Cina: così i bot di Twitter hanno soffocato i video delle proteste

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Twitter poteva essere il contenitore di un mese di proteste che hanno infiammato la Cina ma i video postati sulla piattaforma sono stati soffocati dai bot, dallo spam e dai contenuti per adulti
© Noel CELIS / AFP
– Proteste contro i lockdown in Cina

 

AGI – Potevano essere le testimonianze del disagio legato alle rigide misure anti Covid imposte dal governo centrale e della voglia di libertà dei cinesi, al pari dei filmati delle rivolte legate alla Primavera Araba che presero a circolare su Facebook nel 2010. Twitter poteva essere il contenitore di un mese di proteste che hanno infiammato le città del gigante di Pechino. Poteva.  Se i video postati sulla piattaforma non fossero stati soffocati dai post di bot, dallo spam e dai contenuti per adulti. Una campagna così pervicace da finire in primo piano quando si attivava una ricerca sulle grandi città del Paese della Grande Muraglia. È quanto emerge da un’analisi del New York Times, che riporta in primo piano uno dei temi centrali prima e dopo l’acquisizione della piattaforma da parte di Elon Musk: gli account falsi (meno del 5% della sua base di utenti, ha sempre sostenuto la società).

Prima della chiusura dell’operazione, perché il tycoon di Pretoria ha sempre sostenuto che fossero troppi (distorcendo di fatto il valore della piattaforma). Dopo, perché senza politiche di moderazione, senza più una centrale di controllo e con una piattaforma alla deriva, il numero degli account finti è decollato. Secondo il New York Times il caso cinese ne è un esempio. Centrale nella faccenda il fatto che gli account falsi e i post erano tutti in lingua cinese: difficili da arginare, se non hai una struttura adatta. Musk aveva dichiarato che il controllo dei robot era una “priorità assoluta“, ma nelle settimane successive all’acquisizione dell’azienda, ha dimezzato la forza lavoro del microblogging. Ha anche sciolto il Trust and Safety Council dell’azienda, un gruppo formato nel 2016 per affrontare l’incitamento all’odio e altri problemi su Twitter.

L’analisi del Times è partita dal motore di ricerca di Twitter. Ha cercato sulla piattaforma 10 città cinesi e ha esaminato i risultati. “I bot – si legge – erano attivi ovunque, anche per le città in cui non si sono svolte proteste”. Il Times ha anche cercato sei nomi di città al di fuori della Cina utilizzando l’inglese e il cinese semplificato. “Solo le ricerche in inglese erano esenti da spam bot”. L’analisi del quotidiano ha incrociato lo studio pubblicato a inizio settimana da David Thiel, ricercatore dello Stanford Internet Observatory. Thiel ha esaminato milioni di tweet cercando 30 città cinesi e ha scoperto che i bot erano attivi prima dell’inizio delle proteste e continuavano dopo che le agitazioni erano diminuite.

“Come spesso accade – ha spiegato in particolare a proposito delle proteste a Urumqi, Shanghai, Pechino e Guangzhou – le persone si sono rivolte a Twitter per saperne di più. Tuttavia, durante la ricerca dei nomi cinesi di queste città, molte persone hanno notato che le notizie sulle proteste erano difficili da trovare a causa di un diluvio di spam e contenuti per adulti che utilizzavano quei nomi di città come hashtag”.

Come si riconosce un account falso? Ci sono elementi alcuni elementi ricorrenti: il banner con  una foto insolita (palesemente presa da Internet), un profilo femminile, un handle che consiste in un nome seguito da numeri, la descrizione del profilo che rimanda ad un canale Telegram e a link a servizi, i tweet poi che account di questo tipo rilascia di solito contengono materiale per adulti, frasi monche e senza senso, immagini replicate.

Già, ma chi c’è dietro la montagna di spam che ha tolto visibilità alle proteste? Il New York Times e David Thiel non hanno prove a sostegno che si tratti di una campagna orchestrata dal governo di Pechino. Il ricercatore ritiene che “mentre lo spam ha soffocato i legittimi contenuti relativi alle proteste, non ci sono prove che sia stato progettato per farlo, né che sia stato uno sforzo deliberato da parte del governo cinese”.

Tuttavia il quotidiano ha rilevato somiglianze tra la campagna relativa alle proteste e quelle campagne di propaganda, “che tendono a utilizzare sciami di bot per sopraffare i post autentici nei risultati di ricerca”.  Gli account spam possono anche essere acquistati e riutilizzati dai governi dal mercato dei bot, rendendo difficile stabilire se una campagna è commerciale o politica. I costi? Irrisori. Ci sono aziende che per 1400 dollari al mese sono in grado di orchestrare una campagna pubblicitaria su Twitter che coinvolge 200 account bot, che twitteranno almeno 150 volte al giorno: un post ogni 5-10 minuti.

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