Agenti corrotti avevano trasformato il carcere di Biella nel ‘Paese dei Balocchi’

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I “cavalli blu” – così erano chiamati i complici in divisa – venivano pagati da 600 a 1.500 euro a seconda del tipo di “pacco” che facevano entrare in carcere: droga, cellulari e farmaci

AGI – Per alcuni era il ‘paese dei balocchi’, per altri l’inferno. Fatto sta che per la Procura di Biella il carcere di viale dei Tigli non funziona come dovrebbe. Per questo la Polizia ha compiuto un blitz che all’alba ha portato a misure cautelari nei confronti di cinquantasei persone.

L’operazione è stata condotta al termine di una lunga inchiesta della Squadra mobile di Biella in diversi comuni del Piemonte, Lombardia e altre Regioni.  Negli ultimi anni sono state diverse le indagini sulla casa circondariale biellese, alcune delle quali clamorose, come quella sui presunti pestaggi ai danni di detenuti e che aveva coinvolto 23 agenti della polizia penitenziaria.

Da dove parte l’inchiesta

Il caso più recente risale al dicembre 2022 quando un altro agente, Graziano Oliva, venne arrestato con l’accusa di cessione di sostanze stupefacenti all’interno del carcere, corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio e istigazione alla corruzione. Assieme a lui furono indagati due detenuti, accusati di detenzione di droga e di telefoni cellulari, oltre che di resistenza a pubblico ufficiale.

L’inchiesta ipotizzava la presenza nella casa circondariale di un’organizzazione per il traffico di droga, cellulari e schede Sim, che faceva capo a un gruppo di detenuti, con l’aiuto di agenti della penitenziaria compiacenti, che favorivano l’ingresso degli stupefacenti e dei telefoni.

Il carcere di viale dei Tigli a Biella era un posto in cui “puoi trovare quello che vuoi”, compresi smartphone e tablet di ultima generazione “che ancora non si vendono in piazza”. È la descrizione, emersa dalle dichiarazioni di numerosi testimoni, di quanto accadeva dentro la casa circondariale della città piemontese.

Impressionante l’elenco dei reati contestati: introduzione e cessione di sostanze stupefacenti all’interno del carcere (un vero supermarket, dalla cocaina all’eroina all’hashish, al crack a farmaci oppiodi agli anabolizzanti), introduzione di telefoni cellulari, sim card e relativi apparati, corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, istigazione alla corruzione, ricettazione, estorsione, falso in atto pubblico.

Decine di persone coinvolte

Gli indagati sono 89, ma per 56 sono state chieste e ottenute le misure cautelari. Si tratta di tre guardie carcerarie finite ai domiciliari e di altre tre per le quali è stata chiesta la sospensione dall’esercizio dell’ufficio di agente della polizia penitenziaria (il Gip deciderà dopo gli interrogatori di garanzia), di 33 persone già detenute e di 5 che hanno già lasciato il carcere per le quali è stato disposta la custodia dietro le sbarre, e di 12 familiari di detenuti, anch’essi ai domiciliari. A questi soggetti va aggiunto l’agente di polizia penitenziaria arrestato nello scorso dicembre.

La vicenda, ricostruita con una indagine cominciata nel 2019, è stata illustrata in Questura dalla procuratrice capo di Biella Teresa Angela Camelio, dal questore Claudio Ciccimarra, dai Sostituti Procuratore della Repubblica Paola Francesca Ranieri e Sarah Cacciaguerra, e dal Dirigente della Squadra Mobile, Commissario Capo Giovanni Buda.

L’indagine è partita dall’approfondimento delle dinamiche relative allo smercio di tabacchi in carcere, poi si è allargata alla droga e agli apparati telefonici e informatici. Nelle varie fasi dell’indagine è stata fondamentale l’apporto fornito dalle dichiarazioni dei detenuti, che hanno permesso di ricostruire tutta la complessa dinamica dei traffici, che erano addirittura organizzati in “piazze”, a seconda dei piani, dei reparti e delle sezioni.

Come ha spiegato il magistrato, però, il vero spartiacque dell’indagine è stata una perquisizione in carcere dell’aprile 2021, apparentemente fallimentare nei risultati, ma che in realtà ha permesso agli inquirenti di aprire canali di comunicazione con alcuni detenuti che hanno permesso di ricostruire la trama dei traffici illeciti, delle complicità e delle modalità di gestione.

Il telefono arrivava per posta

Per esempio, è emerso che droga e telefonini venivano introdotti attraverso pacchi postali indirizzati a nominativi fittizi, con i “lanci” di materiale dall’esterno del carcere, durante i colloqui con i parenti e con la complicità di alcuni agenti di polizia penitenziaria.

Le tecniche per dissimulare la merce illecita erano anche curiose: è stato accertato che sono stati introdotti in carcere smartphone nascosti in confezioni di tavolette di cioccolato e microtelefoni in confezioni di torroncini.

“Senza la complicità degli agenti – ha aggiunto il procuratore nel corso dell’incontro con i giornalisti – non sarebbe stato possibile che il traffico raggiungesse quantitativi ingenti come quelli accertati, necessari per soddisfare un mercato ampio, dovuto in particolare all’altissimo tasso di tossicodipendenza tra i detenuti”.

I “cavalli blu” – cosi’ erano chiamati i poliziotti complici dei traffici venivano pagati dai 600 ai 1.000-1.500 euro a seconda del tipo di “pacco” che facevano entrare in carcere.

Foto © Elio Villa / Agf
–  Un carcere

 

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