L’Ingegner Luciano Petrini, massimo esperto di informatica, fu trovato morto a Roma il 10 maggio 1996
In un articolo pubblicato su “La Repubblica” il 10 maggio 1996 venne descritta la scena del crimine, e furono avanzate ipotesi sul movente che aveva portato persone ignote ad uccidere all’interno del suo appartamento a Roma l’Ingegner Luciano Petrini, uno dei massimi esperti in Italia di informatica e sistemi informatici, che assieme al dott. Gioacchino Genchi, all’epoca ancora in servizio nella Polizia di Stato, ora avvocato, aveva esaminato una serie di reperti elettronici appartenuti al magistrato Giovanni Falcone, vittima il 23 maggio 1992 con la moglie e tre uomini della scorta dell’attentato di Capaci.
Il giornalista scrisse all’epoca che l’indagine svolta da Petrini e da Genchi non avrebbe fornito elementi tali da mettere in discussione l’integrità dei dischetti e delle memorie dei computer esaminati, per poi riferire che secondo il Pubblico Ministero di Caltanissetta che aveva sostenuto l’accusa nel giudizio per la strage di Capaci, in seno al quale pochi mesi prima della sua morte Petrini assieme a Genchi aveva esposto gli esiti della perizia svolta, non vi sarebbero stati elementi tali da far ritenere che la perizia stessa avesse potuto costituire il movente del delitto.
In realtà i periti in aula, all’udienza dell’8 gennaio 1996 innanzi la Corte d’Assise di Caltanissetta, avevano chiarito invece che i computer e i dischetti di Giovanni Falcone erano stati ispezionati da qualcuno rimasto ignoto, qualche giorno dopo la strage. E che pertanto era probabile che le varie anomalie riscontrate, tra cui la cancellazione di numerosi documenti, fossero dovute non già alla volontà del magistrato, bensì all’intervento della misteriosa manina, che fra l’altro aveva utilizzato proprio la password creata da Falcone.
Per cui, da una parte la manina era interessata a leggere i files contenenti l’elenco degli iscritti alla struttura istituzionale sotto copertura denominata “Gladio”, quelli relativi alle indagini sull’omicidio di Piersanti Mattarella e dell’agente di polizia Emanuele Piazza, gli appuntamenti segnati da Falcone, i numeri di telefono tra cui quelli segretati e corrispondenti ad un apparecchio mobile in dotazione al SISDE, i viaggi negli Stati Uniti, l’audizione del pentito Gaspare Mutolo, e tanti altri.
Dall’altra, aveva verosimilmente avuto interesse a cancellare ed a sovrascrivere alcuni dati, e, avendo avuto accesso alla PW del magistrato, verosimilmente operava in ambienti istituzionali, o para-istituzionali.
Aveva dichiarato in particolare l’allora perito dott. Genchi in udienza: “possiamo dire con certezza una cosa: il 9 giugno 1992, alle 16 e 20, qualcuno ha aperto il file Orlando.back, l’ha editato, lo ha letto e, a nostro parere, lo ha anche modificato”.
La trascrizione integrale della audizione giudiziaria dei dottori Petrini e Genchi si può leggere attraverso il seguente link, grazie alla digitalizzazione operata dall’Archivio Antimafia Org.: Audizione di Gioacchino Genchi e Luciano Petrini dell’8/01/96 relativa alla Strage di Capaci e i floppy scomparsi di Falcone [ArchivioAntimafia]
Il fatto è che Luciano Petrini aveva da anni una relazione affettiva con un uomo, pertanto il giornalista de “La Repubblica”, dopo avere raccolto voci, e dichiarazioni di vicini di casa che avrebbero parlato di un via vai di ragazzi dall’abitazione dell’Ingegnere nei giorni antecedenti il delitto, concluse nel senso che forse poteva essere stato uno degli “ospiti occasionali” del perito ad assassinarlo “in un raptus”.
Però già durante la deposizione di Luciano Petrini, nel gennaio del 1996, qualcuno era entrato a casa del perito senza forzare la serratura, per appropriarsi di un computer portatile, di duecento cd di musica classica e di un impianto hi-fi: episodio questo che fa subito pensare, ed avrebbe dovuto far pensare, non già ad un banale furto bensì ad un avvertimento, perché le coincidenze, quando si parla della strage di Capaci e di avvenimenti a detta strage collegati, non esistono.
Infatti sulla strage di Capaci si addensano le nubi dell’intervento della “Nuova Gladio”, ossia di quella struttura segretissima del Servizio Segreto militare che, secondo i documenti letti di recente negli archivi declassificati, avrebbe dovuto agire prevalentemente mediante agenti esterni a cachet, per non rischiare di fare ricadere sul Sismi la responsabilità morale, politica e penale dei gravi delitti che dovessero venire commessi.
E dunque gran parte delle anomalie, e degli eventi altrimenti inspiegabili, deve ritenersi imputabile non già al caso, bensì proprio all’intervento delle “menti raffinatissime” di cui già Falcone, purtroppo per lui e per gli altri martiri di Capaci, aveva compreso il ruolo e le azioni.
Pertanto è stato perlomeno ingenuo, e superficiale, chi ha ritenuto di dover cercare, e trovare, il movente dell’omicidio del povero Petrini in una qualche relazione omosessuale dell’Ingegnere.
