Il massacro sconvolse anni di regime e segnò con una linea di sangue il passaggio a una Cina più moderna e democratica
AGI – Era la notte tra il 3 e il 4 giugno 1989 quando l’esercito cinese iniziò a muoversi dalla periferia di Pechino verso Piazza Tienanmen, cuore storico della capitale, e aprì il fuoco contro migliaia di studenti che protestavano contro il regime di Deng Xiaoping.
Un massacro che provocò la condanna dell’Occidente e l’imposizione di un embargo sulla vendita di armi alla Cina. Sono passati 34 anni da uno degli episodi più drammatici della storia cinese, un massacro che sconvolse anni di regime e segnò con una linea di sangue il passaggio a una Cina più moderna e democratica.
Hu Yaobang, l’inizio di tutto
Era l’aprile 1989 quando ebbe inizio la protesta studentesca in Cina nata dal cordoglio per la morte del politico riformatore Hu Yaobang, popolare tra i riformisti, e dalla richiesta al Partito di prendere una posizione ufficiale nei suoi confronti. Un dissenso che divenne via via più intenso dopo le notizie dei primi scontri tra manifestanti e polizia. Gli studenti si convinsero allora che i mass media cinesi stessero distorcendo la natura delle loro azioni, che erano solamente volte a supportare la figura di Hu.
Il 22 aprile, giorno dei funerali, gli studenti scesero in Piazza Tiananmen, nella città di Pechino, chiedendo di incontrare il primo ministro Li Peng; la leadership comunista e i media ufficiali ignorarono la protesta e per questo gli studenti proclamarono uno sciopero generale all’università di Pechino.
All’interno del PCC Zhao Ziyang, segretario generale del Partito, era favorevole a un’opposizione moderata e non violenta nei confronti della manifestazione, riportando il dibattito suscitato dagli studenti in ambiti istituzionali. Favorevole alla linea dura era invece Li Peng, primo ministro, che era convinto che i manifestanti fossero manipolati da potenze straniere.
Egli, in particolare, approfittò dell’assenza di Zhao, che doveva recarsi in visita ufficiale in Corea del Nord, per diffondere le sue convinzioni. Si incontrò con Deng Xiaoping, che, nonostante si fosse ritirato da tutte le cariche più importanti (ma rimaneva Presidente della potente Commissione militare), restava un personaggio estremamente influente nella politica cinese. Il 26 aprile fu pubblicato sul Quotidiano del Popolo un editoriale a firma di Deng Xiaoping che accusava gli studenti di complottare contro lo stato e fomentare agitazioni di piazza.
Una dichiarazione che fece infuriare gli studenti e il 27 aprile circa 50.000 studenti scesero nelle strade di Pechino, ignorando il pericolo di repressioni da parte delle autorità e richiedendo che si ritrattassero queste pesanti dichiarazioni. Il 4 maggio circa 100.000 persone marciarono nelle strade di Pechino, chiedendo più libertà nei media e un dialogo formale tra le autorità del partito e una rappresentanza eletta dagli studenti.
La mobilitazione degli studenti
Il 13 maggio, duemila studenti decisero di insediarsi in Piazza Tiananmen e le loro richieste si radicalizzarono ulteriormente: non solo chiedevano una legittimazione, ma criticavano la corruzione del Partito ed il ritorno al conservatorismo da parte di Deng Xiaoping e chiedevano riforme politiche democratiche, innalzando il segretario del partito comunista russo in quel momento in missione in Cina Gorbacev a simbolo della riforma. In migliaia si unirono a questa protesta, supportata dagli stessi residenti di Pechino.
I manifestanti innalzarono al centro della piazza un’enorme statua, alta 10 metri, chiamata Dea della Democrazia, in polistirolo e cartapesta. La protesta si era ampliata anche fuori dalla città di Pechino, arrivando a coinvolgere oltre 300 città. Di fronte all’immobilismo dei massimi dirigenti, fu ancora Deng Xiaoping a prendere l’iniziativa, decidendo, assieme ad altri anziani del Partito, di dichiarare la legge marziale per dare un segnale ancora più forte agli studenti.
La mossa disperata di Zhao Ziyang
La notte del 19 maggio venne quindi convocato il Comitato permanente dell’Ufficio politico, organo comprendente i massimi dirigenti del PCC, al quale spettava l’imposizione della legge marziale: alcune fonti riferiscono che Zhao Ziyang fu il solo su 5 a votare contro, altre dicono che, non essendo stata trovata una maggioranza (2 a favore, 2 contro ed 1 astenuto), Deng la impose unilateralmente. Resta comunque il fatto che l’esercito, il giorno dopo, fu chiamato ad occupare la capitale.
