di Raffaele Gaggioli
Le elezioni del 24 novembre hanno dato inizio ad un vero e proprio terremoto politico in Romania. Contrariamente a quanto previsto dai sondaggi e da molti analisti politici, il candidato di estrema destra Calin Georgescu ha vinto il primo turno delle elezioni presidenziali.
Politicamente parlando, Georgescu ha più in comune con l’AFD tedesca che con Orban e la Le Pen. Prima di queste elezioni, il politico rumeno era stato cacciato dall’ Alleanza per l’Unione dei Romeni (AUR, il principale partito di estrema destra in Romania) per aver lodato apertamente la Guardia di Ferro, gruppo fascista che nel 1941 uccise più di 100 ebrei durante un pogrom a Bucharest.
Georgescu si è anche distinto per le sue posizioni filo-russe. L’uomo ha più volte accusato la Nato, l’Unione Europea e il corrente governo rumeno di voler costringere i suoi connazionali a combattere in Ucraina e ha promesso di interrompere l’invio di aiuti militari a Kiev. Inoltre, il vincitore di queste elezioni ha definito la presenza dello scudo di difesa missilistico balistico della Nato nella città rumena di Deveselu una “vergogna della diplomazia”.
Dopo che sono usciti i primi exit polls di queste elezioni, gli analisti hanno cercato di capire come Georgescu sia riuscito a crescere così velocemente nei sondaggi nonostante fosse un candidato indipendente, senza alcun sostegno da parte di alcun partito, e non avesse organizzato alcun tipo di campagna elettorale.
Per cominciare, Georgescu è riuscito ad ottenere l’appoggio di molti giovani rumeni e membri della diaspora attraverso una campagna virale su TikTok. Circa 2 settimane prima del voto, il social media sarebbe stato infatti invaso da video e commenti a favore del candidato di estrema destra.
Il costo e la tempistica di questa operazione fa ipotizzare che Georgescu sia stato aiutato dalla Russia. La sua elezione a presidente rumeno aiuterebbe infatti le ambizioni del Cremlino in Est Europa, in quanto indebolirebbe la posizione militare di Kiev e isolerebbe diplomaticamente la Moldavia (governata dalla europeista e filo-Nato Maia Sandu).
Allo stesso tempo, molti analisti incolpano anche l’impopolarità del governo attualmente in carica in Romania. Sin dal 2004, la nazione è stata guidata quasi ininterrottamente dal Partito Social Democratico (PsD), partito di centro-sinistra filo-europeo.
Negli ultimi anni, il partito ha però perso il sostegno di molti rumeni a causa della crescita dell’inflazione e delle difficoltà ad aderire all’Area Schengen (una zona di libera circolazione dell’UE senza controlli alle frontiere interne). Questi problemi avrebbero generato una generale apatia negli elettori rumeni, al punto che poco più del 52% degli aventi diritto si sarebbe recato alle urne.
Per questo motivo Marcel Ciolacu, attuale primo ministro rumeno e candidato social democratico alla presidenza, non ha ottenuto abbastanza voti per presentarsi al secondo turno di queste elezioni.
Sarà invece Elena Lasconi, candidata del partito filoeuropeista e pro-Nato l’Unione Salvate la Romania (USR), a dover fronteggiare Georgescu nel secondo turno delle presidenziali il prossimo otto dicembre. La candidata politica di centro-destra non ha mai ricoperto alcun ruolo istituzionale al di là di quello di sindaco di Campulung, ma in maniera simile al suo avversario si è presentata come una candidata antisistema intenzionata a cambiare profondamente la Romania dal punto di vista economico e politico.
È difficile predire chi vincerà tra i due. Durante il primo turno delle elezioni presidenziali, il candidato di estrema destra ha vinto contro la sindaca di Campulung per pochi punti percentuali (22, 94% contro 19,7%), mentre l’AUR, unica possibile alleata di Georgescu, è finita al quarto posto (ottenendo circa il 14% del voto).
In vista del secondo turno delle elezioni, le altre forze politiche rumene potrebbero invitare i loro sostenitori a votare per la Lasconi in modo da arginare la crescita dell’estrema destra, come già successo nelle elezioni rumene del 2000, e risvegliare i loro sostenitori dall’apatia dilagante. Tuttavia, questo sostegno potrebbe ottenere l’effetto opposto, spingendo altri rumeni a sostenere Georgescu in modo da punire ulteriormente i partiti politici correntemente al potere in Bucharest.
Bisogna soprattutto ricordare che l’ufficio del presidente non è l’unica carica politica per i cui i rumeni verranno chiamati alle urne nelle prossime settimane. Il 1° dicembre si terranno le elezioni parlamentari, che decideranno quale partito controllerà il parlamento rumeno per i prossimi quattro anni.
Da un lato, le inaspettate vittorie di Georgescu e della Lasconi potrebbero rafforzare le prospettive elettorali dell’AUR e dell’USR. Dall’altro lato, a differenza delle presidenziali, i risultati di queste elezioni sono influenzati dalla popolarità dei partiti nelle varie regioni rumene piuttosto che da quella dei singoli candidati a livello nazionale, il che favorirebbe i movimenti politici che controllano le zone più popolate.
Secondo i sondaggi, il PsD dovrebbe quindi ottenere tra il 31 e il 35% del voto, nonostante gli scandali e le accuse di corruzione, mentre il Partito Nazional-Liberale (Pnl-Ppe), il suo partner di coalizione, si fermerebbe ad un più modesto 20-22%. Allo stesso tempo, i vari partiti di destra (l’AUR e l’USR) potrebbero ottenere complessivamente circa il 30-32% dei voti.
Il vincitore del secondo turno delle presidenziali rischia quindi di ritrovarsi in una posizione priva di poteri a causa della mancanza di alleati e dell’aperta ostilità del parlamento. In questo caso, tuttavia, la Romania precipiterebbe nell’immobilismo politico, aprendo scenari imprevedibili non solo per la nazione esteuropea ma per l’intero continente.
Raffaele Gaggioli