Campania : acqua ai privati

Ambiente & Salute

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IL presidente della Regione Campania, almeno sul problema“ acqua“ è in sintonia con il Governo. La delibera regionale,  n.399 del 25 luglio ha dato il via libera alla costituzione della Società “Grandi reti idriche campane S.p.A.”,  che gestirà il trasporto ai punti di distribuzione.

IL  51 per cento delle quote della nuova società  è in mano  alla Regione e il 49 per cento ai privati, attraverso gara d’appalto. Tutto questo avviene nella regione del Sud più ricca d’acqua.

 La sintonia con il Governo deriva dal fatto, che questo ha impugnato la legge della Regione Puglia, che sancisce  la gestione pubblica dell’Acquedotto Pugliese, consentendo l’ingresso dei Comuni nel capitale sociale dell’azienda.

Legge impugnata a seguito del parere dell’Autorità Garante della Concorrenza del Mercato, che ravvede un ostacolo alla concorrenza e,  quindi contraria alle norme comunitarie.

 Ancora una volta la legge Galli “Disposizioni in materia di risorse idriche” viene interpretata invece, che applicata.Nella legge è scritto: a) l’acqua è un bene pubblico; b) tutte le acque superficiali e sotterranee, sono pubbliche e utilizzate secondo criteri di solidarietà. 

A margine va ricordato, che sulle concessioni autostradali con profitti ultramiliardari dei concessionari poco si muove.

Altrettanto dicasi, per i balneari secondo i dati dell’indagine Unioncamere-InfoCamere, basata sul Registro delle Imprese delle Camere di Commercio, al termine del 2023 erano esattamente 7.244 le imprese registrate nel settore della gestione di stabilimenti balneari: quasi uno per chilometro di costa, quasi due per chilometro effettivamente raggiungibile.

Inapplicata la  direttiva Bolkestein e,  con prezzi che molti italiani non potranno nemmeno farsi una giornata di mare, una ingiustizia profonda. In Francia, le libere spiagge ci sono dappertutto anche nei posti più esclusivi.

 La crisi idrica è stata puntualmente anticipata nei Rapporti di IPCC, dell’Agenzia Europea per l’Ambiente, in Ricerche di REF, nella certificazione degli Osservatori Distrettuali Permanenti per gli Utilizzi Idrici (istituiti nel 2016 nei sette distretti idrografici), a causa dei cambiamenti climatici e perché l’Italia  è al centro di un “hotspot” del cambiamento climatico.

Hot spot  vuol dire, che  il riscaldamento globale si manifesta con impatti maggiori per gli ecosistemi e le popolazioni che vi risiedono.

Nei prossimi anni  l’Italia apparterrà sempre più, a un’area climatica assai prossima a quella di paesi come Siria, Iran, Iraq, Tunisia, che stabilmente vivono con scarse risorse di acqua. Secondo l’European climate risk assessment  l’Italia sarà esposta ad alti rischi, in termini di aumento delle temperature medie, frequenza delle ondate di calore e cambio del regime delle precipitazioni, che si fanno meno frequenti, più abbondanti e concentrate nello spazio, con conseguenti fenomeni emergenti di alluvione e siccità.

Respingiamo le scelte finalizzate alla privatizzazione, ma contestualmente non si può più perdere tempo verso i negazionisti climatici presenti in questo Governo, nella scarsa consapevolezza delle istituzioni verso l’acqua, che è un bene prezioso, ma anche  una risorsa scarsa che va tutelata: cittadini, istituzioni, agricoltori e utilizzatori industriali sarebbero tutti d’accordo con questa affermazione.

 Occorre però dare seguito,  anche nelle azioni e dare all’acqua un prezzo coerente con il suo valore e nei settori serviti l’agricoltura, gli allevamenti, l’industria il settore residenziale.

L’acqua piovana ? Solo il 4% è raccolta negli invasi. IL settore agricolo incide per il 60% sul consumo di acqua, ma riutilizza solo il 5% delle acque depurate. Un organismo pubblico come l’EIPLI, che per fini istituzionale gestisce le dighe e le infrastrutture idriche di approvvigionamento nel distretto dell’Appennino meridionale, è in liquidazione da più di dieci anni.

 Quindi ? Zero investimenti e zero manutenzione!  Negli invasi, si trattiene circa un terzo della capienza. Un assurdo nel tempo della siccità e della penuria di acqua al Sud.

Prendere atto che l’acqua dolce per uso potabile rappresenta meno di un quinto  dei prelievi di acqua e, che la restante quota viene utilizzata in agricoltura, negli allevamenti e nell’industria.

L’inerzia del legislatore nel settore idrico è intollerabile.

Gran  parte dell’acqua utilizzata in agricoltura e industria è prelevata dall’ambiente, senza misurazioni e controlli, con pozzi o prelievi spontanei dai fiumi, e a costi comunque irrisori.

Sino a quando questo  sarà consentito e tollerato ogni iniziativa per disciplinare e regolamentare i prelievi di acqua è destinata a fallire.

Realizzare le esperienze positive di paesi come India (1985), Cina (1954) o Australia (1971), che hanno istituito un ministero dell’Acqua, a cui è demandata la responsabilità di gestire la risorsa idrica, disciplinarne l’accesso, definirne un costo d’uso coerente con il valore dei suoi diversi impieghi.

Attuare le pratiche di adattamento ai cambiamenti climatici accelerando la realizzazione del  Piano nazionale di ripresa e resilienza e le iniziative del Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza del settore idrico.

Prendiamo atto degli insufficienti stanziamenti del PNRR per il settore idrico,  meno di un quarto rispetto al fabbisogno minimo.

Un anno fa il Guardian evidenziò i danni fatti all’ambiente dalla gestione di BlackRock, Vanguard, JP Morgan, con disservizi, aumenti di tariffe, ma  distribuzione dividendi agli azionisti.

Guardian concludeva con l’ovvietà, che questi“ industriali” fanno il proprio interesse.

 Acqua pubblica senza se e senza ma !

Plauso a Emiliano, pollice verso per De Luca.

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