Il Comune di Bari nella tempesta delle possibili infiltrazioni mafiose. Rischio di scioglimento.

Puglia

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Intorno alla possibilità che il Comune di Baro venga sciolto per infiltrazioni mafiose si sta sviluppando una grossa polemica politica: il sindaco di Bari Antonio Decaro, del Partito Democratico, ha accusato il governo di star agendo per ragioni politiche, dal momento che nei prossimi mesi a Bari si voterà per rinnovare il consiglio comunale ed eleggere un nuovo sindaco (Decaro non può ricandidarsi perché è già al secondo mandato).

Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha deciso di accogliere la richiesta del prefetto di Bari e nominare una commissione d’indagine che dovrà verificare entro i prossimi tre mesi se ci siano fondati elementi per far decadere il sindaco, la giunta e il consiglio comunale, affidando l’amministrazione del comune a una commissione straordinaria composta da tre funzionari dello Stato.

La decisione del governo è stata motivata da Piantedosi sulla base di due indagini giudiziarie in corso nel capoluogo di regione pugliese: una riguarda le attività dei clan mafiosi della città, e in particolare di quello del clan Parisi nel quartiere Japigia, che ha portato all’arresto di un centinaio di persone accusate di associazione mafiosa, di voto di scambio o di aver comunque in vario modo favorito le attività dei gruppi criminali; l’altra riguarda invece le infiltrazioni mafiose nella Amtab, la società dei trasporti interamente controllata dal comune, che nel frattempo dallo scorso 22 febbraio è stata posta dal tribunale di Bari sotto amministrazione giudiziaria, cioè affidata alla guida di un manager scelto dal tribunale stesso. La prima indagine ha in una certa misura coinvolto anche il consiglio comunale, perché tra gli arrestati con l’accusa di voto di scambio c’è Maria Carmen Lorusso, eletta consigliera nel 2019 in una lista di centrodestra che sosteneva il candidato sindaco di Forza Italia, Pasquale Di Rella, nettamente sconfitto da Decaro. Nel maggio del 2021, poi, Lorusso era passata in maggioranza, aderendo al gruppo “Sud al Centro”.

È un cambio di schieramento avvenuto in un contesto molto fluido, com’è quello barese, dove movimenti del genere non sono rari. Lo stesso Di Rella era un esponente del Partito Democratico, ma nel dicembre del 2017 lascio il partito quando era presidente del Consiglio comunale per poi candidarsi a sindaco col centrodestra due anni più tardi. Anche il movimento “Sud al Centro”, che oggi appoggia un sindaco di centrosinistra, è un gruppo con vecchie radici nel centrodestra. Un ruolo importante nell’indagine è quello di Giacomo Olivieri, marito di Lorusso e già implicato in altre vicende giudiziarie: ora è accusato dalla Direzione distrettuale antimafia di Bari, che conduce le indagini, di avere pagato varie decine di migliaia di euro ai clan mafiosi di Bari (Parisi, Strisciuglio e Montani) per garantire i voti necessari all’elezione della moglie Lorusso in Consiglio comunale nel 2019.

Lo stesso Olivieri, avvocato ed ex console onorario della Slovenia, ha avuto una carriera politica molto particolare, segnata da molti cambi di schieramento. Esordì col Partito popolare, nel centrosinistra, poi passò in Forza Italia, con cui venne eletto consigliere regionale nel 2005. Tornò a quel punto nel centrosinistra, con la Margherita, sostenendo il presidente della regione Nichi Vendola. Nel 2010 fu rieletto a sinistra, stavolta con l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Subito dopo però fondò un movimento di centro, Moderati e democratici, e venne poi nominato dall’allora sindaco di Bari Michele Emiliano alla presidenza della società municipalizzata Multiservizi. Nel 2014 partecipò, uscendone sconfitto, alle primarie del centrosinistra del 2014 in vista delle elezioni che portarono Decaro a diventare sindaco per il suo primo mandato.

Dopo vari scontri con Decaro, Olivieri passò nel centrodestra con Forza Italia (nel mentre era passato da altre liste civiche e partiti, alcuni che aveva fondato lui stesso). Mercoledì sera però il ministro Piantedosi ha spiegato in un’intervista al Tg1 che è stata soprattutto l’altra indagine, quella sull’azienda dei trasporti (l’Amtab), a essere decisiva nella scelta di nominare la commissione d’indagine sul comune di Bari. L’articolo 34 della legge nota come “Codice antimafia” prevede che un’azienda venga commissariata se ci sono «sufficienti indizi» di condizionamento diretto o indiretto delle sue attività economiche da parte delle associazioni criminali, oppure quando agevola in qualche modo gli interessi dei clan. Nella prima ipotesi, insomma, un’azienda cede più o meno agevolmente alle intimidazioni o ai ricatti della criminalità organizzata; nella seconda, l’azienda è per certi versi espressione diretta degli interessi della criminalità organizzata. Sono entrambi casi molto gravi, soprattutto per un’azienda controllata da un ente pubblico, e infatti entrambi giustificano il commissariamento: ma è chiaro che la seconda ipotesi è più grave.

