come il responsabile della Giustizia abbia spiegato di “aver chiesto al giudice federale di rendere pubblico il contenuto del mandato di perquisizione”, gettando nuove ombre su Trump con un messaggio di “apparente trasparenza”. Garland farebbe intendere che Trump, non volendo mostrare il mandato di perquisizione, “potrebbe nascondere qualcosa”, “ma il mandato di per sé – sostiene l’editoriale – non è una prova di colpevolezza”.

Il documento, una volta reso pubblico “getterà un po’ di luce sulla storia, ma sarà solo una parte della storia”. I precedenti – dal controverso dossier Steele sulla presunta ingerenza russa nelle elezioni del 2016 al flop delle accuse dell’ex super procuratore Robert Muller – secondo il Wsj hanno portato gli americani a dubitare dei teoremi e ora “vogliono vedere le prove”.

Nell’editoriale emerge la speranza finale che queste prove ci siano davvero e si rivelino solide, a prova di scetticismo, altrimenti il blitz a Mar-a-Lago avrà “scatenato le forze politiche e un precedente legale di cui potrebbero pentirsi sia i Democratici sia Trump”.

 

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