Lo spettacolo “Sesto potere” al Teatro Ambra Jovinelli di Roma

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«Il potere non è un mezzo, è un fine. Non si stabilisce una dittatura nell’intento di salvaguardare una rivoluzione; ma si fa una rivoluzione nell’intento di stabilire una dittatura. Il fine della persecuzione è la persecuzione. Il fine della tortura è la tortura. Il fine del potere è il potere.» George Orwell

Inizia così “Sesto potere –Nascita di una democrazia violata dall’odio, dal denaro e dalla vendetta” lo spettacolo scritto e diretto da Davide Sacco, che ha riempito il Teatro Ambra Jovinelli di Roma dal 10 al 21 gennaio 2024.

Dopo il quarto potere della stampa e il quinto potere della televisione, stiamo vivendo un sesto potere, molto più̀ sottile e infimo, che scivola tra gli smartphone, le notifiche Facebook e le stories su Instagram. La storia portata in scena è quindi una storia tristemente attuale incentrata sul duello invisibile ma drammaticamente tangibile tra social e realtà che si scontra con gli aspetti più oscuri e viscerali della politica contemporanea durante una campagna elettorale feroce. Questo è il fatto che racconta, il come viene raccontata e il motivo per il quale è nata l’opera sono però i fattori che la rendono davvero interessante.

I tre capitoli, odio, denaro e vendetta (scritti a lettere cubitali sullo sfondo del palco) aprono a temi antichissimi che hanno ispirato milioni di spettacoli ma che ancora oggi caratterizzano la nostra società a causa di un uso distorto e losco dei social network. La creazione e diffusione di notizie false riesce a interferire sull’opinione pubblica, manipolando coscienze sino a generare il compimento di atti estremi.

L’ambientazione passa dallo studio televisivo del noto conduttore Walter Malosi, interpretato da Francesco Montanari, a un garage isolato con solo una tv, una sedia e tre ragazzi – incarnati da Cristiano Caccamo, Nina Torresi e Matteo Cecchi – che sono stati pagati da un partito di estrema destra, per orientare in modo subdolo le elezioni politiche attraverso i media.

L’ultima sera prima del silenzio elettorale, i sondaggi sono a favore della destra, ma, quando durante il programma tv “Grande Ring” Malosi intervista il vicesegretario del partito accusandolo di foraggiare con i suoi colleghi gruppi di odio raziale e progetti sovranisti, questi invertono la loro tendenza drasticamente. I ragazzi, per evitare che questo comprometta in qualche modo le loro rendite – dopo un acceso scontro – decidono di smettere di creare fake news contro il partito avversario e di diffamare direttamente il conduttore: investono migliaia di euro in pochi minuti per hackerare la sua mail e per diffondere sul web la notizia che Malosi ha preso dei soldi dalla sinistra per pilotare la campagna elettorale. Alla repentina sospensione della trasmissione da parte del Presidente del canale televisivo, i tre esultano ma ben presto si rendono conto di aver prosciugato il loro budget.

Il secondo atto introduce come forza motrice della trama il denaro che è, però, solo il pretesto per indagare ancor di più su quello che direi essere il vero tema su cui si fonda l’intera opera, ossia il conflitto interiore di ognuno dei ragazzi incastrati tra le loro aspirazioni e quello che la società li costringe a diventare. L’obiettivo – ha dichiarato infatti il regista – è quello di provare a capire quali possono essere “le motivazioni che spingono una generazione a comportarsi in maniera crudele, cattiva, bastarda”. Veniamo a conoscenza della rabbia incontrollabile di uno di loro, che dopo una dose di stupefacenti, si “sbottona” in una riflessione generazionale ed esistenziale sull’incompiutezza dei giovani trentenni senza soldi e senza futuro. Al suo sfogo risponde con altrettanti dubbi e incertezze l’altro protagonista maschile, del quale si deduce però la profonda avidità e pericolosità, e insieme decidono di ricattare Malosi chiedendogli 100.000 Euro per il loro silenzio.

Nel terzo capitolo infatti è proprio l’unica donna della storia a rivelare il segreto nascosto del giornalista e al tempo stesso l’odio personale nutrito nei suoi confronti, che la porta a maturare un forte sentimento di vendetta. “Ci avete insegnato ad essere squali ma noi siamo diventati piragna” – recita la Torrisi trasmettendo tutto il dolore di una figlia che ha perso il padre a causa di Malosi. Il suo attacco struggente raggiunge il culmine con una disperata richiesta di uccidersi, alla quale il conduttore risponde lacerato dai sensi di colpa: “Io sono il mio share, ma vorrei avere la forza di sentirmi un essere umano”, conclude lui togliendosi la vita.

Gli attori trasmettono con maestria la tensione emotiva e la rabbia che caratterizzano questo periodo, offrendo uno sguardo crudo sulla lotta per il potere. La scenografia interattiva e le proiezioni visive contribuiscono a creare un’atmosfera coinvolgente, e profondamente riflessiva, che lascia il pubblico con un sentimento di urgente necessità di cambiamento.

Lo spettacolo affronta con coraggio temi scottanti della società contemporanea e ci ricorda, qualora la cronaca non ci riesca abbastanza, che la comunicazione deve essere orientata sempre ad informare in modo sano e veritiero e che i giovani d’oggi sono scontenti e arrabbiati per i lasciti disastrosi di chi li ha preceduti. Ora siamo noi a dover fare i conti con le conseguenze di un mondo che si fa plasmare con facilità e che dà potere a un potere che ci sta distruggendo eticamente.

Per generare questi pensieri, infondo, non ci vuole molto: un palco con un’ambientazione minimalista e dei performers che ci credono e che convincono anche gli spettatori.

È questo il teatro che smuove davvero coscienze!

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