Carbonia la “città di fondazione”, nella realtà, nella ricerca, e nell’immaginario collettivo

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In molti continuano ad attribuire alla bella cittadina sarda della regione del Sulcis, a due passi dal mare, connotati negativi, ignorandone completamente la realtà e la storia: colpa del nome?

Un paio di giorni fa il giornalista sportivo Federico Buffa, amato e seguito da tanti, su un canale youtube ha raccontato, parlando della città di Carbonia: “la gente ti stringe la mano con due mani e ti dice: “noi qua non abbiamo niente, non abbiamo né la televisione via cavo né via satellite. Uno che viene qua e ci porta qualche cosa ci fa un gran favore”.

Ovviamente il Sindaco e molti abitanti di Carbonia si sono dispiaciuti per queste parole, e con ragione perché non corrispondono per niente alla realtà urbana assolutamente ordinata e adeguata di questa cittadina del Sulcis, un’area della Sardegna che è si afflitta dai mali endemici di tante regioni non costiere dell’Italia del sud, come la disoccupazione e lo spopolamento, ma che per il resto è in linea con lo standard del meridione nazionale.

Male hanno fatto anche quei cittadini che hanno rappresentato al giornalista un quadro così misero e privo di fondamento, seppure tanto “di effetto”.

Ad ogni modo, Federico Buffa si è successivamente scusato, spiegando di essersi espresso male.

Uscite come queste, della città di Carbonia priva “di tutto”, mi fanno ricordare la mia indignazione e la tristezza che provavo quando sentivo qualcuno dire che noi sardi eravamo tutti piccoli e neri, che cuocevamo il porcetto dentro una buca (ad averla, la buca! Al massimo il forno di casa), che eravamo lenti, e che non conoscevamo la polenta.

Il problema è che la città di Carbonia, forse anche a causa del suo nome poco gioioso (la Befana porta il carbone ai bambini cattivi), è ancora spesso menzionata nelle conversazioni da spiaggia, o da bar Sport, come luogo ove i dipendenti dello Stato da punire verrebbero esiliati, o come ultimo chilometro del patrio suolo.

Niente di più lontano dalla realtà di chi a Carbonia vive, di chi ci si trasferisce per le vacanze, e, soprattutto, di chi da anni ne studia la storia e l’architettura con amore e interesse.

Ho letto da poco uno splendido libro, pubblicato nel giugno 2020 da Edicom Edizioni, i cui autori sono gli Ingegneri Antonello Sanna, professore ordinario di architettura tecnica e già Preside della facoltà di architettura e direttore del dipartimento di ingegneria civile e architettura dell’Università di Cagliari, e Giuseppina Monni, già ricercatrice presso la medesima facoltà, e in seguito presso il Laboratorio “Archeologia mineraria e paesaggi culturali”.

Il libro si intitola “Carbonia, progetto e costruzione al tempo dell’autarchia”, e descrive l’opera colossale affrontata negli anni ’30 dal governo italiano, con la preliminare bonifica e infrastrutturazione del territorio che sarebbe proseguita a lungo nel tempo, coinvolgendo ponti e strade, ferrovie e porti, centrali termoelettriche e impianti per la lavorazione e distillazione del minerale estratto dalle miniere.

Il distretto del carbone, individuato e organizzato nel sud ovest della Sardegna, aveva cominciato a vedere timidamente la luce dopo il 1870, quando nel Sulcis l’ingegnere Anselmo Roux aveva ottenuto la prima concessione per lo sfruttamento di un giacimento carbonifero: soltanto nel secolo successivo, però, l’attività estrattiva, e tutto l’indotto anche ingegneristico, abitativo e sociale, avrebbero preso una piega decisamente importante.

Quando negli anni ’30 del 1900 l’Italia venne colpita dalle sanzioni inflitte dalla Società delle Nazioni, il carbone sardo divenne una risorsa energetica importantissima, e a rapidi passi venne costruita vicino alle miniere, e in stretto collegamento funzionale ad esse, una nuova città, chiamata appunto Carbonia, che il 18 dicembre del 1938 venne una prima volta inaugurata per 15.000 abitanti (poco meno dei circa 26.000 che essa conta attualmente).

Senza soluzione di continuità, però, la città successivamente crebbe a tappe forzate sino a 35.000 e poi 50.000 abitanti, il picco massimo raggiunto nel 1951.

Questa grande mobilitazione di risorse progettuali e realizzative vide convergere sul distretto sardo del carbone e sulla sua nuova Capitale alcune delle principali imprese di costruzione nazionali, e tecnici (ingegneri e architetti) di alto livello, quasi tutti coloro che avevano già partecipato alla progettazione delle precedenti città “nuove” o “città di fondazione”, come Arsia, città istriana costruita dallo Stato italiano in pochissimi anni dal 1935 al 1937.

