Una spedizione tra gli Eschimesi fa scoprire una fluidità di genere sorprendente.
L’antropologo Franz Boas alla fine dell’Ottocento va a vivere tra gli Inuit o Eschimesi, un piccolo gruppo di cacciatori che vive ancora presso il circolo polare artico e il cui nome significa «esseri umani». La loro vita si basa su un continuo alternarsi tra l’aggregazione in gruppi e la caccia solitaria, seguendo la selvaggina in un clima ostile, sono profondi conoscitori del proprio territorio tanto da avere quattro parole diverse per dire neve. La prima (aput) vuole dire che c’è neve sul terreno,la seconda (qana), indica la neve che cade; una terza parola (piqsirpoq), vuole dire che c’è neve e vento e infine la quarta (quimuqsuq), che significa valanga di neve.La vita negli igloo non era semplice ma consentiva di sopravvivere a zero gradi contro -20,-30 gradi dell’esterno.
In queste difficili condizioni se nascevano più femmine ne veniva scelta una a cui insegnare a cacciare, ruolo tipicamente maschile. Il nome dato ai bambini veniva attribuito non in base al sesso anatomico ma in base al sesso dell’antenato recentemente morto e che si riteneva il nascituro reincarnasse. Una bambina con nome maschile veniva vestita e fatta partecipare solo alle attività dell’altro sesso.
L’inversione di genere era possibile, per le femmine con l’arrivo delle prime mestruazioni e per i maschi con la dimostrazione di una scarsa abilità nella caccia. Nel momento in cui la madre annunciava l’inversione di genere, erano riportate anche resistenze da parte di molte ragazze ma poi in generale ci si adattava.
La cosa però si complicava quando un bambino riceveva più di un nome di antenato e di generi opposti; allora il bambino vestiva un giorno con abiti femminili e un altro giorno con quelli maschili, oppure con abiti per metà femminili e metà maschili o anche i capelli tagliati metà corti e metà lasciati lunghi.
Nella società degli Inuit esiste una fluidità di passaggio sia da un genere all’altro che che nella sessualità, l’attribuzione del genere cambia quando i bambini e le bambine diventano adolescenti con la possibilità di procreare. La sopravvivenza degli Inuit si è basata soprattutto sulle risorse interne, e i figli rappresentano una delle risorse più importanti; ne consegue che l’orientamento sessuale è quasi coercitivamente adattato al genere,indispensabile alla sopravvivenza e alla funzionalità della società Inuit.
Questo non vieta che in alcune situazioni si possa tornare a identificarsi con il genere attribuito alla nascita. Il modo d’intendere il genere Inuit appartiene ad una cosmologia che comprende anche il regno animale e ci sono delle somiglianze con il significato ambivalente che viene attribuito all’orso.
Umberto Palazzo
Editorialista de IlCorriereNazionale.net