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© foto di SSC Bari
Il Bari giocava oggi con la Carrarese in una gara che, nonostante le speranze di vittoria, si è conclusa con un pareggio amaro – l’ennesimo – e ricco di spunti per riflettere. Basta nominare la Carrarese per rievocare un episodio dolce e amaro nella storia recente del Bari: la memorabile semifinale dei playoff di Serie C, quando i biancorossi conquistarono l’accesso alla finale al 120′, battendo proprio la squadra toscana con un gol di Simeri. Curiosamente, sabato prossimo sarà proprio la Reggiana, la finalista di quel momento storico, a riapparire sul cammino del Bari, quasi come un segno del destino.
L’obiettivo per questa partita era chiaro: ottenere i tre punti per scalare la classifica, mantenere l’imbattibilità e allontanarsi dalla zona grigia della metà classifica, sempre rischiosa per una squadra che, seppur vivace, mostra segnali contraddittori. Così, Bari affronta la Carrarese consapevole della necessità di un cambio di passo, ma la gara inizia sotto un segno diverso. La Carrarese parte con intensità, sfiorando subito il gol con un tiro potente di Zuelli, neutralizzato con prontezza dal portiere Radunovic. La pressione apuana si fa sentire, e il Bari sembra subire l’iniziativa avversaria, apparendo sfilacciato e privo di brillantezza.
L’andamento del primo tempo non si discosta da queste premesse: poche azioni incisive da parte del Bari, una scarsa spinta da mezzali e esterni, e rare occasioni create. “La speranza è un sogno ad occhi aperti,” scriveva Aristotele, e la reazione biancorossa sembra quasi il frutto di un sogno poco convinto. Soltanto con una giocata di Sibilli, che prova a superare la difesa avversaria in solitaria, il Bari riesce a dare segni di vita offensiva, pur senza la precisione necessaria a finalizzare.
All’intervallo, l’allenatore Longo tenta di scuotere la squadra, inserendo Manzari e ridisegnando la formazione in un 3-4-2-1. Ma anche il secondo tempo non decolla facilmente. Nonostante qualche guizzo in più, come il tiro al lato di Manzari e la combinazione Dorval-Sibilli che crea un’occasione, l’efficacia sotto porta resta un miraggio. Quindi la clamorosa occasione capitata sui piedi di Lasagna che sbaglia un gol di esemplare facilità e, come se non bastasse, sulla ribattuta del portiere carrarese, ci pensa Sibilli a sbagliare un gol altrettanto facile. In un finale caotico, arriva un episodio controverso: Novakovich segna un gol, la palal sembra chiaramente entrata in rete anche senza che il pallone sbattesse all’interno della porta, un gol poi annullato dal VAR per un fuorigioco rilevato per una distanza minima. Anche qui, è come se, parafrasando Machiavelli, “il fine giustificasse i mezzi” per il VAR, che in questo caso diventa giudice di una partita e, per molti, persino di un destino.
Nel recupero, le speranze dei tifosi sono tenute in sospeso da tre clamorose occasioni per gli avversari, tutte neutralizzate da un Radunovic superlativo, vera colonna portante di una difesa altrimenti vulnerabile. Al fischio finale, resta un Bari deluso, incapace di fare quel salto di qualità tanto atteso. “Non si può scoprire un nuovo oceano se non si ha il coraggio di perdere di vista la costa”, osservava Gide, e forse il Bari si trova in un limbo: imbattuto, sì, ma senza la forza di osare per ottenere vittorie.
Nonostante le difficoltà offensive e l’assenza di un attaccante capace di fare la differenza, i biancorossi estendono la serie di risultati positivi a nove partite. Tuttavia, il pubblico barese esige di più, e sebbene la squadra abbia restituito dignità alla città dopo una stagione scorsa segnata da incertezze, sembra ancora mancare quella scintilla necessaria a fare il salto verso l’eccellenza.
Massimo Longo













