L’organismo scientifico consultivo dell’ONU, IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), periodicamente produce Rapporti sul clima e, a febbraio di due anni fa ha prodotto un Rapporto denominato AR6 WG2.
Un approfondimento su scala regionale dedicato all’intensità di impatti del cambiamento climatico su società ed ecosistemi, e incentrato sui rischi dell’Europa. Identificati 4 rischi fondamentali: il calore, i danni all’agricoltura, la scarsità d’acqua e le alluvioni fluviali e costiere.
IL rischio numero 2 era denominato“ stress sulle coltivazioni agricole dovuto a calore e siccità”. L’irrigazione valutata come opzione efficace, ma la capacità di metterla in atto fortemente subordinata alla crescente scarsa disponibilità di acqua.
Secondo i dati forniti da COPERNICUS (è il programma di osservazione della Terra dell’Unione europea, dedicato a monitorare il nostro pianeta e l’ambiente) il 21luglio scorso la temperatura media della Terra ha raggiunto un nuovo record 17,09 gradi Celsius, e che i dieci anni con le temperature medie giornaliere più elevate sono tutti dal 2015 al 2024.
A livello globale si parla di un riscaldamento di circa tre decimi di grado al di sopra della media del trentennio 1991-2020 e circa a 1,2 °C in più rispetto al periodo preindustriale.
A livello nazionale, guardando l’Italia, la situazione sembra essere ancora peggiore.
Si parla infatti di un incremento di 1,3 °C rispetto al 1991-2020, e 2,2 °C rispetto al periodo preindustriale.
Al di la dei dati ognuno ha potuto sperimentare quanto il clima è anomalo.
Attualmente la siccità sta martoriando il Mezzogiorno.
La Puglia non è regione di piogge abbondanti oscillando, in genere tra i 450 e i 650 millimetri l’anno e superando i 700 millimetri nel Gargano.
Neve in Italia ne registriamo pochissimo, poco piove e la domanda è come ne usciamo o come limitiamo i danni prodotti dalla siccità ?
Secondo la stima di ANBI “sull’Italia cadono annualmente circa 300 miliardi di metri cubi di pioggia, ma ne tratteniamo solo l’11%”.
Eppure esiste un piano, conosciuto come il “Piano Laghetti”, elaborato da ANBI e Coldiretti tre anni fa, che ha come obiettivo la realizzazione di 10 mila invasi medio-piccoli entro il 2030.
Di questi 4.000 dovrebbero essere “consortili” e costruiti dai consorzi di bonifica, mentre 6.000 dovranno essere realizzati dalle aziende agricole.
Invasi di piccole dimensioni, che possono essere realizzati anche “a scala aziendale, singole o in forma associata (consorzi di scopo), e alimentati dal ruscellamento di acque superficiali, da sorgenti, da acque prelevate da corsi d’acqua vicini all’invaso o pompate da pozzi”.
Come da tradizione italica forte la dialettica sulla crisi idrica.
IL 54% dei consumi annuali di acqua è imputabile all’agricoltura, settore fondamentale perché produce il cibo che mangiamo.
CIRF (Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale) si domanda se un consumo così alto di acqua non sia dovuto anche al fatto, che le attuali colture scelte per i terreni agricoli italiani non siano sostenibili nello scenario della crisi climatica e si chiede se non siano meritevoli di essere incentivate privilegiando le colture a minore“ domanda idrica”.
Interessante conoscere quanti invasi sono stati realizzati, innanzitutto distinguendo le grandi dighe di competenza dello Stato dai piccoli invasi di competenza regionale.
Le dighe sono complessivamente 528 e più della metà, sono utilizzate per fornire energia idroelettrica.
L’Istituto per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) ha censito 26.288 invasi, 242 in più nel 2020 rispetto al 2019.
IL Comitato Italiano Grandi Dighe ha rilevato, che solo il 60% delle regioni si è dotato di norme su queste opere.
Ispra “per le piccole dighe le regioni stanno procedendo, con tempi e modalità differenti, all’emanazione di leggi e norme per la classificazione degli invasi in categorie e per la definizione del rischio globale connesso ”.
Non tutte le regioni sono oggi pronte su questo campo.
Mancanze che pesano nel tempo del crescente riscaldamento globale con connesse crisi.
Notevole la differenza di distribuzione dighe: Lombardia 77, Piemonte e Sardegna 59, Toscana 50, Sicilia 46, Trentino 37, Emilia Romagna 24, Calabria 22, Lazio 20, Veneto 18, Campania 17, Marche 16, Abruzzo 14, Basilicata 14, Liguria 13,Friuli 12, Umbria 10, Puglia 9, Valle d’Aosta 8, Molise 7. Notevoli differenze anche tra gli invasi : 777 Piemonte, 75 Valle d’Aosta, 600 Lombardia, Prov. Bolzano 123, Veneto 458,Friuli 88, Liguria 38, Emilia Romagna 227, Campania 490, Sicilia 3. Puglia e Basilicata zero.
E’ vero che il Mediterraneo è un hotspot climatico, ma i Report di IPCC il rischio siccità lo denunciano da anni e il risultato della emergenza s deriva da assenza di normative, ritardi nella realizzazione degli invasi , immensi errori nel non pianificare congrui investimenti del PNRR, per scongiurare queste emergenze.