“Sono diventato giornalista, perché non voglio che la mia fonte di informazione siano i giornali”. Non aveva tutti i torti Christopher Hitchens. Riguardo all’Italia, bisogna convenire con lui se si osserva la classifica annuale 2024 di Reporter Senza Frontiere sulla libertà di stampa.
I dati non confortano: l’Italia ha perso cinque posizioni, passando dal quarantunesimo al quarantaseiesimo posto della graduatoria.
In passato, sempre secondo i rapporti dell’organizzazione internazionale RSF, eravamo messi peggio. Durante il Governo Draghi (2021) l’Italia si posizionava al cinquantottesimo posto; con l’Esecutivo Monti (2011) si collocava al sessantunesimo e con il Governo Letta (2013) al cinquantasettesimo.
Dobbiamo fidarci dei risultati di questi rapporti? Cosa ha provocato lo slittamento verso il basso del nostro Paese?
Negli ultimi trent’anni, la mancanza di una avveduta legislazione ha contribuito a rendere vulnerabile il sistema italiano. L’unico mezzo d’informazione disciplinato direttamente dalla Costituzione è la stampa, poiché all’epoca rappresentava il principale strumento divulgativo del pensiero.
Il conflitto di interessi, da quando c’era Berlusconi, non è stato mai risolto. Dopo di lui, un senatore della Repubblica – Matteo Renzi – ha diretto il quotidiano Il Riformista (da qualche mese la sua decisione di lasciare la direzione della testata giornalistica, dopo aver ricoperto l’incarico per circa un anno). A Renzi si è aggiunto il senatore Antonio Angelucci, già proprietario di diversi organi d’informazione, che pare voglia acquistare la seconda agenzia di stampa italiana, l’Agi. Si realizza il controllo politico dell’informazione, che genera altresì un problema sistemico tra i proprietari dei media e la politica: tra questi due mondi si instaura un rapporto di favori reciproci. Non è solo il settore privato ad esserne investito. Il servizio pubblico radiotelevisivo viene trasformato in un amplificatore dell’Esecutivo; gli organi di regolamentazione dei media vengono “presidiati” con nomine politiche; le risorse pubbliche sono utilizzate per controllare il mercato dei media a favore di gruppi-amici del Governo.
Nel contempo è facilmente rilevabile un numero sempre crescente di notizie “leggere” ed un proliferare della parte scandalistica della cosiddetta cronaca rosa: il gossip, per intenderci.
Si devia l’attenzione dai temi scottanti del Paese oppure si vuole catturare l’attenzione di una nuova categoria di lettori? Forse entrambe le ipotesi sono vere. Intanto assistiamo ad una crescita della propaganda e ad una decrescita dell’informazione.
Nei salotti televisivi presenziano coloro che si schierano con il politicamente corretto, con l’esclusione di chi può rappresentare un pericolo per lo status quo.
La recente pandemia da coronavirus ha modificato le abitudini delle trasmissioni televisive. Non più – o sempre meno – ospiti e pubblico partecipante, ma collegamenti a distanza con un numero sempre più ristretto di personaggi noti. Ciò accade in Italia così come in altri Paesi. Pur nell’offerta di notizie, con il passare del tempo si è meno informati.
Come è potuta accadere tale involuzione nel settore dell’informazione? Per rispondere alla domanda, occorre tornare indietro di oltre 40 anni per accorgersi che era già tutto scritto e previsto. L’odierna degenerazione dell’informazione sembra ricalcare quanto riportato nel piano contenuto in un “importante” documento sequestrato nel 1982. Gli obiettivi primari del piano consistevano in riforme costituzionali per «… rivitalizzare il sistema attraverso la sollecitazione di tutti gli istituti che la Costituzione prevede e disciplina, dagli organi dello Stato ai partiti politici, alla stampa, ai sindacati, ai cittadini elettori».
Se alcuni obiettivi del piano sono stati attuati, altri lo sono stati solo in parte: nel campo istituzionale, di assetto economico nel mondo imprenditoriale e soprattutto nei mass media.
In merito all’argomento che stiamo trattando veniva suggerita una programmazione di azioni di Governo, volte a conseguire un progetto di controllo o di lobbismo sui mass media. Il piano, infatti, prevedeva il controllo, attraverso acquisto di quote e creazione di nuove testate – di quotidiani e la liberalizzazione delle emittenti televisive, allora consentite solo a livello regionale; inoltre l’abolizione del monopolio della RAI con la sua privatizzazione.
Significativo il punto d) del piano, in cui si leggeva: “ Altro punto chiave è l’immediata costituzione di una agenzia per il coordinamento della stampa locale (da acquisire con operazioni successive nel tempo) e della TV via cavo da impiantare a catena in modo da controllare la pubblica opinione media nel vivo del Paese”.
Ancora, sul ruolo della stampa: “che va sollecitata al livello di giornalisti attraverso una selezione che tocchi soprattutto: Corriere della Sera, Il Giorno, Il Giornale, La Stampa, Il Resto del Carlino, Il Messaggero, Il Tempo, Roma, Il Mattino, La Gazzetta del Mezzogiorno, il Giornale di Sicilia per i quotidiani; e per i periodici: L’Europeo, L’Espresso, Panorama, Epoca, Oggi, Gente, Famiglia Cristiana. La RAI-TV non va dimenticata.”
Una nuova società politica si sta riorganizzando. L’informazione predisposta dall’Intelligenza Artificiale diventa sempre più elitaria, anche se stanno emergendo nuove forme di “luddismo”.
Matteo Pio Impagnatiello