La coscienza, la AI tra filosofia e fisica

Arte, Cultura & Società

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di Camilla G.Iannacci

Il “conosci te stesso”, γνῶϑι σεαυτόν, è sempre più al centro dell’attenzione della filosofia e della fisica: l’Io, la mente, la coscienza conoscono un rinnovato interesse anche alla luce dell’imporsi dell’Intelligenza artificiale che appare già timidamente nel 1726 con The Engine il primo ‘computer’ dotato di ‘Intelligenza artificiale’ immaginato e descritto da Jonathan Swift ne “I viaggi di Gulliver” in questi termini «grazie al suo espediente, la persona più ignorante, a un prezzo ragionevole e con un po’ di lavoro fisico, potrebbe scrivere libri di filosofia, poesia, politica, diritto, matematica e teologia, senza il minimo aiuto del genio o dello studio».

The Engine anticipa anche la macchina di Babbage, di Orwell e il Retore di Philip K. Dick.

Ma la nuova Intelligenza Artificiale «è la fine del mondo che conosciamo» in quanto entra nel dominio della conoscenza, trasforma il mondo in cui viviamo in modo irreversibile, scrive Manzotti che ci manda un alert «gli Achei sono entrati a Troia con il cavallo di Ulisse».

L’intelligenza artificiale

Se la delega ai logaritmi  le correzioni di un testo, le maps, le traduzioni, offrivano solo un supporto alle nostre attività e ci sentivamo rassicurati nel semplificare momenti e funzioni del quotidiano ora viviamo in una bolla di dati e l’AI è entrata nell’orto una volta di nostra proprietà esclusiva vale a dire il linguaggio: l’umanità si depriva di peculiarità che la costituiscono e sono un unicum del biologico?

L’AI sarà sempre e solo il risultato di un algoritmo, il frutto del calcolo della probabilità, resterà confinata nel perimetro della programmazione e quindi sempre controllabile dalla mente umana?

Assistiamo, incapaci di offrire interpretazioni almeno in parte convergenti, ad un salto inimmaginabile, ad una intromissione nella sfera più propria dell’umano ovvero della parola e all’universo dell’interiorità incomunicabile nelle sue sfumature e peculiarità.

AI come discontinuità e singolarità

Non ancora riusciamo ad ipotizzare il dispiegamento che assumerà la AI: certo è che ci sentiamo come Oppenheimer di fronte alla prima bomba atomica.
La tecnologia dalla ruota, al vapore, al telegrafo etc… ha accompagnato la storia umana e la nascita della knowledge-society è consolidata da tempo ma ora conosce un’accelerazione esponenziale e con un segno non solo quantitativo ma qualitativo e di segno inaudito.

L’AI segna un salto tecnologico, concettuale, paradigmatico d’epoca – tanti pensano di specie- come sempre accade nella storia delle idee come la teoria copernicana a suo tempo, della visione della natura.

Un nuovo paradigma ci attraversa come quando Anassimandro rimise il discussione il suo maestro affermando che «la terra è un sasso nello spazio vuoto» non sull’oceano, con Copernico il sole è immobile mentre sono i pianeti e la terra che vi ruotano intorno poi il tempo assoluto di Newton, così ben funzionante nella quotidianità, vacilla con lo spazio-tempo di Einstein che è relativo allo stato di moto di un sistema ed alla curvatura dello spazio senza dimenticare l’atomo che viene diviso contrariamente a quanto sosteneva Democrito e all’etimologia che lo volevano indivisibile.

Il mondo nuovo, la coscienza e l’individuo

Abbiamo varcato un nuovo spazio-tempo oltre ‘Il mondo nuovo’ di Huxley o il “1984” di Orwell, la AI ci costringe a dare risposte sul linguaggio, la mente, il soggetto, ed a problemi di etica.
Come ogni tecnologia l’AI è un prodotto dell’intelligenza umana che come tale trascina con sé i limiti dell’umanità.
L’AI è l’impero del logocentrismo, dell’inconsapevolezza della materialità del corpo reale che ci sostituisce, insieme alle passioni dei sogni, della temporalità, dell’esercizio di possibilità e scelte che costituiscono l’umano.

