Nell’immortale poema Dante affronta le mille domande esistenziali che da sempre l’uomo si pone come quale sia il senso della vita e nel dipanarsi delle varie vicende dei personaggi si sviluppano approfondimenti morali, filosofici, teologici che indagano l’uomo ed il suo rapporto con Dio e con gli altri uomini. Nulla è lasciato al caso e tutto nell’universo risponde ad un ordine sacro, anche quando sembra che il male vinca la Provvidenza Divina opera. In questa visione armonica la conoscenza di Dio diventa ricerca e conoscenza di sé. L’uomo è una creatura divina in quanto fatta ad immagine e somiglianza di Dio ( Genesi 1,26), raggiunge la sua piena realizzazione solo quando entra in comune unione con Cristo (Gv 15,4), dotata di libero arbitrio perché il Dio dell’Amore è il Dio della libertà: il vero amore rende sempre liberi e felici. Questo Dio non si impone vuole essere cercato, scelto, amato e avere il primo posto nel cuore della sua creatura ( Matteo,7,7-11). Il peccato più grave che l’uomo possa commettere è rinnegare la propria natura divina di figlio di Dio abbandonandosi ad azioni malvagie che lentamente uccidono l’anima. Se l’Inferno è la rievocazione delle umane miserie che si traducono in una vita materialista, corrotta degradata, malvagia, una vita colpevole per il perseverare dell’uomo nei suoi comportamenti contro le leggi di Dio e dell’uomo, un’esistenza priva di pentimento e di speranza che porta alla morte di quella scintilla divina fin dal principio presente nell’uomo, il Purgatorio al contrario rappresenta quella umanità fragile, confusa nella sua limitatezza ed incapacità di elevarsi da sola verso valori morali e divini più grandi. Ma è comunque l’umanità che cerca, che si interroga sulla vita, che non si ferma alla materialità della vita , che non è passiva e alla fine riesce a fare un salto di qualità nel grigiore della sua quotidianità e ad intravedere la Luce Divina che trasfigura e riscatta anche una intera vita da peccatore grazie a quell’ultimo minuto di ravvedimento, speranza e fede. Come accade al ladrone pentito crocifisso insieme a Cristo, che la Misericordia e la giustizia divina, incomprensibili alla limitatezza umana, portano direttamente in Paradiso. Tra i vari peccatori pentiti del Purgatorio vi sono anche quelli che nelle sacre scritture vengono definiti i tiepidi e qualche volta anche i così detti freddi. L’uomo tiepido è l’accidioso colui che è pigro nell’operare, indolente verso le cose che riguardano l’amore di Dio e la vita spirituale. Egli vive nel languore, vorrebbe impegnarsi spiritualmente e fuggire il peccato, colpevole di scarso amore per il bene teme la fatica della virtù e manca di carattere e volontà per combattere i vizi. Questi penitenti scontano la loro pena nella IV Cornice del Purgatorio lungo la quale sono costretti a correre a perdifiato gridando alternativamente esempi di sollecitudine e di accidia punita, incitandosi a non perdere tempo per poco amore. La loro pena è descritta nel XVIII canto e fra essi vi è l’abate di San Zeno a Verona. Il grande aretino, alcuni decenni dopo la morte di Dante, descriverà nel Secretum i suoi profondi conflitti interiori e la sua sofferta condizione di accidioso in un mondo già culturalmente molto cambiato rispetto agli anni in cui visse il sommo poeta.
Questo stato dell’anima si traduce nell’ingratitudine verso Dio e nell’abuso delle sue grazie ed è molto pericoloso perché genera una falsa tranquillità della coscienza che porta facilmente in un mortale letargo spirituale da cui l’uomo non viene scosso né dalle promesse né dalle minacce. Come dice papa Francesco i tiepidi sono convinti di essere ricchi mentre invece sono dei miserabili ; Dio cerca continuamente di svegliare gli uomini dal torpore, dal sonno. Bisogna cercare di non diventare dei ”cristiani tiepidi” perché bisogna essere vigili per capire quando “ Cristo bussa alla nostra porta”. Così accade che , come dice l’Apocalisse nelle parole che lo Spirito rivolge alla Chiesa di Laodicea (Ap.3,15-16), pur essendo lo stato di freddezza peggiore per le gravi colpe esso sia preferibile alla tiepidezza perché è più facile convertire un grande peccatore che scuotere un’anima tiepida dal suo torpore. La tiepidezza provoca lo sdegno di Dio perché è il rifiuto della sua Grazia. Il tema della Grazia divina è affrontato molte volte nel poema, in modo diretto ed indiretto. È la Grazia divina, che si esprime attraverso la sollecitudine della Madonna, a salvare il poeta dalla ” seconda morte” verso cui stava inesorabilmente scivolando.
La Grazia è in fondo il tempo che ci è dato da vivere e che va vissuto nella gioia, in pienezza e verità, amandoci ed amando, perfezionandoci ed impegnandoci sia nell’elevazione spirituale che nel migliorare il mondo mediante il concreto operare insieme agli altri uomini giusti, perseguendo non il proprio interesse, ma il bene della comunità. Questo è in fondo il messaggio che Dante lascia all’uomo del suo tempo e del futuro. Se l’uomo si salva, in qualsiasi condizione di peccato, è sempre per la Misericordia divina. In fondo la Divina Commedia è il poema della Misericordia che riesce ad operare là dove c’è il “ Si” dell’uomo ed opera sempre in modi imperscrutabili per i mortali. Nella sua etimologia dal greco antico misericordia significa guardare col cuore cioè compenetrarsi nell’altro, amarlo incondizionatamente, abbracciarlo nella sua totalità, senza giudicare nulla di lui. Chi è capace oggi di amare così? Un tempo si diceva la mamma, ma oggi la corruzione dei costumi e la stessa società hanno relativizzato anche questa figura fondamentale per l’uomo. Il mondo per fortuna, allora come oggi, è abitato anche da uomini giusti, che in ogni tempo della storia umana hanno combattuto le ingiustizie e difeso la dignità umana anche a rischio della propria vita, opponendo alla “banalità del male” la banalità del bene, sono le grandi anime che ardono d’amore per Dio ( Rm 12,11) e come una torcia inesauribile più danno amore ai loro fratelli più si arricchiscono d’amore perché come insegna la “ Preghiera semplice” attribuita a San Francesco d’Assisi: “solo donando riceveremo”. Questi hanno imparato a dare al Signore il primo posto nel loro cuore( Mt 10,37-42) e la loro piena felicità sta nel conformarsi alla volontà del Creatore, come testimonia Piccarda Donati a Dante nel terzo canto del Paradiso, vv. 70-87. Sono queste persone, ricolme di Spirito Santo, che con parole ed azioni straordinarie riescono a influenzare la storia degli uomini e a diventare fari per l’umanità attraverso i secoli come il Santo d’Assisi e San Domenico, celebrati dal poeta nei canti undicesimo e tredicesimo del Paradiso. I valori cantati da Dante sono universali e per questo la sua opera è e sarà sempre attuale.