Blade dopo Blade Runner

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Blade dopo Blade Runner si articola in un plot che vive nel pensiero rammemorante: i ricordi, attraverso cui si dispiega la narrazione, sono collocati: nella “temporalità immaginaria” di Hawking e nella dimensione quantica: in uno spazio che vede realizzata l’unificazione delle forze fondamentali presenti in natura quali gravitazione elettromagnetica, debole e forte: qui l’infinitamente grande (l’universo) e l’infinitamente piccolo (le particelle elementari) dialogano tramite l’ombelico iperbolico della teoria delle catastrofi di René Thom.
Il racconto, tramite la realtà virtuale, consente la realizzazione di teorie non ancora del tutto verificate.
La narrazione e la prima stesura Blade risale al 1993, ben prima del sequel Blade Runner 2049, ed è la continuazione ed il superamento della dimensione visionaria di Blade Runner cui si aggiunge la quarta parte a conclusione del racconto nel 2023 © Giacinto Plescia (pseudonimo G.P. di Monderose).

Blade dopo Blade Runner

1^ puntata

Non sapevo di saper scrivere.
Un’altra volta mi sorpresi delle mie facoltà.
Quando incontrai Rekard nel suo rifugio di S. Angeles, pieno di ricordi.
Ah, quelle foto ora le conservavo io. Non sono riuscita a comprendere perché quei miseri, ingialliti ed insignificanti frammenti di celluloide offrano più identità di un’opera d’arte agli esseri umani.
Rekard provò a spiegarmi che per loro la memoria dei ricordi sia un ritornare nell’origine dell’essenza dell’esistenza. Ma per gli androidi non esistono origini e men che meno esistenza, giacché noi non siamo esseri.
“Ma allora perché tu desideri possedere dei ricordi?”
“Ah, perché tutti gli altri androidi sono alla ricerca di memoria e forse anch’io sono stata influenzata da quella moda.”
Non era vero. Quando guardai le foto della madre di Rekard desiderai che fosse la mia.
Mentre gli altri androidi sognano pecore elettriche io ho sempre sognato una madre vera: come quella della foto di Rekard.
“Non sei contenta di avere un padre?” mi chiese, quasi avesse letto nei miei pensieri.
“No. Quello che hai conosciuto tu, non era il mio creatore”.
“Ma se mi disse che ti aveva creata lui! E che tu fossi un androide speciale, il più perfetto che ci fosse sulla nostra galassia!”
“Ti avrà anche spiegato che io non sono un androide”.
“Si, ma se ti ho scoperta io, con la domanda sul cane!”
“Sciocco, sono stata io a rivelarmi, per non farti fare una brutta figura con il Gran Padre. Avevi tanto bisogno di quel lavoro in pelle.”
“Ma se non sei un’androide, che cosa sei?”
“Una ginoide.”
“Una ginoide? E che significa? Un’androide femmina?”
“Eh no, c’è una differenza ontologica tra le androidi femmine che hai eliminato, simili agli altri androidi ed una ginoide … “
“Una differenza ontologica? Ho sempre pensato che gli androidi fossero stati costruiti per le missioni speciali nello spazio, non per dilettarsi in filosofia dell’essere.”
In quel momento iniziai ad odiarlo. Va bene, sarei stata poco carina con lui; perché non mi denunciò a quel cacciatore di replicanti di S. Angeles, metà giapponese e metà spagnolo, ma quella sua ironia da essere superiore mi aveva proprio annoiata.
Mi misi al pianoforte che preparai in un battibaleno nella nostra casa-rifugio dell’Arkansas e suonai la sinfonia K 550 di Mozart.
Così, senza averla mai sentita ma solo per averla letta sullo spartito. Chissà perché quelle note in simbiosi con le foto di Rekard elevarono le mie facoltà pensanti verso una temporalità del passato.
Se prima mi meravigliai che non sapevo di suonare ora mi sovvenne: non sapevo di saper ricordare.
Sarà anche stata la domanda di Rekard su chi fosse il mio creatore, sarà stata forse la musica di Mozart, saranno state le foto ingiallite lì davanti ai miei occhi tremanti di pianto, o altro ancora di cui non riuscii a decifrare il senso: fatto sta che mi lasciai andare al pensiero rammemorante.
“Oh Rekard!” dissi con una voce mai sorta dalle mie corde vocali di fibre di carbonio fuse con l’idrogeno: una voce da soprano? Le corde vocali del soprano vibrano al limite degli ultrasuoni.

