La turchia il voto con molte incognite ed incertezze

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In un anno pieno di importanti elezioni in tutto il mondo, forse poche hanno suscitato la stessa attenzione da parte di osservatori e media di tutto il mondo, come quelle che si svolgeranno domenica in Turchia. E questo perchè mai come ora la Turchia forse è diventato un paese centrale nel nuovo scacchiere geopolitico internazionale. E poi mai come ora forse negli ultimi venti anni, si rischia un clamoroso risultato, e cioè la sconfitta del sultano Erdogan.  Lo sfidante, alla guida di una coalizione composta da sei partiti è Kemal Kılıçdaroglu è dato in vantaggio in tutti i principali sondaggi. Secondo il “Poll of Polls” di Politico,  Kılıçdaroglu è in vantaggio con il 50% dei voti previsti contro il 46% di Erdoğan prima del ballottaggio del primo turno – e questo prima che un altro candidato, Muharrem Ince del Partito della Patria, si ritirasse denunciando di essere stato l’obiettivo di una campagna diffamatoria online (i voti di Ince, dato al 2%, potrebbero passare a Kılıçdaroglu). ma certo la situazione è ancora molto fluida e il voto è tutt’altro che certo. E quando di ha a che fare con uno come Erdogan, che ha saputo anche superare un colpo di stato, ogni avversario politico deve sempre stare all’erta fino alla fine.

Negli ultimi 20 anni, prima come primo ministro e dal 2014 come presidente, Recep Tayyip Erdogan ha plasmato, e ripetutamente rimodellato, la politica interna e la politica estera della Turchia. Ma ora deve affrontare la sua più grande sfida elettorale. L’opposizione politica, spesso fratturata, si è unita dietro la candidatura di Kemal Kilicdaroglu, mentre il boom economico della Turchia, a lungo un fiore all’occhiello di Erdogan, si è affievolito negli ultimi anni a causa dell’ingerenza e della cattiva gestione di Erdogan.

Forse però, malgrado i tanti successi in campo internazionale, che lo hanno certamente rafforzato anche in patria,  Erdogan sembra aver perso la sua aura di invincibilità. Anche il malore avuto pochi giorni fa è stato visto come una sorta di psico somatizzazione di una situazione mai difficile come quella attuale per lui. Erdogan è in difficoltà sia per una crisi economica, che non ha saputo risolvere e che vede una inflazione ormai fuori controllo con un tasso al 72% contro il 215 di solo due anni fa. A questa situazione drammatica si sono aggiunti gli effetti devastanti del terremoto che nella notte tra il 5 e il 6 gennaio ha colpito la Turchia e la Siria.( secondo alcune prime stime si parla di 103 miliardi di dollari di danni, il 9% circa del Pil turco) Kilicdaroglu sta crescendo nei sondaggi, con una vittoria al primo turno domenica ora una concreta possibilità. Di conseguenza, un elettorato che era diventato svogliato dopo anni di erosione democratica sotto Erdogan sembra essere stato sconvolto dal suo torpore dalla prospettiva insolita della sua sconfitta.

La posta in gioco per la Turchia difficilmente potrebbe essere più alta. Quando il Partito per la giustizia e lo sviluppo di Erdogan, o AKP, vinse per la prima volta le elezioni nel 2002, il timore era che il partito islamista moderato avrebbe minato le fondamenta dello stato laico della Turchia. Mentre da allora il ruolo della religione nella politica e nella società turche si è ampliato, la vera minaccia si è rivelata più prosaica: un autoritarismo personalizzato, in cui il dissenso è stato criminalizzato e il potere sempre più concentrato nelle mani di Erdogan.

Anche le relazioni regionali e internazionali della Turchia sono state soggette alle vicissitudini dei mutevoli umori e dell’opportunismo di Erdogan. Erdogan ha abilmente ampliato l’influenza regionale della Turchia implementando notoriamente un approccio “zero problemi con i vicini” nei suoi primi anni al potere. Contemporaneamente ha approfondito i legami con l’Europa, perseguendo attivamente le riforme interne come parte della candidatura all’adesione della Turchia all’Unione europea e adottando un atteggiamento conciliante sulla questione controversa della riunificazione di Cipro.

