Non vi sono invenzioni, esistono solo scoperte

Gocce di Olismo

Di

All’età di anni quattro pensai che la fantascienza non è cosa che esiste. Due anni dopo, immaginando il divenire dell’uomo che avrebbe fatto l’astronauta, mi suggerii l’evitar di pensare potessero esistere invenzioni e inventori. Esistono solo scoperte. Si tratta di ricercare, rimembrare, far luce.

La nana bianca che in rappresentazione dell’ultimo stadio di vita destina a morire tutto ciò che sta attorno spoglia il mortale di tracce di umanità, agendo sul piano fisico mentale, e sul difficile indagato psichico. Sul perché, ci si muove per assaggiare il μείρομαι partecipante di un continuum spazio temporale. Il fine apre gli occhi a chi guarda ma non vede, affinché si rilevino atroci realtà e così si colgano essenze prime. Le linee di sangue. Il ruolo del pericoloso criminale di specie. Das Unheimliche. La personalità che incarna guerra, morte. Polemos. Orbene, abbozziamo ora un rigoroso tentativo sulla considerazione dell’essere. Seguiterò in futuro vaglio dell’essere psichico, non escludendo sovrapposizione che nella nebbia non vedo. Ad ora, l’attrattiva invita ad adombrare il visto muovendo come pedone che avanza addentrando. Flectere si nequeo Superos, Acheronta movebo; poiché il nemico più grande si nasconde nell’ultimo posto dove guardi.

Qui siamo già morti. Qui sono già morto. È nel concepimento che si scatena la pulsione di morte pronta da quella desiderata idea che cresce la gordigia di specie. Ecco il punto massimo dal quale rotola il declino. Ecco il pulsare della batteria armata che domina lo iato fra nulla. Ecco la malattia, l’illusione. Il cader nel mondo.

Questo, in coppia con l’innamoramento, se non altro è l’incomoda affezione delle facoltà dell’uomo, da taluni cosiddetto fenomeno passivo della cosiddetta universale e misteriosa coscienza. Chi ha molto amato sa. Giacché sono le cellule che sanno. Ma ecco il perverso. È (solo) il sangue. È respiro. Dalle scaturigini del tempo, in ordine al cosmo, scorre e si inquina tra rancorose commistioni che definiscono deboli sentimentalismi aromantici veri. Spreco. Questo è follia. L’abito dolce di ciò che abita e conduce, terribile spia che induce. Animaletti siamo. Animaletto sono. Ben bene l’esistentivo al postutto potrà rimembrare.

Concentriamo il passo sulla scia già tracciata…

Il narcisista è lo zombie filosofico, per natura di sangue? Burattino di specie. Fantoccio, vacillante aferetico automa sperimentale. Tra gli esseri mortali vi sono chi, inconsapevolmente, esistono un’esperienza di cieca memoria interadattiva e non godono del partecipare di sanità mentale. Qui, il lettore attento potrà obiettare muovendo critica sulla necessità di cogliere pienamente la questione consapevolezza, materia del tutto complessa. Se il carnefice di specie non considera mondi, persone, società, vista, páthei máthos, ethos, logos, incarnando l’esisto solo io in absentia praesentia oggettificando chi invece è io sono poi uno solo e gli altri sono tutti, come par riporti chi una vita l’ha vissuta capendo, cosa possiamo aggiungere alle manifestazioni narcisistiche? Dovremmo trattare il – da taluni considerato – mostro quale pienamente consapevole o, invece, assumere certezza contraria? Sarà compito del tempo nella nebbia dover dar risposte sul chiarire delle forme che ivi ad ora son ascose. Se mi trovassi all’interno di un ceduo, dovrei avvertire – sul movermi – forme di fusto.

E chissà quante ne percepirei, se diradasse il giusto limite protettivo. Nel dubbio non posso escludere la vicinanza di una voragine. Sul nuovo precipizio cosa mi farebbe capire di un regresso o di un’avanzata? Ancora, qui potrebbe essere un deserto. Il lungo viaggio. Meglio attendere e seguitare la congettura sulla cosiddetta personalità narcisistica. Si direbbe l’anello ultimo e più debole della catena umana. Ecce homo. Schiavi di specie. Errori prodromi. Persone, che han disintegrata la maschera, non per indossarne di nuove da esibire a vantaggio, ma per svelare il fenomeno, fainòmenon, che appare, fàinomai, mostrarsi, apparire. Il criminale egoista. Se vogliamo, la personalità più incompleta a servizio della specie, ma a essa funzionale. Il continuo ricorso a multiple unioni nasce dall’insufficienza energetica che per tentare un equilibrio in quel che il cosiddetto io osserva oggettificando, non potendo completarsi in risonanza, ricorre a motivo di impasto pulsivo al consueto meccanismo di consumazione.

Dapprincipio non apprezzo il termine io, né l’utilizzo. Al sottoconcetto che esprime la personificazione della maschera che intende l’essere, dovrò con cura porre rimedio, per cogliere pienamente l’essenza di quel che penso sia l’immagine sociale che pensa attingendo dall’illusione e nuota all’interno di essa, credendosi un bagnante importante, salvo se si coccola facendo il morto al sole. L’insufficienza di cui sopra è l’indicibile intimo essere che si mostra, disgregando la maschera che partecipante di fragilità assume falso dominio a protezione di superiorità d’agito, ingannando il sociale (i pensieri e loro) e catturando pienamente l’illusione seduttrice. Questo fenomeno che chiamiamo manifestazione è risultato vincolante e non rifiutabile a motivo di stortura della mente.