Il pensiero rammemorante

2^ puntata
Il Mio pensiero rimemorante si è rivolto alle temporalità del passato ed è in grado di ricordare … sì credo di poter sapere.
Blade, tu sei stata creata al silicio e drogata con oro, arsenico e gallio; se vuoi: non sei stata creata al carbonio e drogata con ossigeno, idrogeno e calcio come tutti gli esseri umani …
Certo è che la mia essenza non è composta da silicio e frattaglie come quelle degli altri replicanti, né da molecole di carbonio lineare e acqua come quella degli esseri umani … Se non possiedi un padre, avrai tutti come madre …
Una madre. Mi sorpresi a pensare: non sapevo di saper pensare e non sapevo di saper immaginare.
Una madre? Tu pensi che io possa avere una gran Madre invece di un gran Padre? Rimasi lì, con i ricordi ed i pensieri che rimbalzavano nella mia mente artificiale.
Artificiale? Da quel momento quella parola non mi risuonò più in modo naturale. Naturale?
No, quell’essenza è una qualità solo degli umani. E degli animali, dei vegetali e dei minerali. Ma io non ero né minerale, né animale, né umana, né mi sentii più artificiale, di quale essenza era la mia mente o il mio corpo?
Una madre… avrei voluto sognare una madre tutta per me. Bella come quella di Rekard alla quale assomigliassi nel colore degli occhi, nel taglio e nella profondità della vista.
Le foto della madre di Rekard: non assomigliava per niente al figlio … perché non ci sono tra le sue foto nonne o ave?
Filtrai con i miei raggi delta la grana di quelle immagini. Come avevo sospettato … tutte le foto provenienti da epoche diverse ed assemblate con la stessa immagine femminile. Un montaggio temporale.
Ma perché Rekard avrà fatto questo? Guardai Rekard sotto la doccia ed osservai l’ acqua sparire nella buca dalle vasche idromassaggi … un attrattore strano come una singolarità dello spazio tempo … perché i miei pensieri si rivolsero verso quell’evento singolare?
Ma non c’era tempo per riflettere.
Rekard, sotto l’acqua, mi avvertì:
“Blade, preparati, dobbiamo fuggire di nuovo, prima o poi qualcuno ci troverà”.
Lasciammo la casetta dell’Arkansas bianca e rilucente come la neve simulata nelle sfere di cristallo. E furono le radure verdi del Vermont la nostra meta.
Guardai Rekard occupato nella guida della nave spaziale. La sua mi parve un’indifferenza vuota, quasi assente. La presenza di un’assenza di senso: quasi fosse un automa o un replicante o un androide.
Sarà che anch’io lo fossi e percepissi la differenza di allontanante come una prossimità identificante?
Mi fu spiegato che il mio codice potesse avvertire simili sensazioni. Avrei percepito l’altro non quale nemico da uccidere ma quale origine della mia più intima identità. Lì per lì non andai oltre quelle sensazioni.
Tant’è che chiesi: “Siamo diretti nel Vermont?”
“Si, vedrai che ti piacerà. Le foreste li sono curate come se fossero dell’era preatomica.”
“Andremo a rifugiarci in quella casetta ritratta nel tuo album di fotografie? È tua?”
Ma Rekard non rispose. Sembrava non riuscisse a percepire quel senso di proprietà.
La casetta si svelò ai nostri occhi in mezzo al verde di una radura d’una folta selva dell’ancora selvaggio Vermont

Il collezionista di foto

3^ puntata

Splendida.

