Maramao, perché sei morto?

Agroalimentare & Enogastronomia

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Pane e vin non ti mancava, l’insalata era nell’orto Maramao, perché sei morto?

Difficile dimenticare questa filastrocca fanciullesco-popolare, dove il pane è considerato come nutrimento vitale durante la vita ma anche come simbolo di rinascita.

Il cibo assume una forte valenza nel trapasso dalla vita terrena alla morte, prende il ruolo di accompagnamento verso l’aldilà. Uno degli aspetti più importanti che ricopre il cibo connesso al lutto ci porta alle usanze in epoche precedenti dove era tradizione lasciare nella tomba delle scorte di grano per sostenere il defunto fino al momento in cui avrebbe raggiunto la dimensione spirituale.

Quello che noi chiamiamo “u cuonz”, il pranzo di consolazione dopo un funerale, altro non è che un retaggio del passato, celebrando in modo virtuale l’antica usanza di andare a mangiare sulla tomba del morto.

Il binomio morto-cibo si relaziona facilmente con il binomio vita-morte, anche se alcuni antropologi, classificano questo rito ad una forma leggera di necrofagia in cui il cibo preparato in prossimità del morto simboleggia la volontà, il desiderio di nutrirsi della conoscenza della vita del defunto. .

Secondo l’antropologo scozzese James George Frazer (1854 –1941) invece l’esigenza di legare il cibo al defunto risponde ad una legge di magia simpatica secondo la quale lo stomaco è il sepolcro del cibo e così come il cibo muore in esso, così il morto troverà riposo nella terra.

Cosi il pane, attraverso questi rituali assume un’importanza destinata ad equilibrare il contatto con i vivi, il trait d’union con i familiari deceduti e quindi genericamente con tutti i defunti.

La scelta del pane come cibo rituale non avviene per caso, ma va ad ascriversi ad una visione rigenerativa dello stesso, in una stretta simbiosi con la morte e la sua resurrezione,cosi come la rigenerazione del frumento o in generale dei cereali di cui è costituito. Le offerte di grano, pane e cereali al defunto, diventano un modo per rappresentare ancora una volta il ciclo della morte e della rinascita, un modo di garantire la vita oltre la morte per questo l’alimento veniva offerto spesso durante la veglia notturna, all’ingresso del cimitero o della casa

. Ancora oggi, in parecchie regioni italiane vengono preparati strani dolcetti a forma di ossa chiamati appunto “ossa dei morti”, “collivi”, “stinchetti” e altre golosità a forma di organi umani che vengono poi regalati.

E’ un rito che ha trovato spazio in tutte le culture e che sopravvive, anche sotto forme diverse, ancora oggi. Il culto dei morti è presente in molti aspetti folkloristici tradizioni ancora attuali, tanto che nel sito www.arbitalia.it/news/mazziotti/tradizioni_gastronomiche.htm, ritroviamo notizie dei paesi italo – albanesi di rito greco – bizantino che vivono con noi da oltre 600 anni e che hanno saputo conservare e mantenere le loro identità anche attraverso i riti antichi delle loro origini.

I morti vengono commemorati, invece che ai primi di novembre come nella tradizione cattolica, all’inizio della primavera, tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo.

La commemorazione dei defunti nei paesi albanesi presenta le caratteristiche di una festa popolare, durante la quale i defunti si confondono con i vivi, si crede che Gesù Cristo dia il permesso alle anime perché escano dall’oltretomba e facciano ritorno sulla Terra per ritrovare i luoghi in cui sono vissuti.

Di estrema suggestione il rito processuale dove, dopo la processione al cimitero, i parenti degli estinti si appartano nella tomba dei propri cari per consumare cibo e bevande e chiunque passi nelle vicinanze viene invitato a partecipare al banchetto.

Questa singolare tradizione affonda le sue radici in usi antichissimi.

Ruolo simbolico di rilievo nelle celebrazioni in onore dei defunti hanno i collivi, fette di pane con sopra grano bollito. Nella serata amici e parenti si ritrovano e consumano la cena rievocando, fino a notte inoltrata, i loro cari e uno dei posti a tavola è lasciato libero perché “riservato” al defunto.