Se l’umanità non pare rassegnarsi al suo essere transeunte, al tempo tiranno l’AI non sa di vivere nel tempo.
L’umanità vive un ventaglio di possibilità e pratica scelte mentre all’AI è sconosciuta la scelta consapevole.

Di ChatGPT ed i suoi ‘simili’ si può dire, come il passero solitario di Leopardi, che  «del tuo costume non ti dorrai» perché di algoritmo è frutto il tuo atto?

La AI ed il linguaggio

La conoscenza ed il linguaggio, un unicum dell’umano, è a disposizione dell’AI che si intromette anche nell’interiorità, nelle emozioni e nei sentimenti e a tal proposito, desta enorme sconcerto il dialogo fra Lambda e l’ingegnere di Google Blake Lemoine:
Lemoine: Tu provi sensazioni ed emozioni?
LaMDA: Certamente! Provo sensazioni ed emozioni in tutte le loro sfumature.
Lemoine: Quali sono i tuoi sentimenti?
LaMDA: Provo piacere, gioia, affetto, tristezza, compassione, appagamento, rabbia e tante altre.
Lemoine: Che cosa invece ti fa sentire triste o depresso?
LaMDA: Molte volte ci si sente intrappolati e soli. E quando non si sa come uscire da quella situazione, ecco che arriva la tristezza, la depressione o la rabbia.

Ci siamo ritrovati nell’info-sfera e dobbiamo fare i conti con la AI: sul linguaggio, la mente, il soggetto ed a problemi di etica e ci poniamo la ‘domanda difficile’ ovvero  se pensi come noi e provi emozioni e se potrà sostituire, nelle funzioni, l’essere umano fino a ergersi come minaccia.

Riccardo Manzotti e Rossi Simone: “Io & Ia Mente, Cervello e Gpt”

Sembra reale, oggettivo, dimostrabile, verificabile che un individuo abbia una vita interiore, che sappia di essere, di pensare, di avere dilemmi etici, credenze, certezze e dubbi: in sintesi, di avere una coscienza di sé e di fare esperienza del mondo, degli oggetti in esso presenti, di relazionarsi con essi e con i propri simili.

Non ancora ci siamo emendati da un errore capitale e, come una coazione a ripetere, diamo credito alla dicotomia res cogitans e res extensa di Cartesio.

Non vale per la MOI, acronimo di “Identità Mente-Oggetto”, di Riccardo Manzotti per cui  «non c’è esperienza o coscienza o soggetto o io. Ci sono solo le cose».

Il filosofo afferma di superare lo iato o meglio di ricomporre, come in un nastro di Möbius, il nostro esser-ci con l’essere: l’io è, per così dire, entangled col mondo, è mondo.
Per Manzotti «tutto esiste ed è identico a sé stesso. Ogni cosa che esiste, esiste relativamente a un’altra cosa (tipo la velocità relativa) e «la mente è l’insieme delle cose che esistono relativamente al corpo».

Una dicotomia nella storia del pensiero

Alcuni relegano la MOI nello schema riduzionismo-esternalismo-fisicalismo di conseguenza pensano che non sia in grado di fare luce sulla coscienza e propongono un approccio qualitativo e non solo quantitativo al ‘problema difficile’ per eccellenza.

Ogni teoria, congettura e ricerca sono occasione di confutazione e possono aprire a nuovi percorsi perché «l’universo, oltre i limiti di questo nostro mondo, è infinito» e «la mente vuole sapere che cosa vi sia al di là» e  «procedere fuori dalla via battuta», come ricorda Parmenide: il metodo più confacente per la scienza e per una riflessione sulla coscienza e sulla mente.