Ma a partire dalla fine degli anni 2000, Erdogan è passato a un approccio più conflittuale  e molto meno aperto al dialogo con le parti.  E’ da lì che è nata la sua nomea di sultano e che il suo potere è cresciuto a dismisura nel paese, A livello regionale, la sua politica di “zero problemi con i vicini” è passata in secondo piano rispetto alle situazioni di stallo con partner storici, come Israele, e alla rivalità per l’influenza con gli stati del Golfo, a partire dalle rivolte arabe del 2011 e culminate nelle guerre civili di Siria e Libia. Anche i legami con l’Europa e gli Stati Uniti hanno sofferto, a causa delle tensioni sulle dispute territoriali con la Grecia nel Mediterraneo orientale e delle divisioni all’interno dell’alleanza NATO guidate dall’approfondimento dei legami della Turchia con la Russia. Erdogan è stato certamente bravo ad approfittare delle debolezze europee in politica estera su molti fronti aperti, come quelli mediorientale e quello dei paesi del Maghreb. Poi senza nessuna remore ha utilizzato a suo vantaggio la leva dei migranti siriani ammassati ai confini con l’Europa per ottenere miliardi di aiuti, minacciando di aprire loro i confini e gettando nel panico le cancellerie di mezza Europa, già alle prese con la difficile gestione dei migranti provenienti dall’Africa.

Più di recente, Erdogan ha adottato ancora una volta un approccio più conciliante, sciogliendo i legami con Israele e gli Stati del Golfo, allentando la tensione in Libia e Siria e cercando di svolgere il ruolo di mediatore tra l’Occidente e Mosca su una serie di questioni dopo l’invasione della Russia da parte della Russia. Ucraina. Ma come sempre con Erdogan, rimane un elemento di imprevedibilità.

Molti osservatori esterni stanno ora anticipando cambiamenti sostanziali sul fronte della politica estera in caso di vittoria di Kilicdaroglu domenica. Mentre l’entusiasmo in Europa, negli Stati Uniti e tra i vicini della Turchia per un partner meno conflittuale ad Ankara presenterà sicuramente a Kilicdaroglu un’opportunità per migliorare i legami, le aspettative per una trasformazione globale potrebbero essere irrealistiche. Anche se secondo altri anche con un nuovo presidente è difficile che la situazione in Libia e in Siria possa ormai avere dei cambiamenti troppo sostanziali, rispetto alla politica intrapresa negli ultimi anni da Erdogan

Alcune delle posizioni di Erdogan, sia nella regione che nei confronti dell’Europa e della NATO, rappresentano il consenso generale sull’orientamento della politica estera della Turchia. E la coalizione di Kilicdaroglu include un partito ipernazionalista che simpatizza con il tipo di difesa assertiva degli interessi della Turchia che Erdogan incarna. Tuttavia, se Kilicdaroglu dovesse emergere vittorioso, probabilmente adotterà un atteggiamento più conciliante che aprirà la porta alla risoluzione di alcune delle controversie guidate più dalla personalità di Erdogan che dagli interessi della Turchia, rendendo quelle che rimangono meno controverse.

Secondo molti osservatori la fine dell’era Erdogan avrebbe effetti sicuramente positivi sul processo di democratizzazione della Turchia, ma potrebbe avere effetti positivi su una migliore gestione della questione mediorientale, in cui Erdogan non ha certo usato i guanti di velluto. Ma la grande paura è che in caso di sconfitta di misura, Erdoogan farebbe di tutto per non accettare il risultato delle urne, anche a costo di scatenare una sorta di guerra civile. E questo certamente, in una situazione già ad alta tensione come quella attuale, sarebbe il peggior risultato possibile, per la Turchia, la regione e i partner di Ankara negli Stati Uniti e in Europa.

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