I rapporti Istat del 2023 su scuola e giovani sono sconfortanti, innanzitutto gli indicatori del benessere dei giovani italiani sono tra i più bassi d’Europa, istruzione e lavoro sono i punti critici: quasi un quinto di chi ha tra i 15 e i 29 anni, non studia, non lavora, non è inserito nei percorsi di formazione, i cosiddetti Neet. L’incidenza dei Neet diminuisce al crescere del titolo di studio ed è maggiore al sud. I dati sulla scuola dicono che più dell’undici percento dei nostri ragazzi ha abbandonato nel 2022 senza ottenere un diploma secondario superiore, ad abbandonare sono soprattutto i maschi. Il fenomeno della dispersione scolastica deve essere contrastato sul campo dagli insegnanti con atteggiamenti e comportamenti positivi e coinvolgenti, con una didattica inclusiva, motivando costantemente gli alunni ricorrendo ad una valutazione formativa in quanto essa è per l’apprendimento attraverso la pedagogia dell’errore che lascia libertà espressiva agli alunni. L’errore non è negativo perché da esso si impara, fa venir fuori le criticità da cui bisogna partire per scegliere insieme le strategie adeguate onde risolvere il problema.
Spesso i problemi di apprendimento non dipendono dalla dimensione cognitiva del singolo alunno, ma dalla sua personalità più debole che alla prima difficoltà si arrende magari per non fare brutta figura con i compagni; per tale motivo è importante che il docente incoraggi e valuti positivamente anche il piccolo miglioramento, mostrando all’alunno il suo apprezzamento e infondendogli fiducia nelle sue possibilità. Non bisogna dimenticare la complessità del mondo adolescenziale dove l’ansia, la rabbia, la paura di essere giudicati o non accettati, la frustrazione la fanno da padrone e nuocciono ai ragazzi e alle ragazze che ancora non sanno riconoscere e gestire le loro emozioni. Bisogna quindi promuovere l’educazione socio emotiva aiutando gli alunni, col dialogo ed il confronto, a riconoscere le loro emozioni, a capire come affrontarle ed esprimerle; in tal modo è possibile contrastare anche l’incapacità appresa che si traduce nella tipica affermazione: ”non sono capace” e impedisce agli alunni di mettersi in gioco per paura di sbagliare. Sta al docente far capire al ragazzo demotivato che tutto dipende dall’adozione di strategie che funzionano come l’acquisizione di un buon metodo di studio. Diventa centrale la didattica meta cognitiva che insegna come imparare bene ed in un tempo ragionevole sfruttando le variabili individuali e quale è il ruolo della memoria e lo stile d’apprendimento che è diverso da alunno ad alunno. Soltanto rendendo gli alunni consapevoli di come funziona la loro memoria, di quali metodi adottare per potenziarla, di quali siano le variabili psicologiche, di come strutturare il proprio studio, è possibile far sviluppare una tecnica di apprendimento per la vita; non è un caso che spesso gli alunni più preparati vadano in crisi all’università perché non hanno sviluppato un metodo di studio adeguato. Davanti alle singole problematiche l’insegnante deve sapersi porre nella zona giusta di intervento, si deve sincronizzare con l’area di sviluppo prossimale che è diversa da alunno ad alunno e sta al docente individuarla e adeguarvi il metodo per aiutare e agganciare l’alunno rimasto indietro. Un ruolo centrale per il superamento delle difficoltà ha l’apprendimento cooperativo perché il ragazzo che ha problemi è più nella zona di sviluppo prossimale dei suoi compagni, perciò spesso la spiegazione di un compagno è più efficace. Il compagno affronta il problema in modo diverso dal docente e ciò è importante perché il rendimento è molto influenzato dagli atteggiamenti. Il rapporto con i compagni è fondamentale per determinare il successo formativo, molti adolescenti abbandonano perché non si sentono valorizzati dai propri compagni. Per stimolare la partecipazione di tutto il gruppo classe è molto utile la didattica ludica a quiz dividendo gli alunni in più squadre, con risposte a tempo; dà sempre ottimi risultati e vi è un alleggerimento dei contenuti. Anche i giochi di ruolo sono utili per problematizzare e stimolare la curiosità che a sua volta sviluppa le capacità attentive. Interessante pure l’apprendimento basato sull’investigazione, è molto utile perché si passa da cose dette a domande fatte. Il disagio scolastico a volte porta alla dispersione e non c’è classe in cui non ci sia una situazione di disagio, anche se temporanea. Purtroppo nessuno ha soluzioni definitive; talvolta l’alunno non vuole essere educato perché non vuole studiare o fare nulla, l’importante è che il docente si adoperi sempre al meglio. Quella dell’insegnante è una delle professioni più complesse, difficili e delicate, non solo perché richiede molteplici competenze che vanno da quelle normative, legislative, psicopedagogiche, metodologiche e didattiche oltre alla piena padronanza della propria disciplina, ma anche perché richiede la capacità e disponibilità a mettersi in gioco giorno per giorno adeguandosi alle molteplici realtà. Il docente deve plasmare e formare la materia più ricca, mutevole, preziosa, fragile e dura: i nostri figli, i cittadini di domani. Il ruolo che l’insegnante è chiamato a svolgere si affianca a quello della famiglia e diventa uno dei momenti centrali, in questa età cosi critica e ricca di cambiamenti, per una serena crescita e formazione degli uomini e delle donne di domani. Si ha a che fare con molteplici sensibilità ed intelligenze a cui si aggiunge una complessità dinamica in quanto gli alunni sono nell’età evolutiva. L’insegnante è colui che lascia un segno senza neanche accorgersene, a volte per il suo atteggiamento, per il modo in cui si pone, per la sua capacità di ispirare fiducia ed autostima anche quando la verifica non è andata bene, perché tutti possiamo migliorare. L’insegnante lascerà il segno anche quando sbaglierà. Spesso il seme piantato il tempo lo farà nascere anche molto tardi.
Recita un vecchio adagio orientale: quando pianti per un anno pianta grano, quando pianti per un decennio pianta alberi, quando pianti per la vita coltiva ed educa persone.