Intervista in esclusiva allo scrittore genovese Marcellino Dini

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Nell’articolo dello scorso 6 dicembre, su questa testata abbiamo dato notizia della pubblicazione, per i tipi di Bertoni editore di Corciano (PG), del nuovo libro di Marcellino Dini (*), dal titolo: “Il moschetto appoggiato al cielo. Il cammino di un piccolo uomo di pianura all’indomani dell’armistizio” (**). Un’opera attuale che, raccontando della guerra, ci insegna che nessuno di noi risulta definitivamente immune dal pericolo di un conflitto. Ne è prova il dramma cui purtroppo ancora oggi assistiamo, non esistendo i buoni per sempre o i cattivi per sempre, esistendo solo la guerra in troppe parti del mondo. Ecco questi sono i sentimenti che hanno animato l’autore, portandolo a farci scoprire la storia vera di un piccolo uomo lungo tortuose vicende accadute ottant’anni fa, durante un’epoca drammatica, di quelle che speriamo di esserci lasciati alle spalle. In esclusiva per i nostri lettori, ci rilascia la seguente intervista.

Truppe italiane in una drammatica scena dell’Armistizio dell’8 settembre ’43

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  • D: Quando, con quale finalità, a partire da quale contesto ha deciso di scrivere il volume?

R: Tre anni fa, quando morì l’ultimo mio familiare, testimone di quel periodo: 1943-1944. La finalità principale fu quella di far conoscere a mia figlia – allora poco più che ventenne – alcune peculiarità caratteriali ed esperienziali di suo nonno paterno, mio padre. Tra loro c’era un rapporto speciale. Decisi che il periodo che andava dal 8 settembre del 1943, al luglio 1944 – la guerra civile seguita all’armistizio di Cassibile – sarebbe stato il contesto migliore per raggiungere lo scopo. Mentre scrivevo mi rendevo conto che la storia del protagonista era comune a molti giorni vissuti in quel periodo e contesto storico. Allora decisi di pubblicare.

  • D: Quali sono i contenuti e i protagonisti in generale del volume?

R: Quanto scritto è una cronaca, è storia, tutt’altro che romanzata. Cercai dunque di trascrivere la vicenda sulle pagine, cercando di auto-purgare la stesura del testo di ogni sentimentalismo derivante dal legame col protagonista. I contenuti non sono politici – o almeno non lo vorrebbero essere – ma pratici: sopravvivere e tornare a casa muovendosi in uno scenario generale pericoloso ed in un ambiente molto spesso ostile. Accanto al protagonista principale, un fante fuggiasco, si muovono figure controverse per ruolo sociale, ceto, colore politico, carattere, motivazioni diverse a ricoprire il proprio ruolo: militari fuggiaschi, miliziani della RSI, tedeschi, popolani, partigiani, un prete comunista, esponenti della Benemerita, e infine, ma forse prima di tutti, la famiglia del protagonista stesso.

  • D: Quale metodo ha seguito per le necessarie ricerche e la stesura?

R: Le ricerche hanno avuto inizio dall’Archivio di Stato di Firenze con la richiesta e la visione del foglio matricolare del protagonista. Poche e frammentarie sono state invece le informazioni ricevute da questi. Non parlava mai volentieri di quel periodo. Ho cercato quindi di raccogliere le testimonianze verbali di altri testimoni suoi paesani e visive della mia infanzia per completare od integrare i pochi episodi raccontati direttamente dal protagonista. Anche in questo metodo ho cercato di liberare ogni ricordo dalla briglia dell’affetto che mi lega a lui.

A questo ho aggiunto un meticoloso lavoro di ricerca storica degli scenari in cui il protagonista si mosse 80 anni fa. Mi riferisco a: esponenti della resistenza sull’appennino tosco-emiliano; stato del Regio Esercito e caserme nella zona di Imperia-Sanremo; movimenti di militari tedeschi in Italia centrale; attività degli esponenti della RSI; schieramenti di truppe nel fronte in Valdichiana; condizioni della gente comune in questo contesto travagliato, difficile, ambiguo e incerto. In ultimo, ma non meno importante, ho percorso a piedi in più giorni parte del tratto appenninico dove nel 1943-44 operavano le formazioni partigiane.

  • D: Chi ha eseguito la verifica delle fonti e della coerenza storiografica del volume?

R: Principalmente l’Agenzia “Germogli Letterari” che ha curato l’editing. Anche la conoscenza e la competenza di uno storico esperto in storia militare italiana, mio amico, al quale mi sono rivolto, ha potuto completare la coerenza storica. La verifica finale, sempre curata dalla suddetta Agenzia Letteraria, è stata compiuta mettendo a confronto i racconti dei testimoni con le conoscenze storiche codificate in diverse autorevoli pubblicazioni riportate nel testo con opportune note.

