Il 9 maggio 1978 venne assassinato a Cinisi Peppino Impastato

Arte, Cultura & SocietàAttualità & CronacaPoliticaSicilia

Di

Giuseppe Impastato, più noto come Peppino, è stato non solo un giornalista e un conduttore radiofonico, ma anche e soprattutto un uomo politico, un politico, un politico di sinistra: tanto è vero che quando venne ucciso, il 9 maggio appunto di tanti anni fa, nel 1978, egli era nel pieno dell’attività di campagna elettorale, e questa è una circostanza che non viene quasi mai ricordata o sottolineata.

Peppino era nato a Cinisi, nello stesso paese siciliano ove avrebbe trovato poi la morte solo trent’anni dopo, il 5 gennaio 1948 da una famiglia in cui diverse persone appartennero alla mafia.

Cacciato di casa dal padre per il suo impegno politico e sociale, egli a soli diciassette anni, nel 1965, fondò il giornale “L’Idea socialista” e aderì al PSIUP ottenendovi ben presto incarichi di dirigente e sostenendo in tale veste le battaglie dei contadini poveri, dei lavoratori edili e dei disoccupati.

Vicino anche a Il Manifesto e a Lotta Continua, nel 1976 costituì il gruppo Musica e cultura e nel 1977 fondò “Radio Aut”, una radio libera attraverso i cui microfoni denunciava e prendeva in giro i crimini e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrrasini, tra i quali Gaetano Badalamenti, “Don Tano”, che era succeduto come capomafia locale proprio allo zio di Peppino, Cesare Manzella.

Nel 1978 Peppino si candidò nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali di Cinisi, ma neppure fece in tempo a conoscere l’esito delle votazioni perché venne assassinato la notte tra l’8 e il 9 maggio, colpito con un grosso sasso, fu ritrovato con una carica di tritolo posta sotto il suo corpo adagiato sui binari della ferrovia Palermo-Trapani. Il corpo, come ricordato dal Prof. Paolo Procaccianti, oggi esimio specialista nella medicina legale, che all’epoca partecipò all’ispezione del corpo della vittima, venne ritrovato in brandelli; nella relazione autoptica sottoscritta nell’occasione, da Procaccianti e dal suo Maestro Ideale Del Carpio, già erano state messe in evidenza alcune emergenze che davano adito a dubbi sulla dinamica della morte.

In una recentissima intervista rilasciata alla giornalista Sandra Figliuolo, per il giornale “Palermo Today”, il Prof. Procaccianti ha voluto anche ricordare che ai fini dell’autopsia sul corpo di Peppino gli tornò utile “l’aver partecipato qualche anno prima all’autopsia dell’editore Giangiacomo Feltrinelli”.

Ad ogni modo la lista di Democrazia Proletaria ottenne 260 voti e un seggio, gli elettori votarono dunque comunque per Peppino che fu il candidato più votato con 199 preferenze.

Può dunque capirsi subito che l’omicidio di Peppino Impastato fu, più che un delitto di mafia, un delitto politico.

E tanto più che, come è ormai ben noto, le Istituzioni inquirenti e la stampa al loro codazzo sostennero subito che il povero Impastato fosse morto mentre stava posizionando sulla ferrovia un ordigno dal quale però egli stesso sarebbe rimasto ucciso; poi si disse che egli si sarebbe suicidato, sulla base di una lettera scoperta a casa di una parente di Peppino, dalla quale però non emergevano propositi di togliersi la vita.

Non era infatti il testamento di un suicida, quella lettera, come acutamente osservato da Enrico Bellavia in un articolo su La Repubblica dell’8.12.2000, ma lo sfogo di una persona politicamente impegnata, disillusa da una certa realtà della provincia siciliana: “purtroppo debbo riconoscere – è scritto in quel foglio trovato nella casa di Cinisi – d’aver dato la mia sensibilità in pasto ai cani. Ho cercato con tutte le forze che mi restavano in corpo di riprendere quota, incoraggiato anche dalla fiducia e dall’affetto di alcuni compagni (vecchi e nuovi): non ce l’ho fatta, bisogna prenderne atto. Il mio sistema nervoso è prossimo al collasso e, sinceramente, non vorrei finire i miei giorni in qualche casa di cura. Ho bisogno, tanto bisogno di starmene un po’ solo, riposarmi, curarmi. Spero di riuscirci. Il parto non è stato indolore, ma la decisione è ormai presa. Proclamo pubblicamente il mio fallimento come uomo e come rivoluzionario. Addio, Giuseppe”.

Starsene un po’ solo voleva, Giuseppe, e non certo darsi la morte, come qualsiasi lettore in buona fede sarebbe stato ed è in grado di capire immediatamente.

E però anche quella lettera venne utilizzata dagli inquirenti nel disperato tentativo di evitare che emergesse qualche altra cosa, la vera ragione della morte di Impastato.