Si rinnova in questo modo una tradizione antica che si ricollega ai banchetti della chiesa primitiva e alle usanze che per secoli hanno messo in evidenza i valori di solidarietà e di amicizia all’interno della comunità arbereshe.

Il sabato successivo è invece un giorno di profonda tristezza, perché secondo la tradizione i morti sono obbligati a ritornare nell’oltretomba, distaccandosi dai propri cari.

Qualunque teoria si condivida, il legame dei morti col cibo sopravvive ancora oggi. Mentre nel rito cattolico il rito di celebrare segue la festa cristiana in onore dei Santi, come in una sorte di purificazione pre mortem. .

Già la cristianità primitiva era solita celebrare feste in onore dei Santi, come testimoniano gli scritti di Tertulliano e di Gregorio di Nizza (223–395 d. C.), ma solo le pagine scritte da Sant’Ephraem (morto nel 373 d.C.) danno una sicura testimonianza della “festa celebrata in onore dei martiri della terra” il giorno 13 maggio. La festa giunse a Roma nel 609 d. C., quando papa Bonifacio IV dedicò il Pantheon di Roma alla Vergine Maria ed a tutti i martiri.

Nel tentativo di far perdere significato ai riti legati alla festa celtica di Samhain, nell’anno 835 Papa Gregorio Magno spostò la festa di Ognissanti dal 13 maggio al primo novembre.

La stretta associazione con la commemorazione dei defunti, celebrata il giorno successivo, fu istituita solo nel 998 d. C.: l’abate Odilone di Cluny diede disposizioni per celebrare il rito dei defunti dopo il primo novembre. In memoria dei cari scomparsi ci si mascherava da santi, da angeli e diavoli e si accendevano falò. Fu Papa Sisto IV, nel 1474, che rese obbligatoria la solennità in tutta la Chiesa d’Occidente.

Nell’ampio spettro di beni immateriali, possono rientrare anche le usanze tipiche come quelle legate alla ricorrenza dei “morti”, specialmente oggi, che la festa di Halloween si diffonde sempre più e trova, specie da parte delle nuove generazioni, una consistente attrattiva.

RICETTE

Gli stinchetti riproducono in marzapane tibie umane, la qual cosa faceva scrivere a Paul Valéry nel suo libro L’Italie confortable: «Cet horrible bonbon, qui a sa moelle comme les ossements humains, rappelle, par sa forme et son nom, l’ancienne réputation de férocité des habitants, heureusement fort adoucie!».

Evidentemente il Valéry ignorava che il mondo dei dolci in Italia è dominato dalla magia simpatica e che nel caso specifico degli stinchetti c’è una concezione animistica secondo la quale il mangiare le riproduzioni fortifica l’organo riprodotto.

La preparazione degli stinchetti è piuttosto approssimativa, sia perché è difficile trovare la vera originale ricetta, sia perché essendo raro che essi vengano fatti in casa le dosi sono oramai gelosamente conservate dai pasticceri.

Stinchetti

mandorle g 100

cacao g 30

buccia grattugiata di ½ limone

1 o 2 chiare d’uovo

1 foglio colla di pesce

Impastare, con le mandorle tritate finemente, metà dello zucchero, il cacao, 1 chiara d’uovo. Montare a neve l’altra chiara, aggiungere lo zucchero rimasto, la colla di pesce (ammorbidita in acqua) e impastare fino a che risulti consistente.

Mettere un pezzetto della pasta al cacao dentro un quadratino ottenuto con la pasta bianca, avvolgere e dare forma di un piccolo stinco di circa 10-12 cm.

Sistemarli su ostie da pasticceria, far riposare per circa 24 ore, quindi cuocere per qualche minuto in forno a calore moderato.

Le Fave dei Morti

Ingredienti:

Farina 200 gr

Zucchero 100 gr

Mandorle dolci 100 gr

Burro 30 gr

Un uovo

Odore di scorza di limone, oppure di cannella, o d’acqua di fior d’arancio.

Preparazione: Sbucciate le mandorle e pestatele con lo zucchero. Mischiate il composto con la farina e gli altri ingredienti. Lavorate l’impasto fino ad ottenere una pasta morbida. Modellatela a forma di piccole fave.

