Pienza. Un’occasione per parlare dell’insensata clausura

Teocrazia e Cristianità oltre Tevere

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Si sta parlando tanto in questi giorni delle povere monache di Pienza, che oltre ai patimenti per essersi recluse, ora devono anche subire maltrattamenti da parte di papa Francesco, che ogni tanto rivela il suo brutto carattere. Per fortuna a difenderle è intervenuto l’arcivescovo Carlo Maria Viganò.

Ma non è di questa vicenda che volevo parlare. Volevo cogliere l’occasione per ripetere ciò che già tante volte ho detto, e che molti uomini della Chiesa pensano ma non hanno il coraggio di dichiarare, vale a dire che la clausura è un’istituzione assurda, che contrasta con la ragione, il buon senso e il vangelo. Nel vangelo non esiste un solo verso che giustifichi la clausura, intesa, ovviamente, come chiusura per tutta la vita in una casa religiosa, senza la possibilità di uscirne mai. Ma poiché mi sono stancato di ripetere cose che già ho detto e ridetto, riporto qui uno dei tanti miei scritti sull’argomento.

Questo apparve nella rubrica delle lettere di un noto quotidiano, nel gennaio del 2014.
«Qualche giorno fa, papa Francesco ha detto ai membri del Corpo diplomatico presso la Santa Sede: “La chiusura e l’isolamento creano sempre un’atmosfera asfittica e pesante, che prima o poi finisce per intristire e soffocare. Serve, invece, un impegno comune di tutti per favorire una cultura dell’incontro, perché solo chi è in grado di andare verso gli altri è capace di portare frutto, di creare vincoli di comunione, di irradiare gioia, di edificare la pace”

Benedetto XVI, nell’Enciclica Deus caritas est, scriveva: “Se però nella mia vita tralascio completamente l’attenzione per l’altro, volendo essere solamente «pio» e compiere i miei «doveri religiosi», allora s’inaridisce anche il rapporto con Dio. Allora questo rapporto è soltanto «corretto», ma senza amore. Solo la mia disponibilità ad andare incontro al prossimo, a mostrargli amore, mi rende sensibile anche di fronte a Dio… Amore di Dio e amore del prossimo sono inseparabili, sono un unico comandamento… Un amore che, per sua natura, deve essere ulteriormente partecipato ad altri”. Ovviamente nessuno dei due pontefici si è reso conto che il proprio discorso dimostra l’assurdità della vita di clausura.

Come potrebbe una monaca prigioniera in un monastero, soccorrere il malcapitato percosso dai briganti della parabola di Luca? Per conferire fondamento evangelico alla clausura ci si appella vanamente all’episodio di Marta e Maria: “Marta… si fece avanti e disse: « Signore, non vedi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque di aiutarmi ». Ma Gesù le rispose: « Marta, Marta, tu ti affanni e ti preoccupi di troppe cose. Invece una sola è la cosa necessaria. Maria ha scelto la parte migliore, che nessuno le toglierà ».” (Lc 10, 40-41). Ma la “cosa necessaria” non era il semplice fatto in sé che Maria si fosse “appartata” con Cristo, ma di ascoltare, in quel momento, la sua parola, per comprenderla appieno e metterla in pratica: “Se capite queste cose, siete beati se le mettete in pratica” (Cfr. Gv 13,17) ».

Oggi sarebbe opportuno che la Chiesa trasformasse i monasteri di clausura in normali conventi, dove di norma le suore non sono costrette ad osservare regole poco cristiane.

Renato Pierri

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