Tragedia a San Vittore: ragazzo di 18 anni muore carbonizzato in cella, riflessioni sul sistema carcerario

Attualità & Cronaca

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di Annamaria Gargano

Un giovane di 18 anni è morto carbonizzato in una cella del carcere di San Vittore, a Milano. Al momento, le circostanze precise dell’accaduto sono ancora poco chiare, ma quel che si sa è che il ragazzo si trovava in custodia cautelare, quindi in attesa di giudizio per una rapina. Non era stato ancora condannato. Tuttavia, indipendentemente dai dettagli specifici della vicenda, questa tragedia solleva gravi interrogativi sulla condizione del sistema penitenziario italiano e sulle responsabilità delle istituzioni.

Il carcere è, in primis, un presidio dello Stato, dove lo Stato stesso ha il dovere di garantire la sicurezza e la dignità di chi vi è detenuto, a prescindere dal motivo della loro presenza. Come per gli ospedali e le scuole, anche qui le istituzioni hanno una responsabilità totale sulla protezione e il benessere delle persone. Il sistema carcerario ha il compito non solo di custodire chi ha sbagliato, ma di offrire loro una possibilità di ricostruirsi una vita e reintegrarsi nella società. Invece, da anni si assiste a un tragico ripetersi di suicidi, violenze e situazioni di estremo disagio. Che l’incendio che ha causato la morte del giovane sia stato doloso, un tentativo di suicidio, un incidente o una protesta, non cambia la sostanza: in ognuna di queste ipotesi, si è verificato un fallimento dello Stato. Non è accettabile che tali eventi continuino ad accadere. Solo nel 2024, nelle carceri italiane, si sono registrate 175 morti, di cui 70 suicidi, oltre a sette suicidi tra gli agenti penitenziari e circa 1500 tentativi di suicidio. Questi numeri indicano chiaramente un problema profondo, che non può essere ignorato.

Il sovraffollamento delle carceri rappresenta una delle principali cause di queste tragedie. In 56 istituti penitenziari italiani, oltre un quarto del totale, il tasso di affollamento supera il 150%, con punte che superano il 200%. Questo significa che, dove dovrebbero esserci 100 detenuti, ve ne sono invece 200. In tali condizioni, la gestione della vita quotidiana e la tutela della dignità umana diventano impossibili. Le ispezioni condotte da associazioni come Antigone descrivono un quadro drammatico: in un carcere su dieci, le celle sono prive di riscaldamento; in sei su dieci non viene garantita l’acqua calda per l’intera giornata e per tutto l’anno; nel 22% degli istituti manca un campo sportivo o questo non è utilizzabile. Come si può pensare che, in queste condizioni, una persona possa uscire da un’esperienza carceraria equilibrata, sana e pronta a reintegrarsi nella società?

Non è un caso che in Italia il tasso di recidiva sia del 68,7%, cioè, nella maggior parte dei casi, chi esce dal carcere torna a delinquere. Questo dato evidenzia la totale inefficacia delle politiche penitenziarie, che non riescono a garantire la rieducazione e il reinserimento sociale dei detenuti. Le responsabilità vanno ricercate a monte, nelle politiche governative che, da anni, trascurano la necessità di riforme strutturali e urgenti per il sistema carcerario.

La morte del giovane a San Vittore non è solo un tragico incidente individuale, ma un segnale di un problema sistemico che non può più essere ignorato. È urgente una riflessione profonda sul ruolo delle carceri e sulla necessità di politiche che mettano al centro la dignità umana, la riabilitazione e la sicurezza di tutti.

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