Quando entrammo nella casa di legno e vetro la mia attenzione fu attratta dalle foto a colori che ornavano il caminetto.
Notai che in nessuna di quelle foto fosse ritratta la madre di Rekard. Perché?
Guardai fuori, nella radura verde, mentre lui s’inoltrava nella foresta, solo in quel momento la mia mente s’ illuminò.
Rekard non deve essere un umano, deve essere un cacciatore di replicanti d’ altrove.
Ma perché farmi credere nelle sue memorie e ricordi terrestri?
Quelle sue foto solo allora mi apparvero una collezione di ricordi differenti, frammenti di esseri umani diversi.
Le liberai dalla cornice per trovare conferma attraverso le date e le iscrizioni. Decriptai immediatamente luoghi, persone e tempi diversi in ogni foto.
Che fosse un collezionista di foto oltre ad essere un cacciatore di replicanti?
E se fosse in preda alla stessa sindrome dei replicanti sue vittime: la sindrome della collezione di ricordi mai avuti?
No, non può essere un replicante, lui mi ha protetto. Ed ha ucciso gli altri replicanti.
E se fosse un replicante killer d’altri androidi?
C’è solo un modo per scoprirlo: la prova di Michelson.
Si, la biforcazione luminosa di Michelson. L’ antica prova della relatività e della costanza della velocità della luce. Tutti gli esseri umani ed i replicanti avvertono solo la biforcazione della luce quando si infrange nello specchio argentato.
Ora, Rekard, dovrai osservare attentamente le biforcazioni della luce ultravioletta che si riflette sul mio corpo.
“Quanti raggi solari percepisci, che si siano differenziati?”
“Due.”
“Non riesci ad intravederne un terzo?”
“No. Solo due che si biforcano dal tuo petto.”
“Sei un replicante!” Gli esseri umani riescono a decifrare la bistabilità di Michelson ma usano il cannocchiale od il microscopio, tu invece hai visto differenziarsi il raggio ultravioletto ad occhio nudo. Ma un momento …
Cosa? Cos’è quella nuvola malvalillà che si disvela al nostro sguardo?
“Una nuvola? Malvalillà? Dove?”
Lì nella radura, svelata dalla luce takione. Mai svelare l’invisibile a chi vede solo il visibile!
Dalla malvalillà si disvelò una singolarità a curvatura negativa che dispiegò l’immagine di una donna.
“Blade, finalmente ti ho ritrovata …
“Così parlò quell’essenza malvalillà.
“Il gran padre ti rapì per portare l’ordine nel nostro cosmo ma io ti ho creata perché tu esplorassi la curvatura universale dell’universo.
Ora dimmi Blade, cosa c’è ai confini del tempo immaginario ove l’universo è attratto dal buco nero chaosmico?”
“Ma questa da dove viene fuori?” chiese Rekard  “dev’essere una presenza dell’assenza dell’essenza oscura … “
“Non ironizzare su di me Rekard! Ti conosco, sei il più bell’esemplare che il Gran Padre costruì ma di fronte alla mia Blaide non vali nulla … Tu sei di silicio, lei ha un cervello di carbonio.
Il cervello degli esseri umani è composto con il carbonio lineare, mentre il cervello di Blaide è stato creato con il carbonio a curvatura positiva.
Ogni neutrone è una monade al fullerene idrogenato che può percepire i raggi invisibili e le radianze invisibili quali i takioni.
Perciò la inviai ai confini dello spazio tempo immaginario.
Ma ora dimmi, Blade, prima che sia troppo tardi per l’universo, cosa c’è ai confini a curvatura positiva del nostro universo?”
Ora mi sovviene… perciò ero sempre alla ricerca di ricordi, più che altrui, miei.
Là dove lo spazio tempo si incurva e dispiega la salienza dell’universo verso le forme della singolarità topologica, simile alla bottiglia di Klein c’è l’evento della temporalità immaginaria che trova sempre di fronte a sé l’origine.https://frame-frames.blogspot.com/2017/02/blade-di-gp-di-monderose-3-puntata-anno.html

