Lettera aperta di Rete SupeRare al Ministro dell’Istruzione e del Merito, prof. Giuseppe Valditara

Scuola, Formazione & Università

Di

Per garantire l’inclusione scolastica, quale valorizzazione del potenziale umano, è sufficiente stabilizzare insegnanti di sostegno formati?

Caro Ministro,

abbiamo letto con attenzione i suoi propositi per migliorare l’inclusione scolastica attraverso una riforma del sostegno.  Lei ha precisato che l’insegnante di sostegno deve servire a far emergere i talenti e la ricchezza che c’è in ogni ragazzo, per fare questo non può che essere una persona adeguatamente formata e garantire, altresì, continuità nel tempo.

Spesso questi, come altri annunci, hanno aperto dibattiti con commenti e/o discussioni facenti riferimento ai diritti sindacali del corpo docente (ovviamente sacrosanti, ci teniamo a dirlo), poche sono state però le analisi entrate nel merito del focus primario dell’agire educativo e cioè il singolo discente con disabilita’. Gli obiettivi delineati, quali la valorizzazione della persona che c’è dietro la sua disabilità, sono sicuramente da noi condivisi, ma ci chiediamo: stabilizzare gli insegnanti di sostegno è certezza di soluzione agli atavici problemi della scuola italiana in termini di inclusione? È solo questo il problema? Esiste solo un problema quantitativo o è opportuno ripensare i processi per entrare davvero in un sistema qualitativo valido ed efficiente?

Noi di Rete SupeRare, vorremmo entrare nel merito di queste sue  parole caro Ministro, lo facciamo partendo dall’analisi della realtà che viviamo ogni giorno nelle nostre scuole, con l’obiettivo di capire se è o meno sufficiente per far emergere le potenzialità di ognuno, la sola stabilizzazione di insegnanti di sostegno formati. Forti delle segnalazioni che quotidianamente riceviamo dalle famiglie e che riportano le più svariate criticità nella vita scolastica dei nostri figli, notiamo che sono tante le storie, tanti i vissuti, un fattore è però comune in ognuna: complesso, difficile e fonte di sofferenza è il disagio che si vive nel mondo della relazione con la scuola dinanzi al manifestarsi di comportamenti problema, difficile è lavorare insieme per individuare l’origine e le possibili soluzioni ad uno stato di frustrazione che tanti ragazzi (soprattutto gli intellettivo relazionali)  manifestano, utilizzando gli unici strumenti di cui dispongono per esporre il loro sentire : la messa in atto di comportamenti disfunzionali.  Sicuramente incide come fattore scatenante  il continuo balletto di docenti di sostegno, figure che spesso, anche se armate di tanta buona volontà, mancano di formazione specifica ma soprattutto di informazioni adeguate sul funzionamento di quell’alunno, non dimentichiamo mai che un alunno è una persona e che in quanto tale non è identificabile genericamente per codice diagnostico di riferimento ma per il suo specifico funzionamento, il famoso funzionamento su base icf che, vorremmo sapere, in quante realtà del paese si sta applicando. Qualcuno si interroga quotidianamente sul vissuto di quel singolo  alunno? Su quel che prova o come percepisce sé stesso quando in quella scuola mette in atto comportamenti disfunzionali? Quali sono gli indici di monitoraggio? Noi di Rete SupeRare ne abbiamo parlato ( https://www.tecnicadellascuola.it/i-bambini-disabili-raccontano-la-loro-scuola-e-le-loro-quotidiane-difficolta-ai-terapisti), abbiamo fatto raccontare a loro, ai nostri ragazzi, quel che provano in quei momenti.

Le famiglie sono a veder sottolineate quotidianamente le criticità, vivono un senso di colpa ed una responsabilizzazione diretta per le criticità che quell’alunno sta mostrando, quasi fossero colpevoli del disagio che quel ragazzo inizia a manifestare ( non è raro vengano chiamati i genitori affinché vadano a prelevare il figliolo a scuola perché ingestibile).