L’epitaffio inciso sulla tomba di Peppino a Cinisi recita così: “Rivoluzionario e militante comunista – Assassinato dalla mafia democristiana”.

Ma le modalità del tentativo di depistaggio, attuato in primo luogo da persone appartenenti alle Istituzioni, e l’impegno politico comunista della vittima, più che alla responsabilità di una fantomatica “mafia democristiana” fanno pensare all’intervento di qualcosa che ormai anche il pubblico conosce bene, ma di cui nel 1978 nessuno ancora parlava: la Gladio e le varie strutture clandestine deputate a compiti di antiguerriglia e di contrasto al pericolo comunista, sorte sin dall’immediato secondo dopoguerra per iniziativa anche dello Stato italiano.

Per cui, anche qui, si la mafia, si Don Tano Badalamenti, si i pentiti, però prima di tutto vengono la logica, e la ricostruzione storica degli eventi.

E tanto più che, come alcune persone hanno ricordato, subito dopo la strage di Alcamo Marina, in cui trovarono la morte i Carabinieri Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta, sarebbe stata perquisita anche l’abitazione di Peppino Impastato, pare alla ricerca di un libretto relativo alla struttura istituzionale di “controguerriglia” in cui in seguito venne identificata la Gladio; e che nella successiva perquisizione a casa di Peppino, eseguita dopo la sua morte, sarebbe stata trovata anche una carpetta contenente documenti sulla strage di Alcamo Marina, documenti che non sarebbero stati mai restituiti alla famiglia a differenza di altri.

Come se, riflette così per logica una libera pensatrice, Impastato si fosse messo sulle tracce di Gladio, e per questo motivo fosse stato ammazzato.

Questo libretto si intitolava “Le Mani Rosse sulle Forze Armate”, di Guido Giannettini e Pino Rauti, pubblicato per la prima volta nel 1966, commissionato da alte cariche dell’esercito Italiano era destinato ad uso interno e ben presto fu tolto dalla circolazione. L’opuscolo venne però rieditato in seguito, nel 1975 da Savelli, col titolo “In caso di golpe”, proprio al fine dichiarato di consentirne la lettura alla collettività e di dare la possibilità di riflettere sul suo significato e sul suo fine.

Anche la riedizione del 1975 divenne però ben presto introvabile, e forse non per caso.

Il testo é interessante poichè dimostra che a due futuri esponenti di Ordine Nuovo (Giannettini e Rauti, appunto) venne commissionato un pamphlet illustrativo destinato alle Forze Armate della Repubblica Italiana, teorizzante in particolare (ovviamente faccio riferimento ai contenuti originari del pamphlet, depurati dalle chiose dell’editore Savelli) le tecniche della controguerriglia in tempo di “pace”, fra cui la rappresaglia, da attuare anche contro le popolazioni se schierate dalla parte del nemico, cioè i comunisti nel caso di specie, e l’infiltramento nelle file del nemico.

Alla pg. 20 della riedizione del 1975 era riportato in fotocopia un documento “segretissimo” del Centro Alti Studi Militari, in cui si faceva riferimento in particolare, tra gli eventi che avrebbero potuto giustificare atti di controguerriglia, “l’attacco alle caserme”.

Era anche questo punto che poteva avere colpito l’interesse di Peppino Impastato? Un “attacco alle caserme” come quello perpetrato ai danni della caserma dei Carabinieri di Alcamo Marina? Poteva mai egli avere pensato che fosse avvenuto quello che di recente, parlando della strage di Ustica, il Capitano dell’aeronautica Mario Ciancarella ha definito in termini gergali come “attacco alla fattoria”, ossia una aggressione commessa proprio da coloro che in seguito avrebbero potuto e dovuto porre in essere la conseguente attività repressiva a tutela dell’ordine pubblico?

Ipotesi, ipotesi, ma se iniziassimo tutti a ricordare Impastato come un politico, prima ancora che come un giornalista e un conduttore radiofonico, forse avremo maggiore speranza di arrivare alla verità, a tutta la verità prima o poi.

Ed anche per Aldo Moro, morto nello stesso giorno in cui perse la vita Peppino Impastato, quell’orribile 9 maggio del 1978, speriamo giunga infine il momento della piena verità.

 

2 Replies to “Il 9 maggio 1978 venne assassinato a Cinisi Peppino Impastato”

  1. Barbara ha detto:

    Complimenti, è veramente un articolo interessante e per me istruttivo al 100%. Bravissima a tirar fuori i dettagli mai sufficientemente considerati dagli altri, come che il 9 maggio 78, giorno dell’omicidio, Impastato era in piena campagna elettorale, o il testo anche della parte finale della lettera che avrebbe dovuto provare il suicidio. Si magari se a leggere fosse stato un analfabeta o se l’avessero tagliata ad arte. Un eccellente lavoro, così dovrebbe essere il giornalismo d’inchiesta.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

CAPTCHA ImageChange Image

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Traduci
Facebook
Twitter
Instagram
YouTube