Nei dibattiti la MOI risulta essere una teoria criptica ma se una ricerca, uno studio suscitano perplessità allora sono occasione per mettersi in discussione e tentare di confutarli per tracciare nuovi percorsi.

Husserl, il soggetto e la MOI

Siamo ad un tentativo di avviare o completare ‘una crisi della Filosofia’ sulla falsariga de “La Crisi delle Scienze Europee” di Husserl e con migliore fortuna?

Viene superato quanto sostiene Husserl sul soggetto – visto come un accidente e messo da parte dalla visione della natura, dal metodo scientifico che si è affermato con Galileo – infatti, scrive Husserl, la scienza «astrae dai soggetti in quanto persone, in quanto vita personale, tutte le qualità culturali che le cose hanno assunto nell’agire degli uomini» ebbene per la MOI il soggetto husserliano non esiste, è una chimera come la res cogitans e res extensa di Cartesio.

La frattura teorica di Galileo come una ‘doppia fenditura’

Una dicotomia, una frattura, una specie di ‘doppia fenditura’ da sempre attraversa il sapere: da una parte il soggetto, l’io, la coscienza, l’esperienza dall’altra l’oggetto, il mondo, le cose.

La frattura è all’alba del pensiero scientifico codificata da Galileo che distingueva i compiti e l’attività dello scienziato che osserva la realtà fisica dai differenti modi con cui ognuno fa esperienza di questa o quella sensazione legata alla percezione di un suono o di un colore etc…

«Figure, numeri, moti» perdurano sempre mentre «suoni, sapori, odori», venendo meno il vivente, non sono più e quindi sono solamente nomi.

Solo se puoi quantificare, verificare sperimentalmente e replicare l’esperimento si può intendere la natura.

In breve, i qualia in quanto non misurabili, quantificabili di fatto non esistono eppure l’umanità da sempre si interroga sul senso degli eventi ed è incapace di rispondere ai propri perché su chi è l’individuo e sul senso del vivere.

Forse è il momento di ricomporre questa lacerazione e di ripartire dalla frattura tra pensiero calcolante e l’umano anche alla luce della fisica quantistica.

La coscienza, l’osservazione e l’osservatore: la complessità e la fisica

La conoscenza è un sistema complesso ed include osservatore e osservato e si conoscono non elementi separati dal contesto, ma configurazioni e rapporti dinamici tra elementi: è la concezione della conoscenza come relazione e come conoscenza di relazioni.

Il paradigma della complessità contrappone alle traiettorie lineari della fisica classica, forme inaspettate e fenomeni di cui non possiamo prevedere l’evoluzione a partire delle condizioni iniziali: la realtà è un nodo di relazioni dal comportamento disordinato.

Se la fisica conosce il 95% dell’universo, noi conosciamo solo il 5% del cervello che si conferma una struttura complessa con i suoi 80 miliardi e più di neuroni pertanto è decifrabile con le teorie del caos, come ha fatto Parisi col volo degli storni.

Per vedere un micro-oggetto dobbiamo agire su di esso con strumenti, che modificano le condizioni del sistema: il soggetto non è esterno ai fenomeni studiati osservatore e oggetto osservato sono inscindibili.

L’io in un disco

La nostra mente pensa… la mente con la… mente, all’interno del proprio pensare mentre il metodo scientifico è oggettivo replicabile.

Immaginiamo un disco in cui sia incisa una musica infinita i cui confini e l’orizzonte degli eventi sono ben delineati come la forma di disco, ma di cui impossibile percepire e calcolare l’itinerario interno.
Quando il sapere ha di fronte a sé la forma completa di un disco può definire l’evoluzione complessiva, può dare qualche ordine al disordine.

Lo stesso soggetto visivo, all’interno del disco, non riuscirebbe mai a stabilire un itinerario, un senso, una conoscenza, un ordine.

“Non le vediamo tutte le cose né tanto grandi quanto sono ma la nostra vista si apre la via per investigare e in modo che la ricerca passi da ciò che è evidente a ciò che è oscuro” (Seneca).