Degno di nota, tra le varie circostanze esposte dai periti alla Corte d’Assise di Caltanissetta, anche il tenore della lunga telefonata fatta da un camionista all’ufficio dell’Alto Commissario per la lotta alla mafia, la sera del 23 maggio 1992.
Il camionista, con tono concitato, aveva descritto le modalita’ con cui aveva visto strane manovre allo svincolo di Capaci, il 22 maggio 1992 verso le 19.30, da parte di alcune persone vestite di tute bianche, che operavano attorno a un furgone manovrando dei fili.
La rilevanza di questa telefonata è elevata, giacchè lo stesso fatto venne anche esposto in una relazione dal poliziotto Giuseppe De Michele, e venne dichiarato dal testimone Francesco Naselli Flores, cognato del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, e verosimilmente gli uomini in tuta erano proprio gli “operai” del secondo cantiere della strage, quello organizzato non dalla mafia, ma dalle menti eversive.
Ho segnalato la telefonata del camionista, non perché c’entrasse qualcosa con i PC di Falcone, ma perché aiuta a rendere bene l’idea della pesantezza e gravità e pericolosità del lavoro che avevano svolto Petrini e Genchi, tale sicuramente da mettere a rischio le loro persone.
D’altra parte lo stesso Genchi, come emerge dalla trascrizione dell’udienza davanti alla Corte d’Assise, aveva riportato conseguenze negative dalla sua attività peritale, tanto che aveva dovuto scrivere ai superiori che “da qualche mese mi accorgo proprio di essere, forse inconsciamente, entrato in un gioco troppo grande, di non disporre di alcuna alleanza, di non avere alcun sostegno e di avvertire sempre meno la considerazione della solidarieta’ dell’Amministrazione dalla quale dipendo“, e che, come spiegato al giudice: “dopo l’accettazione di questo incarico, in effetti, ho dovuto rilevare una serie di atteggiamenti estremamente diversi da parte del Ministero dell’Interno; io stavo solo cercando di fare il mio dovere, tenga conto che io allora rivestivo l’incarico di Direttore della Zona Telecomunicazioni, incarico estremamente prestigioso, e proprio dopo la strage mi era stato dato l’altro incarico, per coordinare meglio alcune alcune attivita’ anticrimine, presso la Criminalpol della Sicilia Occidentale di Dirigente del Nucleo Anticrimine. Il Dirigente dell’epoca, che sicuramente non agiva da solo perche’ si vedeva che era portavoce di volonta’ e decisioni ben piu’ alte, in effetti non mi ha certamente agevolato in questo lavoro; ricordo, ad esempio, quando siamo partiti per andare a Roma ad ispezionare il Ministero di Grazia e Giustizia, chiesi di avvalermi di un agente e non fu autorizzata la missione dell’agente e nemmeno la mia. Quando a Roma, col P.M., ci dovevamo spostare a Milano, c’era sciopero degli aerei, abbiamo chiesto una macchina e non ci fu data nessun tipo di macchina, tanto che io dovetti noleggiare una macchina a mio nome presso la Hertz” – dopo di che Genchi fu trasferito a una funzione decisamente demansionante: “io fui trasferito, per esigenze di servizio con provvedimento immediato, dal Capo della Polizia, dalla Direzione del Nucleo Anticrimine per la Sicilia Occidentale, dalla Zona Telecomunicazioni all’Undicesimo Reparto Mobile e fui mandato a fare Ordine Pubblico, a fare insomma Reparto Celere”; e fu privato dalla sua amministrazione di ogni sostegno per l’attività di estrema delicatezza che era stato chiamato a svolgere dai magistrati: “c’e’ stato un grosso scontro col Questore Cinque, un grossissimo scontro col Questore Cinque, il quale ad un certo punto temette per la mia sicurezza personale. E io vidi in quel timore per la sicurezza personale, perche’ mi fu tolta, come in atto io non ho manco una macchina di servizio, non ho un telefono, non ho nulla, io oggi sono qua in ferie e sono con la mia macchina, tanto perche’ sia chiaro; e mi fu tolto tutto, continuai con i miei mezzi la consulenza, continuai con i miei mezzi la piu’ importante consulenza nel processo di via D’Amelio, quella sulla presunta intercettazione telefonica del Giudice Borsellino, perche’ dovevo onorare un impegno assunto. Ci furono grossi scontri con l’allora Questore di Palermo e praticamente io ho deciso di non considerare, ecco, questa parte dell’Amministrazione, che non so per quali ragioni poi, temeva o comunque non vedeva bene il risultato di quell’attivita’ che all’epoca io ho fatto. Io ho continuato e sono ancora qua”.
E’ quindi evidente, alla luce di tutte le emergenze che ho sopra sintetizzato, che sarebbe più che opportuna perlomeno una preliminare rilettura degli atti delle indagini a suo tempo svolte sull’omicidio di Luciano Petrini, per verificarne ogni profilo.
Un articolo illuminante sulla vicenda di Petrini, che non conoscevo in modo approfondito, concordo con la teoria che fu minimo superficiale attribuire l’omicidio a una relazione intima, solo perché omosessuale, usata apposta secondo me. Ottimo lavoro dott.ssa Maria Angioni
grazie mille carissima Serena!