Disponete il tutto su una teglia da forno precedentemente imburrata e spolverizzata con la farina. Dorate con il tuorlo d’uovo e infornate per circa 20 minuti a 160°.

 

Le Ossa dei Morti

Per 4 persone Ingredienti:

Farina 150 gr
Mandorle pulite 100 gr

Nocciole pulite 100 gr

Zucchero 200 gr

Burro 10 gr

Chiodi di garofano 30 gr

Cannella in polvere 1/2 cucchiaino;

Marsala secco q.b.

Preparazione: Rompere 25 gr di nocciole e 25 gr di mandorle a metà, tritare molto finemente il resto di mandorle e nocciole con lo zucchero e i chiodi di garofano e unire la cannella al trito.

Impastare con farina e marsala fino ad ottenere una pasta soda (unire il marsala 1 cucchiaiata alla volta) . Lavorare la pasta finchè diventerà liscia e omogenea. Formare con le mani un rotolo non troppo grosso e tagliarlo in otto parti. Avvolgere gli 8 cilindretti con le mandorle e le nocciole divise a metà, disponendoli poi sulla placca imburrata. Infornare per 30 minuti circa, nel forno a 200°.

Pupi di zuccaru (pupi di zucchero)

Ingredienti:

Farina 1 kg

Zucchero 300 gr

Strutto 250 gr

3 uova

10 gr di cremon di tartaro

5gr di bicarbonato

Preparazione: Impastate tutti gli ingredienti con un po’ d’acqua fino ad ottenere un composto simile a quello del pane. Modellare l’impasto a forma di piccole figure, riporre in una teglia da forno precedentemente imburrata e infornare.

Minni di Vergini

Specialità delle suore di clausura del Monastero dell’Itria di Sciacca.

Ingredienti:

800 g di «majorca» doppio zero,

300 g di zucchero,

300 g di sugna,

1 uovo,

latte,

zuccata di cioccolato a pezzettini per arricchire ( la crema di latti).

Preparazione: Sciogliere la sugna con la farina e lo zucchero, strofinandola tra le palme delle mani e impastarla, aggiungendovi, latte, finché l’impasto lo chiede. Far riposare qualche ora la «palla» ottenuta, stenderla col mattarello e sulla sfoglia depositare a distanze regolari tanti mucchietti di «crema all’amitu» arricchita da cubetti di zuccata e cioccolato a pezzettini.

Chiudere con una sfoglia più grande, avendo l’avvertenza di spennellare albume battuto intorno ai mucchietti di crema, affinché possano appiccicarsi meglio i bordi delle due sfoglie, ora ritagliati dalla forma di latta rotonda e frastagliata. Passare l’albume montato a neve su ogni singola pasta e infornare. A cottura ultimata a forno moderato spolverare con zucchero a velo.

Il principe Fabrizio Salina, il «Gattopardo», nel gran buffet della festa sceglie questi dolci, mentre l’autore Tomasi di Lampedusa fa questa riflessione: «Di queste don Fabrizio si fece dare, e tenendole sul piatto, sembrava una profana caricatura di sant’Agata, esibente i propri seni recisi. Come mai il Sant’Uffizio, quando lo poteva, non pensò a proibire questi dolci?

1 trionfi della gola (la gola, peccato mortale!) le mammelle di sant’Agata vendute dai monasteri, divorate dai festaioli. Mah!».

Crema all’amitu o di vaniglia

Ingredienti:

100 g di amido per dolci,

300 g di zucchero;

1 l di latte,

6 tuorli d’uovo;

la scorza grattugiata di 1 bel limone,

1/2 bustina di vaniglia,

1 pizzico di cannella in polvere.

Preparazione: Montare con la frusta le uova e lo zucchero; sciogliere l’amido in metà del latte poi, mescolando, unire l’altra metà, i tuorli montati, la vaniglia, la scorza di limone ed il pezzi di cannella. Mettere la casseruola sul fuoco e girare sempre finché il composto non cominci ad addensarsi. ricette/testi tratte da “il diamante della grande cucina di Sicilia di Pino Correnti- ed. Mursia- collana

Federico Valicenti 

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