Le pudenda di Stato

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In principio furono i Piemontesi, vincitori della guerra di unificazione, poi i regnanti sabaudi, quindi i fascisti ed – infine – i repubblicani: quello che era stato un regno fiorente (quello delle Due Sicilie), aveva subito la sorte di tutti gli Stati che perdono una guerra, smontato e depredato. Certo i Borboni non è che fossero dei progressisti ed illuminati sovrani, ma avevano creato le condizioni per una evoluzione economica del loro regno, ben più di quanto non avessero fatto i Savoia.

Realizzata l’Unità di Italia, era necessario che – in un momento storico in cui in tutta Europa si avviava la Rivoluzione Industriale – anche nel nostro Paese si avviassero programmi economici che si sganciassero dalla sola economia agricola ed artigiana, avviando una ampia e capillare industrializzazione, cosa fatta al Nord, più vicino ai Paesi europei ed ai mercati anglosassoni. Il tutto al netto di una industria “pesante” legata all’espansione guerreggiata sia all’interno dell’Europa, che verso l’Africa.

Il Sud di Italia venne subito relegato a territorio atto alla produzione alimentare, ben meno pericolosa dell’industria bellica, anche a causa di una mancanza di “accettazione” delle popolazioni meridionali dei “nuovi padroni”. Solo a Taranto venne installato un grande arsenale marittimo, soprattutto per la posizione geocentrica nel Mediterraneo della città pugliese, ponte verso l’Africa e l’Asia, territori da conquistare economicamente e/o militarmente.

Questa destinazione è durata sino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, cui è seguito il piano di proporzionale redistribuzione delle terre ai contadini, tuttavia sempre con esclusione della realizzazione di opere pubbliche tali da favorire una vera industrializzazione, ad iniziare dai collegamenti ferroviari e stradali e finendo con la mancata realizzazione di porti ed aeroporti.

Tutto questo ha impedito la nascita e, poi, la crescita di una vera classe industriale nel Mezzogiorno, dove persino la stessa borghesia non ha trovato un humus favorevole, formandosi solo ceti medi di impiegati statali, piccoli commercianti ed artigiani, contadini e pescatori.

L’impronta statalista della Repubblica della prima ora aveva lo scopo di ridurre le differenze fra le due Italia che si erano formate a Nord ed al Sud, spostando il baricentro industriale verso il Mezzogiorno, in primis con la creazione a Taranto del più grande centro siderurgico di Europa: questo avrebbe dovuto essere volano dell’economia locale, favorendo gli insediamenti di altre attività legate alla produzione dell’acciaio, con i relativi indotti. Nulla di tutto questo è accaduto, nemmeno con la realizzazione della Cassa per il Mezzogiorno, vero e proprio marchettificio, inutile e black hole di fondi pubblici, giustamente censurato da gran parte delle politiche nate nel Nord.

Tutto quanto sin qui riassunto a vol d’uccello, solo per spiegare come ogni politica sin qui messa in atto da ogni tipo di governo post-bellico – e sino ai giorni nostri – ha difettato di un requisito essenziale: la creazione e preparazione di una classe industriale moderna, competente e presente sul territorio, senza le stampelle del pubblico e senza la retorica della “compensazione” storica.

Migliaia di miliardi delle vecchie Lire e, poi, di Euro, sono stati letteralmente “buttati” in opere inutili, faraoniche, mal gestire e realizzate e – soprattutto – fonte di “foraggio” per le mandrie politiche di ogni colore: miliardi dispersi in rivoli più o meno grandi di tangenti, collaborazioni, consulenze ecc..

L’incompetenza e l’incapacità gestionale della maggior parte degli imprenditori locali, finisce per giustificare lo “scippo” – da parte di aziende estere – di bonus ed incentivi per realizzare attività economiche nel Mezzogiorno: la colpa è delle aziende estere che utilizzano gli aiuti di Stato o è di chi risiede sul territorio e non riesce ad utilizzare in alcun modo le possibilità economiche e fiscali che lo Stato offre per impiantare nuove aziende? Solo a ricordare le centinaia di milioni di euro ritornati al mittente in Europa per l’incapacità progettuale delle Regioni e delle aziende locali dovrebbe far riflettere sulle colpe degli imprenditori meridionali, che dovrebbero smetterla di “piangersi addosso” e prendersi ciascuno le proprie responsabilità, anche in ordine all’utilizzo della nuova ZES unica: struttura pensata per incentivare l’arrivo di imprenditori dall’estero o da altre parti di Italia, senza escludere la partecipazione delle imprese locali alla compartecipazione in queste attività.

Pensiamo al turismo, ad esempio: anni di parole e fumosi discorsi senza che sia partito un solo serio progetto di turismo enogastronomico (in Trentino ed in Alto Adige ci sono le strade del Vino, con le strutture produttive pronte alla ricezione dei turisti), piuttosto che un turismo di alto di gamma (abbiamo pochissime strutture atte a ricevere il turismo d’elitè che viene dalla Russia o dai Paesi Arabi o dagli Stati Uniti, vediamo solo Borgo Egnatia).

Quindi, accogliamo le imprese che vengono dall’Europa o, in generale, dall’estero ed impiantano attività che utilizzino maestranze locali, imprese che realizzino le opere necessarie e i beni del territorio, in attesa che le nuove generazioni di imprenditori locali comprendano ed attuino i meccanismi di produttività già diffusi altrove, creando un mercato circolare più ampio e duraturo e – soprattutto – più remunerativo.

Dipende solo da noi essere competitivi e vincenti.

Rocco Suma

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