Blade un’altra donna

4^ puntata
Blade e Rosen-Rosen
Era snella, con i capelli neri, e portava enormi occhiali di nuovo modello per filtrare la polvere: si avvicinò alla macchina, le mani ficcate nelle tasche del lungo cappotto a strisce vivaci.
Sul piccolo volto dai lineamenti molto marcati, aveva un’espressione di torva avversione.
«Che c’è che non va?» le chiese Rick nello scendere dalla macchina. https://www.giacintoplescia.it/blade/
La ragazza rispose, in modo evasivo:
«Oh, non so. Qualcosa nel tono con cui si sono rivolti a noi al telefono. Non importa.»
Senza preavviso protese la mano; lui gliela strinse pensoso.
Blade, Rachel Rosen e Deckard
«Sono Rachael Rosen. Il signor Deckard, suppongo.»
«Non è stata un’idea mia», ribatté lui.
«Sì, l’ispettore Bryant ce l’ha detto. Ma lei rappresenta ufficialmente il Dipartimento di Polizia di San Francisco, il quale non crede che l’unità da noi prodotta contribuisca al benessere pubblico.» Lo squadrò da sotto le lunghe ciglia, probabilmente finte.
Rick disse: «Un robot umanoide è come qualunque altra macchina; può oscillare con molta facilità tra l’essere un beneficio o un pericolo. La parte benefica non ci riguarda.»
«Ma se costituisce un pericolo», disse Rachael Rosen, «allora intervenite voi. È vero, signor Deckard, che lei è un cacciatore di taglie?»
Per tutta risposta Rick alzò le spalle, poi, con riluttanza, annuì.
«Per lei non c’è niente di strano nel considerare un androide come una cosa inerte», disse la ragazza. «Così lo può ritirare, come si suoi dire.»
«Avete preparato il gruppo selezionato per me?» chiese Rick. «Vorrei…» Non finì la frase. Perché, tutto d’un tratto, aveva visto i loro animali.
Un’azienda molto potente, si rese conto, è certo in grado di permetterseli. A livello inconscio, evidentemente, s’era aspettato di trovare una collezione del genere; non era sorpresa quella che provava quanto piuttosto una specie di struggimento. Si allontanò adagio dalla ragazza, verso il recinto più vicino. Li sentiva già, gli odori diversi delle creature.
La Civetta
«Guardi la civetta», disse Rachael Rosen. «Ecco, la sveglio per lei.» Si avviò verso una piccola gabbia distante, al centro della quale spiccavano i rami secchi di un albero.
Le civette non esistono più, possiamo fidarci?
«È artificiale», esclamò, come se all’improvviso se ne fosse reso conto; il disappunto gli sgorgò dentro con acuta intensità.
«No», sorrise lei, e Dick vide che aveva piccoli denti regolari, bianchi quanto gli occhi e i capelli erano neri.
Pensò la pecora elettrica, che lui doveva tenere e curare come se fosse viva.
La tirannia di un oggetto, pensò. Non sa neanche che io esisto.
Come gli androidi, non è in grado di rendersi conto dell’esistenza di un altro.
Non aveva mai pensato in questi termini prima d’allora, non aveva mai considerato l’analogia che c’era tra un animale elettrico e un droide.
L’animale elettrico
L’animale elettrico, meditò, potrebbe venire considerato una sub specie dell’androide, un tipo di robot assai inferiore ad esso.
O, al contrario, si poteva considerare l’androide una versione altamente sviluppata ed evoluta dell’animale finto. Entrambi i punti di vista gli ripugnavano.
«Se vendeste la civetta», chiese alla giovane Rachael Rosen, «quanto vorreste in anticipo?»
«Non venderemo mai la nostra civetta.»
Lo osservava con un misto di piacere e di commiserazione; o così gli parve di leggere l’espressione apparsa sul volto della ragazza.
«E anche se lo vendessimo, lei non sarebbe mai in grado di pagare quel prezzo. Che animale ha a casa?»
«Una pecora.»
«Allora dovrebbe essere contento.»
«Sono contento», rispose.
Blade: il piano globale
Rachael disse:
«Il nostro attuale programma intensivo come anche il piano globale prevede ora una ricerca per procurarci un’altra civetta che possa accoppiarsi con Scrappy.»
Indicò la civetta che sonnecchiava sul trespolo; aveva per un istante aperto entrambi gli occhi, fessure gialle i cui margini si ricongiunsero allorché la civetta si riaccinse a continuare il suo sonno.
Il petto le si alzò e riabbassò in modo alquanto evidente, come se la civetta, in quello stato ipnagogico, avesse profondamente sospirato.
Rachael disse:
«Lo zio Eldon dovrebbe aver finito di preparare il gruppo di androidi e il gruppo di controllo. Andiamo.»
S’incamminò decisa verso l’ascensore, le mani di nuovo ficcate con forza nelle tasche del cappotto; non si volse a guardarlo, e lui esitò un attimo, seccato, prima di cominciare finalmente a seguirla.
