Sarà una Ong italiana ad aiutare un gruppo di ex fornaie che hanno perso la loro attività e hanno già le competenze necessarie ad acquisire le conoscenze gestionali
AGI – Il pane ha un significato particolare in Afghanistan: ora, grazie al progetto di una Ong italiana che ha ottenuto l’autorizzazione del governo dei talebani, alcune donne di Kabul produrranno e distribuiranno il ‘naan’, un’occasione per loro per rendersi ancora utili nonostante tutte le restrizioni cui sono sottoposte.
“Le donne afghane non si arrendono: sono speranzose, energiche, abili, coraggiose, motivate e generose”, dice all’AGI da Kabul, con una punta di orgoglio, una operatrice umanitaria dell’ong italiana NOVE. La giovane donna, anonima per ragioni di sicurezza, esperta di imprenditoria femminile tiene a sottolineare che la formazione, il potenziamento delle donne e lo sviluppo delle loro attività imprenditoriali e commerciali sono “l’unica cosa che qui possiamo fare, un modo per resistere ed esistere!”.
Il progetto unisce intervento umanitario e di sviluppo, puntando ancora una volta sulla resilienza delle afghane. Lo presenta in anteprima all’AGI Livia Maurizi, coordinatrice dei programmi di NOVE, organizzazione umanitaria con sede a Roma, che opera in Afghanistan da 11 anni, una delle poche realtà italiane autorizzata dal governo dei talebani a portare avanti le proprie attività.
“Bread for Women” ha appena ottenuto la formale approvazione ministeriale, consentendo così a nove donne di produrre e distribuire pane in tre panetterie attualmente in disuso a Kabul. Saranno riabilitate per far ripartire l’attività in modo più sostenibile e rispettoso della loro salute. NOVE e i donatori che hanno finanziato il progetto – Linda Norgrove Foundation, l’Unione Buddista Italiana (con i fondi dell’8 per mille) e l’Uplift Afghanistan Fund – hanno deciso di puntare su un progetto replicabile, che in prospettiva sarà generatore di reddito per un numero sempre maggiore di donne, rispettando i limiti imposti dal regime.
In un contesto di carestia diffusa, l’idea è di incentrare il nuovo progetto sul pane, ‘naan’ in lingua Dari, alimento di base del regime alimentare degli afghani, un vero simbolo nonché il cibo più economico per sfamarsi.
Ogni giorno una famiglia media di sette componenti – due genitori e cinque figli – consumano tra 7 e 10 pani da 180 grammi. A colazione si mangia pane con uova o formaggio e del tè, mentre a pranzo il pane accompagna una porzione di melanzane o di patate e a cena viene servito con altre verdure.
“Tutti i prezzi sono lievitati. Il pane è diventato ancora più importante di prima, soprattutto da quando il costo del riso è aumentato, ma chi lo produce deve fare i conti con il rincaro della farina”, racconta l’operatrice dall’Afghanistan.
In “Bread for Women”, spiega “saranno coinvolte donne di ogni età, dai 30 ad oltre 50 anni, che sono felici di avere l’opportunità di rimettersi al lavoro, di poter avere piccole entrate per la propria famiglia e ancor di più di aiutare le vicine di casa distribuendo del pane gratuitamente”.
Un’altra sfida del progetto è quella di trasformare il processo produttivo e ristrutturare le panetterie in un nuovo sistema meno inquinante, offrendo così alle beneficiarie una tutela sanitaria finora inesistente.
La maggior parte delle afghane non possono più andare a lavorare, nemmeno negli impieghi statali, studiare, uscire e viaggiare da sole, andare in palestra, svolgere attività sportive, andare in palestra e nei centri estetici oppure visitare siti storici. “In effetti lo scenario nel quale operiamo è molto complesso. Ci sono sempre meno diritti per le donne, sempre più controlli dalle autorità e disposizioni nuove che cambiano spesso la gestione dei progetti. Ci vuole diplomazia e strategia per riuscire a portare avanti gli obiettivi”, riferisce l’esponente del team romano incaricata del nuovo progetto.
Questi progetti di sviluppo focalizzati sulle donne hanno anche una ricaduta sociale sulle famiglie e sull’intera società. “Vogliamo continuare a dare spazio alle donne: rispondere ai bisogni di emergenza riducendo al minimo l’impatto dell’insicurezza alimentare tra quelle più vulnerabili e fornire inoltre opportunità di sostentamento alle fornaie di Kabul”, spiega ancora Livia Maurizi da Roma.
Cambia quindi la formula: “non siamo più noi a portarvi il pane ma siete voi, donne, a produrlo localmente”, evidenzia la responsabile del progetto. Al lato pratico, il pane sarà prodotto da ex fornaie che hanno perso la loro attività, donne che in parte hanno già le competenze necessarie.
Riceveranno comunque una formazione ad hoc incentrata per lo più sulla gestione, per stabilire con precisione la quantità di farina da acquistare, il margine tra costo delle materie prime, le altre spese da sostenere e il ricavato dalle vendite in modo da riuscire a portare avanti l’attività da sole in futuro.
Prima, durante 7 mesi, ogni giorno, riceveranno gratuitamente la farina e tutto l’occorrente alla produzione del pane che quotidianamente verrà distribuito a 112 donne in condizioni particolarmente difficili. Per cominciare sei panettiere vengono selezionate e tre altre donne addette alla distribuzione, che dovranno verificare l’identità delle beneficiarie in lista.
Attualmente le razioni alimentari distribuite ai più bisognosi comprendono cinque pani al giorno da 360 grammi e spesso davanti ai forni si formano lunghe code di donne col burqa che vengono a chiedere il pane di scarto del giorno prima.
Da agosto 2021 i prezzi della farina hanno oscillato abbondantemente con picchi, in alcune regioni, del 57%. I prezzi attuali rimangono elevati rispetto ai livelli del 2021, sebbene significativamente inferiori rispetto ai picchi osservati nel primo trimestre del 2022.
In Afghanistan, di frequente buche profonde vengono scavate in casa o nei giardini di casa, destinate alla cottura del pane a legna, considerato più gustoso, solo che non esiste un impianto di aspirazione efficace pertanto i fumi dannosi rimangono o finiscono tutti dentro l’abitazione.