Iraq. «Noi cristiani abbiamo sconfitto l’Isis»

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Cristiani issano a Mosul, in Iraq, una grande croce di legno dopo la sconfitta dell’Isis nel 2017 (Ansa)

Nel 2014 i terroristi dello Stato islamico invadevano la Piana di Ninive, costringendo 120 mila cristiani a scappare. Dieci anni dopo, spiega a Tempi padre Georges Jahola, i fedeli sono tornati e hanno ricostruito le città

Leone Grotti

Cristiani issano a Mosul una grande croce di legno dopo la sconfitta dell’Isis nel 2017
Cristiani issano a Mosul, in Iraq, una grande croce di legno dopo la sconfitta dell’Isis nel 2017 (Ansa)

I cristiani sono come gli ulivi, si dice in Iraq: puoi tagliarli, puoi bruciarli, ma dopo dieci o vent’anni continuano a dare frutto. È proprio quello che è accaduto dieci anni fa con l’invasione dello Stato islamico. Dopo la conquista di Mosul nel giugno 2014 e la proclamazione della nascita del Califfato, il 6 agosto i tagliagole dell’Isis dilagarono nella Piana di Ninive, costringendo i 120 mila cristiani che l’abitavano a fuggire verso il Kurdistan iracheno.

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«Quel giorno, nel giro di un’ora, abbiamo perso tutto: la casa, i soldi, ogni altro possedimento materiale», ricorda a Tempi padre Georges Jahola, sacerdote della Chiesa siro-cattolica e presidente del Comitato di ricostruzione di Qaraqosh, la città più grande della Piana di Ninive. «Ma i soldi si possono riguadagnare, i mattoni ricostruire. Noi cristiani abbiamo mantenuto la cosa più importante, la fede, e oggi siamo tornati nella nostra terra. Abbiamo sconfitto l’Isis».

«Eravamo 1,5 milioni. Oggi siamo 200 mila»
La distruzione provocata dallo Stato islamico a Mosul e nella Piana di Ninive è indescrivibile: chiese bruciate, infrastrutture demolite, abitazioni razziate e marchiate con il simbolo “ن”, la lettera “n” dell’alfabeto arabo che sta per “Nazara”, per indicare i luoghi dove vivevano i “nazareni”, gli infedeli. Solo a Qaraqosh l’Isis ha distrutto o danneggiato 6.936 case. «Ne abbiamo ricostruite il 61%», spiega padre Jahola. «Quelle che mancano sono perlopiù abbandonate dai proprietari, ai quali mancano i soldi o la volontà di investire qui. Ma la vita è ripresa».

Prima dell’invasione dell’Isis, a Qaraqosh vivevano 50 mila cristiani. A dieci anni di distanza da quegli eventi drammatici, sono tornati in 25 mila. Il 50% della popolazione se n’è andato, in altre parti del paese o all’estero, temendo per la propria vita o disperando che in Iraq ci sia ancora posto per i cristiani.

A Qaraqosh (Iraq) una casa di cristiani marchiata dall’Isis con la lettera “n” per nazareni (Grotti)
L’islamizzazi

Se solo 20 anni fa, nel 2003, in Iraq vivevano circa 1,5 milioni di cristiani, «oggi la comunità non supera le 200 mila unità».

A Qaraqosh (Iraq) una casa di cristiani marchiata dall’Isis con la lettera “n” per nazareni
A Qaraqosh (Iraq) una casa di cristiani marchiata dall’Isis con la lettera “n” per nazareni (Grotti)
L’islamizzazione delle città dei cristiani
Anche se i jihadisti sono stati militarmente sconfitti, le sfide per i cristiani non mancano. «Il lavoro continua a scarseggiare e questo spinge molti giovani a pensare di andarsene, non riuscendo a immaginarsi un futuro qui», continua padre Jahola. «Inoltre, continuano a esserci partiti politici, appoggiati da potenze straniere come l’Iran, che vogliono mettere le mani sulla nostra terra».

Solo la fede non crolla
«Dove i jihadisti hanno distrutto, lì c’è la statua di Maria»
«Racconterò al Papa il sacrificio di mio figlio, ucciso dall’Isis»
Le città della Piana di Ninive sono «costantemente minacciate da un piano di islamizzazione attraverso la modifica forzata della demografia di queste aree. noi cerchiamo di opporci a questi progetti, ma non è facile».

L’Iraq vuole rubare i beni della Chiesa
Anche il clima nazionale non aiuta. Solo ad aprile il patriarca caldeo, il cardinale Raphael Louis Sako, è tornato nella capitale Baghdad dopo essersi trasferito a Erbil a luglio dell’anno scorso in via temporanea. La decisione era stata presa improvvisamente dopo che lo Stato aveva cercato di delegittimare il cardinale, revocandogli l’autorità patriarcale, e di sottrargli il controllo dei beni della Chiesa.

L’allarme è rientrato dopo che il capo dello Stato, Abdul Latif Rashid, ha deciso di fare un passo indietro. Ma, precisa padre Jahola, «il governo vuole ancora mettere le mani sui beni della Chiesa».

«Il rapporto con i musulmani è migliorato»
Ci sono anche notizie che fanno ben sperare. Se da un lato il governo si è dimostrato più attento rispetto al passato ai villaggi della Piana di Ninive, tornando a fornire regolarmente acqua ed elettricità, «la convivenza con i musulmani della zona è migliorata», precisa il sacerdote siro-cattolico.

«Ci sono ancora e ci saranno sempre musulmani che si riconoscono nella bandiera dei jihadisti e che diffondono la loro ideologia, ma per il momento la situazione è sotto controllo», aggiunge padre Jahola.

«L’Iraq ha bisogno dei cristiani»
La comunità cristiana in Iraq resta fragile, eppure è fondamentale: «I cristiani sono il lievito dell’Iraq e del Medio Oriente», continua il presidente del Comitato di ricostruzione di Qaraqosh. «Questa terra ha bisogno di persone disponibili al martirio che testimonino la vera vita e la fede».

fonte e foto Tempi.it

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