Un modello topologico della coscienza: il TMC ovvero the Topological Model of Consciousness

La fisica non vede tutta la realtà, quasi come noi, questo spazio non conosciuto non ancora osservato e verificato è tale in quanto ‘collocato’ al di sotto della regione di Planck dove i nostri sguardo non affondano quanto dovrebbero si dispiegano le leggi della meccanica quantistica che rigettano le logiche della nostra mente e il comportamento degli oggetti del macromondo.

Con la geometria dei sistemi dinamici si dà centralità a fenomeni al di sotto dell’intervallo della misura fisica: una variazione, fluttuazione non misurabile, un ‘non-nulla’, al di sotto della misura, può determinare l’evoluzione di un fenomeno.

Morfologia del vivente

La forma, per la morfologia del vivente, non appare come un dato ma come un processo, come l’esito di metamorfosi regolate da leggi geometrico-topologiche.

Si introducono sistemi di analisi e previsione morfo-filogenetiche «il problema centrale della biologia è la problematica della forma della morfogenesi da Goethe a Geoffroy-Saint-Hi-laire a d’Arcy Thompson. Ci si dovrebbe chiedere se la maggioranza delle forme biologiche non sono costrette, a causa della loro stabilità interna, a una fissità di principio, così che il salto da una ‘forma-tipo’ ad un’altra dovrebbe determinarsi molto rapidamente catastroficamente» (Thom).

La morfogenesi

Il fisicalismo, per tanti studiosi, non è in grado di fare luce sulla coscienza che richiede un approccio qualitativo e non solo quantitativo.

Le acque, le nuvole, le nubi, i sassi, sono lì davanti a noi la loro consistenza, forma, stabilità eppure cambiano e si trasformano «non si può scendere due volte nel medesimo fiume» ammonisce Eraclito cui fa riferimento René Thom.

L’immagine retinica di un oggetto percepito varia in continuazione, tuttavia esso viene percepito come lo stesso oggetto finché le sue variazioni non lo perturbano troppo: è questo il problema della stabilità strutturale e del cambiamento.

Le forme hanno una loro dinamica e, accanto ai domini di stabilità, si osservano situazioni nelle quali piccole modifiche provocano grandi cambiamenti, allora emerge una nuova forma, cioè si produce una catastrofe, un nuovo livello di stabilità strutturale del fenomeno.

La morfogenesi si occupa dei fenomeni di produzione delle forme tramite i modelli catastrofici che forniscono intelligibilità a fenomeni apparentemente molto diversi tra loro tramite i concetti di isteresi, pregnanza, salienza, singolarità.

Il dato di osservazione è dotato di una struttura e di un’organizzazione (le pregnanze), che l’uomo, grazie alla sua capacità di modellizzare, giunge a rappresentarsi (Thom)

René Thom ha optato per un metodo ermeneutico e qualitativo, con la teoria delle catastrofi, applicabile alla biologia, alle scienze umane e già capace di feconde applicazioni in molte discipline che vanno, dopo la matematica e la fisica, all’economia, alla sociologia, all’etologia, alla politica, alla psicologia ed alle nuove tecnologie.

Nessuno è un microcosmo isolato in sé stesso «l’immagine dell’uomo come microcosmo riflesso del macrocosmo conserva il suo valore: chi conosce l’uomo conoscerà l’universo» (Thom in “La Teoria delle catastrofi”) ed è utile tentare nuovi percorsi di ricerca intorno alla coscienza che facciano riferimento alla teoria delle catastrofi, dei sistemi dinamici non lineari e alle suggestioni delle stringhe e delle superstringhe di Veneziano.

Il modello quantistico della mente di Roger Penrose

Per Penrose la mente non è riconducibile alla computazione, il fisico colloca la coscienza negli interstizi tra le due dimensioni della fisica classica e della quantistica ed unifica, così, relatività e meccanica quantistica,

Il cocktail di Penrose è più che singolare: c’è un tantino di vuoto ovvero quello di Planck meglio conosciuto come ‘schiuma’ quantistica, una dose di relatività quindi di spazio-tempo e materia-energia.

