Siamo in Sicilia, all’epoca del tramonto borbonico: è di scena una famiglia della più alta aristocrazia isolana, colta nel momento rivelatore del trapasso di regime, mentre già incalzano i tempi nuovi (dall’anno dell’impresa dei Mille di Garibaldi la storia si prolunga fino ai primordi del Novecento). Accentrato quasi interamente intorno a un solo personaggio, il principe Fabrizio Salina, il romanzo, ben poco concede all’intreccio e al romanzesco. L’immagine della Sicilia che invece ci offre è un’immagine viva, animata da uno spirito alacre e modernissimo, ampiamente consapevole della problematica storica e politica contemporanea.
E, tuttavia, il pensiero sul contenuto implicito è che viene comunemente semplificato in: «tutto deve cambiare perché tutto resti come prima». Pensiero sociale e politico assurto a manuale dell’attuale sistema pubblico post-bellico.
Rappresentativo di questo principio è il Ministero (già) della Pubblica Istruzione; dal 13 Luglio 1946 a tutt’oggi ci sono stati settantadue Ministri (alcuni per più governi o legislature), eminenti accademici o oscuri uomini (e donne) di partito: da Gonella a Moro, da Rossi a Malfatti, dalla Iervolino a Berlinguer (Luigi), dalla Moratti alla Gelmini, sino all’odierno Valditara.
Tutti hanno provato a riformare la scuola e, soprattutto, regolarne l’accesso, sia per gli studenti che per i docenti; per quest’ultimi travalicando criteri pubblicistici sanciti da Leggi e Decreti, per non meglio identificate necessità di ordinata organizzazione.
L’accesso al pubblico impiego avviene attraverso un concorso pubblico (art. 97 della Costituzione) e, nonostante il criterio indicato, ciò non avviene sempre con criteri di trasparenza, trascinati da prassi arroccate nei provveditorati provinciali, dove si determinano le sorti di giovani ed anziani professori.
Uno dei punti più oscuri fu raggiunto con la Legge 107 del 2015 (Governo Renzi) che, pur nella lodevole intenzione di ridurre il precariato, smistò docenti vecchi e nuovi in forza di uno sconosciuto e criticatissimo algoritmo in tutta Italia: un moderno “facciamo ammuina”, che è costato molto in ogni aspetto a persone che si sono viste stravolta la vita, spediti nelle scuole del Nord o da un Sud ad un altro Sud, ma mai in quello desiderato. Migliaia di sentenze della Magistratura del Lavoro hanno modificato quelle assegnazioni, ma non tutte, sempre sull’assunto della libertà di giudizio dei magistrati, non temperata dall’uniformità di orientamento.
Oggi si assiste all’ennesimo teatrino ministeriale, dove un corso/concorso realizzato in virtù dei progetti finanziati dal PNRR ha sfornato migliaia di idonei, tuttavia non assegnati alle cattedre vacanti ed in attesa di altro concorso, peraltro con date asincrone rispetto all’avvio dell’anno.
Invece di creare graduatorie uniche di soggetti abilitati secondo le norme dettate dallo stesso Stato, assistiamo ad un proliferare di via di accesso che creano solo false aspettative ed illusioni, vanificando i sacrifici di persone (spesso già adulte) che hanno studiato e lavorato e (magari) cresciuto figli o curato genitori per prepararsi al meglio.
Questo sistema è malato e chi si approccia la Diritto Scolastico o è un folle o è un santo, in ogni caso una persona che si troverà innanzi a norme certe alla mattina ed altre (invariabilmente) alla sera, senza una logica e senza il rispetto di linee guida inesistenti, come gli ultimi Ministri, votati più all’apparire che all’essere.
Rocco Suma
foto Tecnica della Scuola