I modelli Nexus
«Che cos’ha contro di me?» le chiese mentre scendevano insieme.
Lei ci riflette un po’ su, come se fino ad allora non l’avesse saputo.
«Insomma», disse infine, «lei, un semplice dipendente di un dipartimento di polizia, si trova in una posizione unica. Capisce cosa voglio dire?»
Gli lanciò di traverso uno sguardo pieno di malizia.
«Quanta della vostra produzione attuale», chiese Rick, «è costituita dai modelli Nexus?»
«Tutta», disse Rachael. Gli occhi neri mandavano scintille; lo guardava Rosen-Rosen.
Rachael Rosen-Rosen qui e su Marte.
I Rosen lo studiavano con apprensione e sentì la vacuità delle loro buone maniere; venendo qui aveva portato a loro il nulla, aveva fatto loro presagire il vuoto e il silenzio della morte.
Ovviamente, Rosen questo lo sapeva benissimo.
Una collezione di farfalle
S’interruppe.
«Proceda pure, signor Deckard.» «Per il suo compleanno le regalano un portafoglio di cuoio.»
«Non l’accetterei», disse Rachael. «E poi denuncerei alla polizia la persona che me l’ha dato.»
«Suo figlio le mostra una collezione di farfalle, e anche il barattolo che usa per ucciderle.»
«Lo porterei dal dottore.» La voce di Rachael era bassa ma ferma.
«Sta guardando la TV», continuò, «e all’improvviso s’accorge che una vespa le si è posata sul polso.»
«L’ammazzerei subito», rispose pronta Rachael.
Le lancette, stavolta, non registrarono quasi nulla: solo un debole tremore di un attimo.
Dal punto di vista formale, una risposta esatta. Ma simulata.
Le carte geografiche e la testa di un cervo
«Affitta una casa in montagna», disse Rick, «in una zona ancora verde. È costruita in travi di pino rustiche e ha un enorme camino.»
«Va bene», disse Rachael, annuendo impaziente.
«Alle pareti sono state appese delle vecchie carte geografiche, e sopra al camino è stata messa la testa di un cervo, un maschio adulto dalle corna ramificate. Alle persone che sono con lei l’arredamento piace e decidete…»
«Non con quella testa di cervo», interruppe Rachael.
Le lancette, però, oscillarono solo nel settore verde.
Blade: un’altra donna
«Rimane incinta», continuò Rick, «di un uomo che le ha promesso di sposarla. Ma costui se ne va via con un’altra donna, la sua migliore amica; lei abortisce e…»
«Non abortirei mai», disse Rachael.
«E comunque non si può. C’è l’ergastolo e la polizia vigila continuamente.»
Stavolta entrambi gli aghi sventagliarono violentemente fino al rosso.
«Che ne sa?» le chiese Rick, curioso. «Di quanto è difficile abortire?»
«Lo sanno tutti», rispose Rachael.
«Mi sembrava che lei parlasse per esperienza personale.»
Si concentrò sulle lancette; di nuovo oscillarono per quasi tutta l’ampiezza del quadrante.
La corrida
«La prossima. Una sera esce con un uomo che le chiede di andare nel suo appartamento. Le offre da bere. Mentre gli porge il bicchiere coglie uno scorcio della camera da letto; è abbellita da manifesti che annunciano una corrida, e lei entra nella stanza per vederli un po’ più da vicino. Lui la segue e chiude la porta. Le cinge le spalle e dice…»
Rachael lo interruppe: «Cos’è il manifesto di una corrida?»
«Sono disegni, di solito a colori e molto grandi, di un torero con la cappa e di un toro che tenta di incornarlo.»
Era sconcertato.
«Quanti anni ha?» chiese; l’età poteva essere un fattore di rilievo.
«Diciotto», disse Rachael.
«Va bene, allora il tipo chiude la porta e mi mette il braccio sulle spalle. Cosa dice?»
Rick disse, «Sa come andava a finire una corrida?»
«Immagino che qualcuno finiva per farsi del male.»
«Il toro, alla fine, veniva sempre ammazzato.»
Attese, fissando i due aghi. Palpitavano senza posa, ma niente più. Praticamente non segnavano nulla.
Un film, le ostriche crude e un cane
«L’ultima domanda», annunciò.
«È in due parti. Sta guardando un vecchio film alla TV, un film di prima della guerra. Siamo nel pieno di un banchetto e gli ospiti degustano ostriche crude.»
«Che schifo!» esclamò Rachael; gli aghi scattarono veloci.
«Il piatto principale», continuò Rick, «era cane bollito con ripieno di riso.»
Gli aghi si mossero di meno stavolta, meno di quanto s’erano mossi per le ostriche crude.
«Per lei le ostriche crude sono più accettabili di un piatto di cane bollito? Evidentemente no.»
Ripose la matita, spense il fascio di luce, le tolse la ventosa dalla guancia.
«È un androide», disse.
«L’esame è finito: questa è la conclusione del test», comunicò alla ragazza – o, piuttosto, alla cosa – Rosen,