La scuola cosa fa di frequente in questi casi? Chiede maggiore copertura, come tutto si risolvesse con una maggior presenza del “badante di turno” messo a controllo della situazione, è facile che si ragioni sulla quantità più che sulla qualità. È inutile negarlo: sono queste le situazioni in cui si spezza quel necessario patto educativo tra scuola (tutta), famiglia, rete territoriale e sociale di riferimento, equipe di riabilitazione. Quando nessuno della rete di riferimento è disponibile a mettere in discussione o a ripensare il suo agire educativo,nessun progetto  ( anche se scritto benissimo e con l’ utilizzo di un lessico forbito) potrà essere efficace ed efficiente,in queste situazioni non sussiste alcuna speranza di valorizzare la persona che c’è oltre la connotazione della sua disabilita’.

Che ben vengano la necessaria continuità degli insegnanti di sostegno e formati ma, proviamo a ragionare facendo un passo indietro, ripensiamo quella necessaria corresponsabilità educativa dell’intero corpo docente ( concetto troppo spesso abusato ma troppo di frequentemente ignorato nella pratica),  ricordiamoci sempre che quell’alunno con difficoltà non è un appannaggio esclusivo del docente di sostegno, lui è parte di quella classe e deve percepire sempre e comunque il suo esserne parte e quell’insegnante di sostegno è un docente della classe al pari dei colleghi, loro due non sono una classe a parte, rendiamo concreto questo concetto se vogliamo creare una scuola veramente inclusiva.  Ogni docente di quella classe, volente o nolente,deve davvero sentirsi responsabile anche di quell’alunno, deve essere formato per rispondere, quanto il sostegno, alle specificità individuali, deve programmare e ripensare l’agire educativo, il concetto è sancito dalla norma, ma è ancora lontano dall’affermarsi concretamente. L’esclusiva stabilizzazione e la formazione del sostegno sarebbero una splendida villa senza fondamenta se non si considerano altri aspetti.

Non dimentichiamo i presupposti indispensabili e necessari affinché questo possa essere l’avvio di un vero percorso di successo:  portiamo la scuola ad inserirsi in quel progetto di vita individuale, sancito anche dalla legge delega sulla disabilita’, la scuola non può restare chiusa dietro quel cancello che ogni mattina si chiude al suonare della campanella, invocando esclusivamente fiducia come fosse un mantra, la scuola deve imparare a costruire insieme, nel pieno rispetto di ruoli e funzioni di ogni attore, ma anche di quel progetto di vita individuale.

Ci sono alcuni adattamenti facili da mettere in atto per raggiungere lo scopo, solo per fare un esempio: basterebbe una nota ministeriale per definire le modalità di osservazione clinica in classe da parte della rete di riabilitazione che segue il singolo alunno, tante scuole negano ancora questo basilare diritto alla cura, sostenendo che sarebbe un’ingerenza della famiglia, quale forma di controllo dell’operato del docente, qui però parliamo di ben altro, entriamo nel campo scientifico e nella necessità di valutare i comportamenti problema per prevenirli in ogni ambito di vita con apposite modalità e strategie che solo il personale sanitario appositamente formato può individuare. Potremmo fare tanti altri esempi, con storie di scuole chiuse al dialogo ed alla comunicazione, potremmo riempire tante pagine, iniziamo a guardare quello che è davvero il mondo della scuola del presente, entriamo nelle nostre scuole, ma facciamolo davvero, non acquisiamo informazioni solo attraverso i report dei garanti dell’offerta formativa a cui lei caro ministro, si rivolge spesso, iniziamo a considerare stakeholders anche le famiglie, ripensiamo il benessere organizzativo.

Facciamo in modo che tutte le catene di quella rete collaborino attivamente e concretamente all’attuazione del progetto educativo individualizzato e nel pieno rispetto del progetto di vita.

Rete SupeRare

La famiglie e il Consiglio Direttivo

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