  • D: Quale è dal suo punto di vista il taglio che ha voluto dare all’opera? Valori e limiti della memoria?

Il taglio è la semplicità. Oggi più che mai occorre tenere vivo il ricordo della storia del nostro Paese. Ho cercato di scrivere nel modo più elementare possibile questa cronaca di un “cammino” non voluto dal protagonista, affinché le parole scritte possano essere comprese dalle attuali generazioni che poco o nulla sanno delle dittature e le loro conseguenze. Talvolta, ahimè, la dietrologia inquina la storia con realtà distorte o strumentalizzate. Non sono un politico e nemmeno un romanziere, pertanto ciò che si legge nel mio lavoro è pura testimonianza di un giovane uomo, un popolano bracciante, semplice, ma non sprovveduto, che voleva tornare a casa. Questo, per me, è già un valore. Il limite è stato rappresentato dalla ritrosia del protagonista nel raccontare i fatti. Il dolore, i patimenti, la paura di quel periodo lo avevano segnato molto. Ricostruire lo scenario dell’Italia di 80 anni fa senza cadere nella dietrologia – spero – ma limitarmi ad esporre le vicende in cui questi era rimasto coinvolto, non è stato facile.

  • D: A distanza di quasi 80 anni dai fatti descritti, che cosa pensa del fatto che gli stessi fatti abbiano in generale ormai uno scarso appeal sulla gente, in particolare sui giovani?

R: Ogni tempo è condizionato dagli eventi e questi ultimi condizionano il pensiero. Oggi si morde e si fugge, quindi, inevitabilmente, si gusta poco. La fretta ha distorto la percezione del tempo e delle distanze. Pertanto, credo che “del culto della memoria”, che è una delle espressioni del tempo trascorso, ci si debba riappropriare, soprattutto i giovani. Ricordare è uno degli strumenti per apprendere, valutare, confrontare, capire e scegliere. Dovrebbe già essere insegnato dalla famiglia e proseguito nel percorso scolastico. Incuriosire, affascinare, stimolare attraverso testimonianze genuine, come quella del protagonista del mio lavoro, potrebbe essere la strategia migliore per riaccendere nei giovani la curiosità verso il tempo che fu.

  • D: Sempre a distanza di 80 anni, considerata tutta la storia successiva fino alle complicate attuali vicende nazionali ed internazionali, non crede che sia giunta l’ora di liberare la narrazione del periodo della II GM e della guerra civile ’43-’45 dal gravame delle sovrastrutture ideologiche, dalla logica perversa degli opposti “ismi”, per renderle alla luce della loro essenzialità (i caduti, giovani manipolabili o con i propri ideali poi spesso traditi, la sofferenza delle popolazioni, gli orrori della guerra, ecc.) al fine di una effettivamente effettiva riconciliazione nazionale ma non solo?

R: Non credo che potrà mai esserci una cancellazione totale del ricordo di quanto è avvenuto nel nostro paese 80 anni fa e da 80 anni fa. E forse deve essere così. Gli orrori del nazifascismo, l’antisemitismo, la violenza che ne è seguita, sono ancora vivi e, peggio ancora, si ripetono. La testimonianza del protagonista, nel mio lavoro, viene proposta al lettore con semplicità e genuinità fedeli al suo pensiero e allo scenario storico di uno dei periodi più ambigui del nostro paese. Credo che questa peculiare scelta di esporre i fatti sia un esempio di libertà della narrazione stessa. Non è forse anche un esempio di riconciliazione? Lo stesso protagonista non portò mai rancore, né per i nemici, né per i paesani in camicia nera. Il lettore lo capirà scorrendo il testo.

  • D: Che cosa ci dice riguardo agli altri suoi libri in tema di resistenza o altri (se ce ne sono)? Programmi futuri?

R: Le mie precedenti pubblicazioni non hanno trattato il tema della Resistenza. Ne “La pietra scritta di Senarega” si fa un accenno solo marginale alle formazioni partigiane impegnate nella guerriglia nelle valli dell’Antola e del mito di Aldo Gastaldi, in quanto il racconto si dipana in quel territorio. Progetti futuri? Un racconto ambientato sull’Alta Via dei Monti Liguri nel quale le protagoniste saranno principalmente donne.

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(*) Profilo biografico dell’autore.

Marcellino Dini

Marcellino Dini (1958) è tecnico radiologo e docente universitario, attualmente in pensione. Appassionato di fotografia, escursionismo e storia del territorio, ha all’attivo svariate pubblicazioni, in ambito narrativo e didattico-scientifico.

(**) La copertina del volume

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