Più Musei meno Archeologi disoccupati

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I Vasi Apulo Lucani, patrimonio della nostra Cultura Magnogreca, poco conosciuti o nascosti nei depositi museali

 

Il Prof. Paolo Rizzon nell’Istituto di Malattie Cardiovascolari anni 80 

Il nostro patrimonio archeologico di ceramiche dell’Arte Magnogreca, in parte conservato e non espatriato, grazie alla passione diffusa nelle famiglie private di inizio dell’ottocento e secolo scorso, risulta poco attrattivo per il turismo in forte crescita tra Puglia e Basilicata, mentre permangono nell’oscurità degli scantinati tante bellezze da poter riempire altri decine di musei e dare un lavoro retribuito  a tanti archeologi disoccupati e in  perenne formazione.

I colonizzatori dell’Antica Grecia, avevano esportato nel nostro territorio inizialmente ceramiche per un uso comune, che con il tempo si erano così abbellite, tanto da diventare oggetti a corredo di tombe ed edifici funerari.

Scavi legali o clandestini durante il periodo  borbonico avevano reso semplice individuare e asportare bellezze artistiche che le famiglie di benestanti acquistavano e restauravano, ben prima della  normativa che nel 1930 trasferiva allo Stato proprietà e custodia dei reperti archeologici ritrovati, sia nel territorio nazionale che in mare.  

 

Cratere Apulo Lucano: rapimento di Ganimede Museo Ridola Matera

L’ arte sviluppatasi a Creta aveva prodotto ceramiche con motivi ornamentali floreali o marini già oltre tremila anni fa, poi i disegni diventarono schemi geometrici a labirinto con svastiche e simili dall’ IX secolo al 700 a.C. circa.  Solo un secolo dopo inizia la raffigurazione di personaggi nelle ceramiche di Corinto, che mantenne il primato nell’esportazione non soltanto nelle colonie ma anche all’ interno della Grecia, e perfino ad Atene.

Nell’ anno 443 a.C. gli Ateniesi avevano fondato la colonia panellenica di Turi in Lucania, cosa che verosimilmente spiega la comparsa  successiva di vasi a figure rosse di provenienza locale anche a Metaponto, pure  le città greche dell’Apulia, a oriente, accettarono la sfida di offrire una alternativa locale ai vasi importati dalla  Grecia e Taranto, Ruvo e Canosa divennero importanti officine di produzione.

 

A Bari anni fa, il patrimonio artistico culturale lo si poteva toccare con mano, sia nel Palazzo Ateneo che nel Policlinico, dove era ben in vista,  nello studio del Direttore dell’Istituto di Malattie Cardiovascolari, prof. Paolo Rizzon, un bellissimo loutrophoros noto come il vaso della sposa. Si racconta che anche il proprietario della famosa libreria Adriatica vicino all’Ateneo, Macinagrossa, attirasse per la sua collezione esposta in privato, studiosi da tutto il mondo.

Le collezioni di vasi apulo lucani ora si possono ammirare in diversi Musei italiani: la Collezione Rizzon dell’emerito professore di Cardiologia, nel Museo Ridola di Matera, quella del suo maestro prof. Chini  nel Museo di Bassano del Grappa mentre la Collezione Lagioia-Jatta è in bella mostra a Milano.

Rimangono tuttora nascoste altre bellezze dei collezionisti Rizzon e Macinagrossa che sembravano dovessero rivedere la luce circa dieci anni fa, come da articolo su Repubblica (vedi link), ma tutt’ora nell’ombra del deposito museale del Castello Svevo.

Per gli appassionati della Cultura dei Vasi Apulo Lucani a Bari, resta intatta  la speranza di ulteriori iniziative a favore di un maggior interesse dei potenziali visitatori  del Centro Storico, che per ora, a detta di molti, viene invaso da orde di turisti per lo più affamati non tanto di visite culturali al vicino Museo di Santa Scolastica e Castello Svevo, ma soprattutto di focacce, panzerotti,sgagliozze e altre prelibatezze del cibo locale.

https://bari.repubblica.it/cronaca/2014/08/23/news/castello-94318315/

Vasellame catalogato Castello Svevo Bari da Repubblica 2014

 

 

 

Umberto Palazzo

Editorialista de Il CorriereNazionale.net

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