È una distinzione rilevante in questa circostanza: il tribunale di Bari ha infatti deciso di accogliere la richiesta della procura e commissariare Amtab precisando però che a suo avviso l’azienda non ha direttamente agevolato gli interessi del clan Parisi, come sostengono i magistrati che hanno condotto l’indagine, ma che piuttosto si è fatta in una certa misura condizionare dai ricatti di alcuni esponenti del clan stesso, o che per lo meno ci siano «sufficienti indizi» per ritenere che sia andata così. Al centro dell’inchiesta ci sono in particolare tre esponenti del clan Parisi (Tommaso Lovreglio, Massimo Parisi e Michele De Tullio), tutti e tre dipendenti Amtab, arrestati per associazione mafiosa ed estorsione con l’aggravante della mafiosità: sono accusati di pressioni e minacce nei confronti del responsabile “Area Soste” dell’azienda, Giovanni Del Core, per fare assumere con contratti a tempo indeterminato cinque persone, tutte legate alle famiglie che compongono il clan.

Il fatto che Del Core risulti vittima del reato di estorsione, e non complice del clan, induce appunto il tribunale a ritenere che il condizionamento dell’Amtab sia stato più occasionale di quanto sostengono i magistrati dell’accusa. L’estorsione sembra dunque essersi realizzata in un settore ben specifico dell’azienda, e cioè la sezione Area Soste. Amtab ha infatti in gestione i parcheggi e gli spiazzi a pagamento a Bari e dintorni, e durante i grandi eventi che si svolgono in città la Area Soste assume temporaneamente del personale per controllare i parcheggi attraverso agenzie per il lavoro che selezionano i candidati. Secondo la procura questa selezione non sarebbe trasparente, perché il responsabile della sezione, cioè appunto Del Core, segnalerebbe all’agenzia i profili da indicare e certificare secondo accordi già definiti e poco chiari (l’ipotesi è appunto che siano condizionati dalla criminalità organizzata).

Secondo la procura le intimidazioni degli esponenti del clan Parisi verso Del Core si sarebbero verificate in particolare in occasione della Fiera del Levante (una delle più grandi fiere d’Italia e del Mediterraneo) del 2018: sono state scoperte grazie a varie intercettazioni telefoniche. Il 6 settembre di quell’anno vennero assunte quattro persone molto vicine al clan Parisi: i loro contratti durarono dall’8 al 16 di settembre, proprio i giorni in cui si era svolta la Fiera. Un’altra assunzione di questo tipo, quella di Tommaso Gargano, nipote del boss Savino Parisi, avvenne più tardi e durò tre mesi e mezzo: dal 20 giugno al primo ottobre del 2019. Oltre a questo, la tesi dell’accusa è sostenuta dalla testimonianza di un collaboratore di giustizia, cioè una persona condannata che decide di fornire informazioni utili a chi indaga: in questo caso è Nicola De Santis, che ha indicato sette persone legate al clan Parisi che almeno fino al 2018 erano dipendenti di Amtab. Le verifiche fatte dai magistrati hanno confermato questa sua testimonianza.

Nel corso di un interrogatorio, il 17 gennaio del 2019, De Santis raccontò anche di un incontro avvenuto tra il 2008 e il 2010 (non è chiaro dalla testimonianza) in un bar di Torre a Mare, nella periferia sud di Bari, e a cui parteciparono tra gli altri Massimo Parisi, esponente dell’omonimo clan, e un tale «De Caro» che all’epoca «era all’assessorato dei trasporti». Non è chiaro se si tratti di Antonio Decaro, attuale sindaco di Bari che fu assessore alla Mobilità in quegli anni. Secondo De Santis, ci sarebbe stato un accordo per cui i Parisi garantivano dei voti a «De Caro» e in cambio MassimoParisi sarebbe stato assunto in Amtab. Sulla base di questi indizi, il tribunale di Bari nel disporre il commissariamento ha detto di ritenere che, come spesso accade in questi contesti criminali, anche nel caso dell’Amtab la tendenza del clan mafioso è stata quella di «lasciare incontaminato da condizionamenti il core business dell’attività imprenditoriale, e propendere, piuttosto, per il ricorso al metodo mafioso in altri settori meno sorvegliati, quale appunto l’Area Soste».

Sono questi, quindi, gli elementi che hanno indotto Piantedosi prima a chiedere una relazione al prefetto di Bari, poi a nominare la commissione d’indagine. Il decreto di nomina, in realtà, ancora non c’è, e dunque al momento non è nota la composizione dell’organismo che dovrà fare le verifiche. Per legge, saranno in tre tra magistrati, prefetti, ufficiali delle forze dell’ordine e altri funzionari dello Stato in servizio o in pensione. Dal momento della nomina effettiva, la commissione avrà fino a tre mesi per condurre le indagini, con una eventuale ulteriore proroga di altri tre mesi. Di solito, comunque, questa attività di verifica si risolve in poche settimane.

Dopodiché farà una relazione che verrà inviata al ministro dell’Interno, il quale potrà decidere se archiviare, e dunque non dare seguito all’indagine, oppure proporre al Consiglio dei ministri lo scioglimento del comune e affidarne l’amministrazione a una commissione straordinaria di tre membri, scelti con metodi analoghi a quelli utilizzati per la commissione d’indagine. La legge di riferimento, e cioè il Testo unico degli enti locali, stabilisce che i consigli comunali possono essere essere sciolti quando «emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similari degli amministratori» locali, oppure quando questi stessi elementi testimoniano «forme di condizionamento» degli stessi amministratori locali.

Da quando è ministro dell’Interno, Piantedosi ha disposto lo scioglimento di 15 comuni: 5 in Calabria, 3 in Campania, 4 in Sicilia, 1 in Puglia e 2 nel Lazio. Erano tutti comuni medio-piccoli o molto piccoli e guidati da liste civiche: otto non riconducibili a schieramenti politici, tre legate al centrosinistra e quattro con una tendenza verso il centrodestra.

Marcaio Giacomo

Editorialista de Il Corriere Nazionale

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