Zhao Ziyang tentò quindi una mossa disperata: all’alba del 20 maggio si presentò in Piazza Tiananmen e tentò di convincere gli studenti ad interrompere lo sciopero della fame e l’occupazione della piazza, promettendo che le loro ragioni sarebbero state ascoltate. Nemmeno la proclamazione pubblica della legge marziale convinse i manifestanti ad arrendersi. La situazione restò quindi paralizzata per 12 giorni.
Il massacro
Fu Deng a prendere la decisione finale: in quanto Presidente della Commissione militare, fece pervenire alle truppe l’ordine di usare la forza. La notte del 3 giugno l’esercito iniziò quindi a muoversi dalla periferia verso Piazza Tienanmen. Di fronte alla resistenza che incontrarono, aprirono il fuoco ed arrivarono in piazza. Nonostante non sia possibile una ricostruzione accurata dei fatti, fu un massacro.
Il governo cinese parlò inizialmente di 200 civili e 100 soldati morti, ma poi abbassò il numero di militari uccisi ad ‘alcune dozzinè. La CIA stimò invece 400-800 vittime. La Croce Rossa riferì 2600 morti e 30.000 feriti. Le testimonianze di stranieri affermarono invece che 3000 persone vennero uccise. La stessa cifra fu data da un sito inglese di Pechino. Le stime più alte parlarono di 7.000-12.000 morti. Nei giorni seguenti si mise in atto una feroce caccia ai restanti contestatori, che furono imprigionati o esiliati.
La foto-simbolo di Tienanmen
è l’immagine simbolo del massacro di Tienanmen, ma anche di tutte le libertà negate: un uomo impavido, piantato dinanzi a una colonna di blindati sul viale di Chang’An, a Pechino. Una commovente protesta individuale ore dopo che centinaia di giovani cinesi erano morti per i proiettili di quei corazzati. L’immagine fu scattata il 5 giugno del 1989 da almeno tre fotografi piazzati sui balconi dell’Hotel Beijing, vicino a piazza Tienanmen: Gli statunitensi Jeff Widener, per l’agenzia Associated Press, e Charlie Cole, per la rivista “Newsweek”; e il britannico Stuart Franklin, di Magnum, per la rivista “Time”. “Quell’uomo solo mi rovinerà la foto”, pensò Widener, oggi 52enne, prima di immortalare le gesta dello sconosciuto, raggiunto in occasione del ventesimo anniversario dei tragici fatti.
Anche Cnn e Bbc captarono l’immagine di quel giovane che sembrava aver appena fatto la spesa e che affrontò il blindato, gli tagliò il passo e riuscì a parlare con il soldato all’interno della torretta, prima che tre uomini se lo portassero via, inghiottito per sempre dalla storia. Nella foto il cinese più cercato dai corrispondenti stranieri ad ogni anniversario della strage porta una borsa e una giacchetta nella mano sinistra, mentre nell’angolo inferiore destro dell’immagine si vede parte di un lampione di Chang An, il viale della “pace eterna”.
Era mezzogiorno, “quando i tank entrarono a Chang An: temevo che sparassero a quell’uomo, ma non lo fecero. Ricordo che dissi a Kurt: ‘questo tipo è pazzo, lo ammazzerannò”. Kurt, o Kirt, era lo studente americano che consentì a Widener di usare la sua stanza, al sesto piano dell’hotel e che, sfidando la polizia, riuscì a portare il rullino, nascosto nella biancheria, fino agli uffici dell’Associated Press: “Non ho più saputo nulla di lui, mi piacerebbe sapere che cosa ha fatto, perchè senza il suo coraggioso aiuto il mondo non avrebbe visto questa foto”.
Rimane ignota la sorte del coraggioso giovane che i media più tardi identificarono come un tale Wang Weilin: secondo alcuni, portato via dalla polizia, fu giustiziato; ma se così fosse, è singolare che il regime non diede pubblicità all’esecuzione, che avrebbe avuto un valore esemplare. “Fu lui a creare l’immagine, io scattai solo la foto”, racconta Cole, dell’uomo che con il suo gesto commosse il mondo. “E io fui onorato di stare lì”.