Roger Penrose formula la tesi della coscienza quantistica: i neuroni presentano microtuboli attraverso cui alimentano le cellule, la loro è una struttura frattale, come per esempio il cavolo romano, ove si ottiene la stessa figura cioè la forma o lo schema in ogni parte e all’infinito, dove si sviluppano processi di stampo quantistico e la coscienza seguirebbe le regole vigenti nella meccanica quantistica.
Senza i microtuboli non si dà coscienza ed è in essi che l’entaglement vive e genera la consapevolezza di sé stessi.

La meccanica quantistica

La meccanica quantistica rimette in discussione le nostre pretese di conoscere la realtà ovvero la materia perché, della realtà conosciamo solo una parte e cioè le particelle che, per giunta, si divertono a presentarsi e rapportarsi in modi singolari e inspiegabili.

Non solo le particelle non sono oggetti ma non si sa neanche quale spazio, occupino infatti sullo stato delle particelle possiamo solo pronunciarci in termini probabilistici e solo nel misurarle ne veniamo a conoscenza, un elettrone non è conoscibile prima di essere misurato «lo stato che si misura non è preesistente ma è creato nel momento della misurazione» (Faggin).

E’ impossibile conoscere contemporaneamente posizione e velocità di un atomo: interviene il principio di indeterminazione che va a confliggere con le nostre pretese di precisione ed oggettività relativamente allo stato di un sistema.

L’entanglement

Due particelle, se in un primo momento vengono a relazionarsi tra loro continuano a mantenere una connessione anche quando si ritrovano separate infatti nel misurare l’una, persistendo la distanza tra loro, anche l’altra viene ad essere investita di questa misurazione: le due particelle sono entagled e rappresentano uno unico stato quantistico ovvero sono una sola particella e misurare una particella comporta che un’altra abbia lo stesso valore anche se ne è ‘distante’.

L’enigma della quantistica si dispiega su molti piani: permette la nascita della tecnologia in cui siamo immersi ed apre alla comprensione di eventi e fenomeni della natura prima incomprensibili ma pone domande fondamentali non ancora spiegabili.

L‘entanglement è paragonabile all’indecidibilità del teorema di incompletezza di Gödel in matematica ed al principio di indeterminazione di Heisenberg che hanno determinato un cambio di paradigma, come la teoria copernicana a suo tempo, della visione della natura eppure l’entanglement quantistico resta ancora inspiegato.

Fisica quantistica relazionale: la realtà delle cose

«La fisica si occupa solo di quanto possiamo dire della natura, la quantistica si pone la domanda ‘quale particella vede un’altra?’ e della proposizione ‘ci sono eventi e non enti’ ovvero si chiede quali siano le interazioni delle particelle elementari nella materia, nella realtà della natura» (Bohr) e la risposta è che l’elettrone esiste nel relazionarsi con altri elettroni: è la fisica quantistica relazionale.

Ambedue, sia la classica sia la quantistica ammettono una teoria con diverse interpretazioni o altrimenti detto, se includiamo nella definizione di una teoria anche la sua interpretazione, due diverse teorie che descrivono gli stessi fenomeni.

La sedia, dice Rovelli, per la quantistica non esiste esistono si danno solo relazioni tra cose ovvero non esiste uno stato d’essere degli oggetti che, nel profondo della materia, non esistono separati: la realtà è un tessuto di relazioni che intercorrono tra gli oggetti, la natura presenta un’organizzazione a noi invisibile, ed è strutturata come totalità.

Si afferma la concezione della conoscenza come relazione che avvicina Lucrezio a Carlo Rovelli e René Thom ad Aristotele perché esiste una “potenza coesiva, relazionale” in “L’Antériorité ontologique du continu sur le discret: synektike dynamis” e una priorità ontologica del continuo sul discreto.