«Ho ragione, no?» chiese Rick.
Nessuno dei due Rosen rispose.
Il maggiore dei Rosen disse, «Non è un androide.»
«Non ci credo», ribatté Rick.
«Perché dovrebbe mentire?» intervenne Rachael.
«Caso mai mentirebbe nell’altro senso.»
«Voglio che su di lei venga effettuata un’analisi del midollo osseo», le disse Rick.
«Lo si può determinare da un punto di vista organico se lei è un androide o no; richiede tempo e provoca dolore, lo ammetto, ma…»
«Da un punto di vista legale», disse Rachael, «non mi si può costringere a sottoponibili all’analisi del midollo osseo. È già stato stabilito in giudizio; costituirebbe un atto di autoincriminazione. E comunque, su un soggetto vivente – non sul cadavere di un androide ritirato – ci vuole troppo tempo. L’esame è finito.»
Si alzò, si allontanò da lui, e rimase in piedi con le mani sui fianchi, volgendogli la schiena.
«Mi avrebbe ritirato», disse Rachael volgendo solo il capo.
«A un controllo di polizia sarei stata ammazzata. Lo sapevo da quando sono arrivata qui quattro anni fa. Non è la prima volta.»
Rosen-Rosen-Rosen l’osservavano in silenzio.
Il pronome neutro
«È troppo tardi. La teniamo in pugno, signor Deckard», disse Rachael Rosen in tono calmo e ragionevole.
Quindi, si volse verso di lui e sorrise.
Rosen Rachael Rosen portavoce dell’entità Rosen-Rosen-Rosen, chiese:
«Le piacerebbe possedere una civetta?»
«Dubito che sarò mai in grado di possedere una civetta.»
Ma aveva capito di cosa stava parlando; Rosen intendeva concludere. Rosen si chinò verso di lui, stavolta più vicina; poteva percepirne una leggera fragranza, quasi un tepore.
Rosen, disse: «È suo, caro mio», disse Rachael.
«Non ricorda? Gli legheremo l’indirizzo di Rick Deckard alla zampa e lo spediremo giù. Esso l’aspetterà a casa quando torna.»
Esso, pensò Rick. Ha usato il pronome neutro invece di quello femminile.
La valigetta
«Scusate un secondo», disse.
Ferma sulla porta, Rachael disse, «Si è deciso?»
«Voglio», le rispose, aprendo la valigetta, «farle ancora una delle domande. Si risieda. La mia valigetta. Bella, no? È del dipartimento.»
«Sì, sì», disse Rachael con tono distante.
«Pelle di bambino. Cento per cento pura pelle umana di bambino.»
Vide i due indicatori dei quadranti agitarsi freneticamente.
Ma si erano mossi dopo una pausa.
La reazione aveva avuto luogo, ma troppo tardi. Sapeva quale doveva essere il tempo di reazione, senza sbagliarsi di una frazione di secondo, l’esatto tempo di reazione: non ci doveva essere nessun tempo di reazione.
«Grazie, signorina Rosen», disse e raccolse di nuovo tutta l’apparecchiatura: aveva concluso il supplemento d’esame. «È tutto.»
«Se ne va?» chiese Rachael.
«Sì», rispose. «Mi sono convinto.»
Gli altri nove soggetti e le false memorie
Con circospezione Rachael chiese, «E gli altri nove soggetti?»
«L’indice ha funzionato adeguatamente nel suo caso», rispose.
«Posso estrapolare da quello che ho raccolto; chiaramente è ancora efficace.»
Rivolto Rosen, che si era appoggiato curvo e cupo allo stipite della porta, chiese:
«La ragazza lo sa?»
A volte essi non se ne rendevano conto; diverse volte erano state sperimentate delle false memorie, generalmente con la malposta intenzione che grazie ad esse le reazioni ai test sarebbero state modificate.
Rosen rispose: «No. L’abbiamo programmata da cima a fondo. Ma penso che alla fine abbia sospettato qualcosa.»
Rivolto alla ragazza disse:
«Ci sei arrivata quando ti ha chiesto di fare altre domande, vero?»
Pallida, Rachael annuì con espressione assente.
«Non aver paura di lui», la rassicurò Rosen.
«Non sei un androide fuggito illegalmente sulla Terra; sei proprietà della Rosen.»
Si avvicinò alla ragazza, le mise una mano sulla spalla per confortarla; nel sentirsi toccata la ragazza sobbalzò.
«Certo», disse Rick. «Non ho alcuna intenzione di ritirarla, signorina Rosen. Buona giornata a tutti.»
Si mosse verso la porta, poi si fermò un attimo.
Il nulla
Rivolto ai due chiese,
«La civetta è vera?»
Rachael lanciò un rapido sguardo a Rosen.
«Tanto se ne va in ogni caso», le disse Rosen.
«Non ha nessuna importanza. La civetta è artificiale. Di civette non ce n’è più nemmeno una.»
«Mmm», mormorò Rick, e uscì come inebetito nel corridoio.
I due lo guardarono allontanarsi.
Non c’era più nulla.
Rosen…
È SUBLIME. È, SI crea.
Blade Runner È qui, l’evento del SUBLIME, poeticam-enteQui, è spazio creativo, lo spazio creativo
Già Qui consente di essere vuoto-di-estasi’estasivuota’«estasi»SUBLIME. Nulla dell’Essere del Nulla.

