Da Seneca ai Caregiver per disabili

Arte, Cultura & Società

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Per Seneca era ragionevole separare gli esseri umani sani da quelli malati, considerati inutili. Platone vedeva la necessità di una selezione preventiva tra i genitori in modo che i figli nati dalla loro unione fossero sani e coraggiosi. I legionari dell’antica Roma che tornavano con gravi ferite o mutilazioni, dapprima ricevevano grandi onori per sé stessi e la loro famiglia, ma il destino che li attendeva era fatto di emarginazione o abbandono.

L’insegnamento di Gesù porta a vedere nell’uomo malato la sofferenza, la necessità di cure e non l’inutilità o la ripugnanza, ma, allontanandosi da tali insegnamenti, tra gli altri, Papi come san Gregorio Magno affermarono che “Una anima sana non troverà albergo in una dimora malata”.

Tuttavia nel Medioevo, l’ampia diffusione di malattie invalidanti, lebbra e sifilide, vede la Chiesa pronta a ripristinare e recuperare la sua autentica vocazione Cristiana fatta di carità ed amore per i più deboli e i sofferenti.

Con l’Illuminismo prima, successivamente con la Rivoluzione Industriale nell’Ottocento, saranno messi da parte tanti pregiudizi. Al centro dell’interesse c’è ora la macchina e il suo ruolo nella produzione, l’aumento di produttività che ne consegue e che incrementa l’efficienza del lavoro umano. La medicina comincia a fare passi importanti: curare, correggere difetti, rieducare. L’evoluzione della scienza apre nuove prospettive, nuovi strumenti di indagine.

Più di un miliardo al mondo, quasi 13 milioni in Italia, le persone disabili sono in gran parte anziane e per più di un terzo vivono da sole. Questi i dati dell’Osservatorio Nazionale della Salute nelle Regioni Italiane presso l’Università Cattolica di Roma. Relativamente poche le risorse stanziate a loro favore, per lo più impiegate per erogare pensioni, in famiglie sempre più in difficoltà. Solo l’11,9% delle persone con disabilità è occupato e la scarsa capacità di partecipare al mondo del lavoro comporta seri problemi economici e sociali alle loro famiglie.

Il dottor Solipaca, responsabile scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane ha di recente affermato che “la disabilità è una condizione che interesserà sempre più italiani, grazie al costante allungamento della aspettativa di vita, il nostro sistema di Welfare si troverà ad affrontare una domanda crescente di servizi…”.

Sin da 2011, al primo rapporto mondiale sulla disabilità, Margaret Chan, l’allora direttore generale dell’OMS, sottolineò come la disabilità sia parte della condizione umana, e affermò, senza alcuna miopia, che “Ciascuno di noi, ad un certo punto della propria vita, incorrerà in una riduzione temporanea o permanente delle proprie abilità…è necessario fare di più per abbattere le barriere che limitano le persone disabili”. Robert Zoellick, l’allora presidente del gruppo della Banca Mondiale affermava che “rispondere ai bisogni di salute, istruzione, occupazione, sviluppo delle persone disabili è un prerequisito essenziale per lo sviluppo collettivo”.

La concezione Rawlsiana che il benessere di una società dipenda dal livello di benessere di chi sta peggio: il principio di Gesù nel vangelo “Gli ultimi saranno i primi”?  Con Rawls si afferma una sorta di principio di eguaglianza sociale tra eguali, che coordinano le loro scelte per massimizzare il livello di benessere di tutti, iniziando da quelli con reddito più basso, superando l’utilitarismo che guardava solo alla somma dei livelli di utilità.

“Una distribuzione eguale è sempre da preferirsi, a meno che non ne esista un’altra che faccia stare meglio entrambi”. Stabilendo quindi che si possa avere un incremento del benessere totale non solo guardando alla somma ma andando ad agire prima sui livelli più bassi, al limite osserviamo che gli incrementi continui dei valori minimi possano spingere verso un livellamento dei livelli di benessere, riducendone le disuguaglianze, senza far peggiorare la situazione di nessuno. Alquanto utopistico?

Scelte razionali ed efficaci avvengono solo in base a dati, informazioni, ovviamente aggiornati. La Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità impegna tutti gli Stati firmatari, tra cui l’Italia, a monitorare il processo di inclusione sociale delle persone con disabilità; in particolare, l’articolo 31 si sofferma in modo specifico su “Statistiche e raccolta dati” come strumenti per: “… formulare e implementare politiche allo scopo di dare effetto alla … Convenzione”. Il comma 2 dell’art. 31 sottolinea il ruolo specifico che le informazioni raccolte devono svolgere per valutare gli adempimenti degli obblighi contratti dagli Stati Parti, mentre il comma 3 impegna i Paesi a diffondere l’informazione statistica e a renderla accessibile alle persone con disabilità.

Potremmo aggiungere i dati degli atti presentati in Parlamento sull’argomento tra disegni di legge, 296, mozioni, 35, interpellanze, 29, e così via.  Ciò che osserviamo è che, per raggiungere l’utopistica uguaglianza, il reddito reale percepito e la sua distribuzione non sono di per sé rilevanti, ma in quanto consentono di accedere alla vita che si desidera, altrimenti si genera un handicap di conversione, cioè un deficit nella capacità di trasformare il proprio reddito in beni che consentano un adeguato livello di benessere. Il benessere risulta ovviamente di livello inferiore laddove vi siano situazioni di dipendenza.

Quando si guarda solo al livello del reddito reale e non agli obiettivi di benessere sociale si confondono i fini con i mezzi e si ha una visione parziale, perché si trascura l’ulteriore difficoltà di trasformare il reddito, anche scarso, in una vita decente, in una vita normale. Nell’analisi del benessere occorre inserire nel paniere dei beni primari sociali anche la cura, cioè il diritto fondamentale di ricevere e prestare cure per chiunque si trovi in situazioni di dipendenza: bambini, disabili, anziani.

Laddove le istituzioni pubbliche non possono arrivare ecco che è di supporto anche il lavoro di cura, del caregiver familiare, per una decentralizzazione degli interventi, con maggiore dignità e sostegno pubblico. Il profilo del caregiver è stato riconosciuto e delineato normativamente per la prima volta dalla legge di bilancio 2018. La legge di bilancio 2021 ha inoltre costituito il Fondo per gli interventi legislativi di valorizzazione dell’attività di cura non professionale del caregiver. In Puglia gli Ambiti Territoriali Sociali (ATS) pugliesi sono competenti per il Budget di sostegno al Caregiver familiare. Gli ATS hanno curato nel 2022 le attività istruttorie e selezionato le domande ammissibili per l’accesso alla misura.

Link  https://www.sistema.puglia.it/portal/page/portal/SolidarietaSociale/FondoCaregiver

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