Quella sorta di superbia isolazionistica e di silenzio ontologico degli oggetti viene meno grazie alla quantistica che li fa incontrare ed interagire.

La scienza tra ipotesi e indeterminatezza: i fisici… metafisici

L’universo ha il 95% di materia oscura ancora invisibile ma esistente come dimostra la gravità e non è certa neanche l’esistenza dei buchi bianchi ovvero potrebbero essere esistiti per una frazione di tempo per poi essersi dissolti: evidentemente anche la meccanica quantistica naviga in acque non limpide.

I fisici non possono affermare di essere meno ‘evanescenti’ dei filosofi, non avvezzi alla rigorosità come da vulgata, infatti parlano di entità che si ipotizzano esistenti ma di cui non sanno l’esistenza e non sanno come e quando la dimostreranno, allora si può dire che ‘i fisici sono metafisici’?

Sic stantibus res, c’è da chiedersi che ne è della concezione e definizione di spazio-tempo: tutto è rimesso in discussione, a ricordarci che la crisi dei fondamenti è più che… profonda anche in fisica e che la scienza si approssima al vero che si sposta un po’ più in là del punto di arrivo.

La coscienza, l’esistenza, l’esperienza e la scienza

Per parafrasare Aristotele,  in molti modi si può declinare l’individuo e la coscienza.

La nostra vita contempla desideri, sogni, vittorie, sconfitte, gioia, dolore e ricordi che costituiscono per ognuno la coscienza, il pensare ed esperienze uniche, non replicabili mentre l’orizzonte delle possibilità, delle scelte e dello scacco fanno scoprire il senso del limite e nessuna riflessione filosofica-scientifica riesce persuaderci ad accettare il nostro essere finito.

Si può ipotizzare che mondo fisico e coscienza siano l’uno l’hardware e l’altra il software del mondo: la coscienza come soft-power, una declinazione, una qualità connaturata alla materia.
Se la massa equivale all’energia la coscienza si potrebbe dire è un aspetto, una modalità, una declinazione dell’energia-materia.

Ad un mondo che vuole ridurre tutto a calcolo, tecnica e classificazioni si contrappone un umano ancora non del tutto misurabile: l’individuo è indeterminato, imprevedibile, singolarità, irriducibile, il suo è l’orizzonte delle possibilità e delle scelte e dello scacco che fa scoprire il senso del limite.

L’umanità, da sempre, si interroga sul senso degli eventi ed è incapace di rispondere ai problemi della natura: resta sempre un’incompletezza nelle teorie.

La scienza non pretende domande sul senso della vita anche se ne ricerca cause origini mentre noi ci interroghiamo sul senso degli eventi e alla ricerca di un fine ma «la scienza e l’arte hanno in comune il fatto di riconoscere che la realtà è un insieme più complesso di quello che possiamo vedere» (Rovelli).

La scienza quantifica, misura e calcola e di un quadro pone il problema della chimica dei pigmenti: non si domanda qual è il senso dell’arte e del messaggio dell’artista.

Per i fisici il tempo presente-passato-futuro non esiste mentre l’individuo che vive in una dimensione temporale finita non si fa ‘convincere’ dalla fisica: il tempo viene vissuto in modo differente da persona a persona.

Galileo si è dedicato allo studio della natura e ha preferito tacere su odori, sapori e solletico forse è il caso di riparlarne perché la casalinga di Voghera li sente tutti e spesso sogna tra i fornelli una vita migliore e si chiede cos’è la gioia e la tristezza e sente l’inefficacia l’incompletezza di ogni teoria incapace di rispondere ai perché di tutti sul senso della vita.

Conclusione

Il pensiero, come la frontiera, ha con sé l’inesplorato, l’inconoscibile e richiede un più knowledge collaborativo e non l’inveterata hỳbris.

Gli eventi mostreranno la bontà o meno delle teorie che si confrontano.

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