Giacinto Plescia 

Laurea in Architettura, Politecnico di Torino, con Pubblicazione, stralcio. Corsi di Perfezionamento post-laurea in “Estetica ed Ermeneutica delle Forme Simboliche” ed in “Scienza e Filosofia, Temi di Epistemologia Generale ed Applicata” e Corso di Laurea in Filosofia. Frequenza ed esami al Corso di Specializzazione in Pianificazione Urbanistica, Facoltà di Ingegneria, Roma. Valutazioni Comparative per Docenze all’Università e  Bandi di Ricerca e Progetti al Cnr al Miur ed alla UE.

Ha conseguito Due Premi nell’ambito del “PirelliInternationalAward”; è stato finalista Premio “Onor D’Agobbio”, Città di Gubbio.

Pubblicazioni-Ricerche: “Strutture fullereniche” per il Dip.to di Tecnologie dell’Architettura Design “P. L. Spadolini” Università degli Studi di Firenze; Modelli matematici per la gravità quantistica all’8th Italian Conference on General Relativity and Gravitational Physics, Cavalese, TN; In margine alle previsioni dei black-holes di Stephen Hawking: 14th International Conference General Relativity and Gravitation, Firenze.Con altri: Applications of the Theory of Structural Stability, Black- sburg,Virginia University, Usa et al.; Industry Allocation and Urban Morphogenesis, in Atti Amse, Parigi, et al.; Analysis of Post-Industrial Spatial-Archemorphism, in Atti Amse, Nizza, et al.; Spazialità hi-tech: technocities, highways, valleys in: “Innovazione e sviluppo nelle regioni mature” a c.d. R.P. Camagni – L.Malfi, F. Angeli, et al.; Allocazione industriale e morfogenesi urbana in “L’analisi degli insediamenti umani e produttivi” a c.d. G. Leonardi F. Angeli e Bollettino dell’UMI, et al.

di Camilla Iannacci

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