Unico beneficio è tratto da pulsione di morte e specie, i quali sorriderebbero compiaciuti alla vista dell’ennesima débâcle, se non fosse che da tempo più non si curan dell’egolatra. Il narcisista, per quanto sopra descritto, vive l’indicibile intimo essere che controlla e null’altro può, in assenza di misura. Si direbbe un’esistenza mossa a continuo controllo di ogni qualsicosa, doveroso poiché esso stesso è mancante di equilibrio, misura, controllo. In un passato scritto inferii indicando il processo sottolineando paradosso.

Si badi, apposizione non è essere. Essere non è il soggetto, se lo intendo parlato da un linguaggio. L’essere non si può astrarre. Azione, pensiero, azione. L’indagine spinge, come già ieri, sulla sostanza. Una psicanalitica delle scaturigini del tempo che formano materia. Corrompibile materia che tradisce la vita. La radice di tradire muove a consegnare. Qui si colloca il narcisista, quasi fosse pedina umana tra le nevrosi, che per destino bieco muove per debole carenza di riproduttiva struttura sperimentale al fine di smembrare esistenza. Si faccia attenzione sul significato di crimen e (nuovamente) io. Non dobbiamo separare l’essere che razionalizza e socializza dall’indicibile intimo essere, ma agir sulla via possibile dell’analisi dei due, sapendo che è uno. Si presti ancor più nuova diligenza nel discernere sapere e conoscere. Ancora, questa è la via che mi potrà condurre allo svelamento dell’essere e dell’essere psichico.

Eppur, tuttavia, sono queste solamente macchie nere su spazio bianco? Non lo escludo, in un mondo là fuori ove Il firmamento si mangia in un piatto. Forse ho scritto tutto. Dubito il poter ancora pensare a ciò che intendo con crollo. Attenzione: rimanere comodi sulla posizione a sedere. Si segga madame, gusti il declino o fotografi il bello. Faccia entrambe le cose, guardando ebbri visi compiaciuti.

Risulta encomiabile l’interesse di coloro che muovono attenzione dimostrata ai problemi occidentali, così quali percepiti nel marcio che ribolle come rigogliosità d’acqua che tracima dal pentolone ricolmo e gonfio. Trovo sia direttamente proporzionale all’impegno di perpetrato condizionamento mentale che religa a isteria collettiva nel discutere di attesa parusistica. Oggi, sulla via di nuovi aggiornamenti culturali che a mio avviso non rivoluzionano in direzione di corretta educazione, si direbbe disordine di conversione, in luogo di isteria.

Le mutazioni di linguaggio sembra conducano (anche) a neologismi utili a sempre miglior comprensione dei concetti sottostanti terminologie, nella speranza di catturare e stringere afferrando nella più stretta morsa. Ma cogliere rientra nella mia sezione di negatività tra le parole che scrivo su carta e che stanno al di là (taluni potrebbero dire al di qua) della linea tracciata nella mezzeria della stessa. Indi, temo più la via sull’allontanamento. Speranza. Pulsiva schizofrenia delle masse. Il fedele che non osserva devozione all’uomo e all’esperienza umana ma a ciò che è sconosciuto può spingersi altrove, sulla via paranoica; il greco ci riporta al rigor di significato sulle ancestrali tracce: follia, fuori dalla mente.

Questo mi spinge sull’indagine dell’essere psichico. Si pone il ricordo del folle che discende il monte e grida al mercato. Ma folle e masse par abbiano costitutive differenze temporali in essere. Se così è, delle folle son minori i danni, e così del folle non si debba temer. Sono le masse a cogliere e forgiare identità disgregando l’ente che può non partecipare dell’indicibile intimo essere. Così le cristallizzate dannose sovrastrutture organizzate. L’attenzione muove su νοῦς, noûs. Si traduce con mente e intelletto. Intelligere legge dentro raccogliendo insieme e scegliendo.

Questo rivela il processo delle informazioni di scambio nate dagli atomi che vorticano per raggiungere il filtro grazie alla spinta ammantiva del thumos. Così trovo corrispondenza dimostrativa alle mie intuizioni sul ruolo delle cellule cardiache, tabernacolo dei neuroni primi, e per differenza l’incontro di riconoscimento attivo in osservazione di ben formate e stortura mentale, tramite la personalità dell’individuo. Dovrò incamminarmi oltre.

Discendere all’ǎḇaddōn è facile. La porta è aperta notte e giorno. Ma risalire i gradini e tornare a vedere il cielo, qui l’opera, qui la vera fatica. 

Io sono convinto che l’uomo non rinuncerà mai alla vera, autentica sofferenza. Giacché la sofferenza è la vera origine della coscienza. In realtà io continuo a pormi una domanda oziosa: che cos’è meglio, una felicità da quattro soldi o delle sublimi sofferenze? Dite su, che cos’è meglio?

 Dostoevskij, Note dal Sottosuolo

di PsykoSapiens

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