Il piano regolatore di Carbonia venne firmato, alla fine del 1938, dall’architetto e urbanista Cesare Valle e dall’architetto Ignazio Guidi, romani entrambi, e la relazione finale venne firmata dal triestino Gustavo Pulitzer Finali, architetto, urbanista e designer leader dello studio Stuard.

Le leggi razziali, però, fecero allontanare dalla scena Pulitzer Finali, cui subentrò infine l’architetto romano Eugenio Montuori, che avrebbe lasciato un’impronta decisiva sulla città nuova, a partire dal progetto per i quartieri per dirigenti e impiegati, e per le loro abitazioni.

La città di Carbonia propose e garantì ai suoi abitanti, che quasi tutti lavoravano nelle miniere, degli standard abitativi, assistenziali, di attrezzature scolastiche e ricreative molto avanzati, che nel resto dell’isola si sarebbero sviluppate in quel modo, nel mondo rurale e operaio, solo molti anni dopo, nel contesto del welfare state del secondo dopoguerra.

I moduli della “città giardino”, ispirati a grande attenzione alle esigenze di vita familiare e sociale delle persone destinate ad abitarvi, trovarono ampio spazio nei piani di costruzione della nuova città, al pari delle grandi piazze, della chiesa, dei portici imponenti e di ogni altra area di aggregazione.

Non era quindi certamente un ghetto Carbonia, né è mai stata una città degli ultimi, essa venne disegnata e costruita, anzi, per assicurare benessere fisico e morale ai lavoratori che dovevano abitarvi, i cui discendenti ancora oggi in buon numero sono rimasti ad animarla.

Perché anche questo è un importante pregio e valore di Carbonia, l’essere stata e rimanere tuttora un luogo di incontro e scambio fra persone provenienti da diverse parti d’Italia, che hanno arricchito e arricchiscono ancora il tessuto sociale con le loro variegate esperienze e culture.

Fermo restando che, purtroppo, con la fine del sogno del carbone, e la chiusura progressiva delle miniere, le occasioni di lavoro sono diminuite enormemente, e gli abitanti del distretto hanno sofferto e soffrono per la disoccupazione, l’emigrazione, e la povertà di ritorno.

Non è però priva di nuove risorse Carbonia, distante solo pochi chilometri dal bel mare della Sardegna, tanto che basta dare uno sguardo ad alcuni fra i più conosciuti siti internet di prenotazione alberghiera per rendersi conto del numero crescente di strutture destinate all’ospitalità turistica che operano in città e nei dintorni, con grande soddisfazione stando alle recensioni ed ai calendari quasi tutti occupati.

Carbonia dista infatti dal mare solo pochi chilometri, e il turista può raggiungere la più vicina spiaggia di Corongiualis in un quarto d’ora, e in venti minuti la spiaggia “animal friendly” di Porto Pino.

E allora, dov’e il problema? Forse nel nome, che non è più alla moda? La mia é ovviamente soprattutto una battuta, ma forse l’iniziativa più divertente che il Comune di Carbonia potrebbe adottare, sarebbe quella di lanciare un concorso di idee per cambiare o rinfrescare il nome della città, che per la sua bellezza meriterebbe ben altre suggestioni che quelle alla calza della Befana: il verde delle pinete, l’azzurro del mare, il bianco infinito della sabbia, l’oro del sole al tramonto.

(foto della costa sudoccidentale della Sardegna, Roman Babakin copyright; foto di repertorio)

8 Replies to “Carbonia la “città di fondazione”, nella realtà, nella ricerca, e nell’immaginario collettivo”

  1. Serena ha detto:

    Un bellissimo articolo, che fa comprendere in modo egregio come a volte bisogna guardare al di là del sentito dire e dell’apparenza. Non sapevo l’importanza che ha avuto per tutta Italia il carbone sardo. È bellissima dalle foto che ho visto. Dovrebbe essere un valore aggiunto il nome. Davvero complimenti dott.ssa Maria Angioni è molto interessante il suo articolo.

  2. Francesca Ferrara ha detto:

    Mai fermarsi al nome
    Complimenti Dottoressa Maria Angioni ,i suoi articoli ci insegnano sempre cose nuove e a vedere con occhi diversi.Grazie

  3. Maurizio Pinna ha detto:

    Finalmente qualcuno che scrive cose interessanti e corrette.Grazie

  4. valentina medda ha detto:

    Buongiorno, bell’articolo,. Lei per caso ha un contatto con Giuseppina Monni o qualcuno che si occupa di questi argomenti? La ringrazio

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