La cinematografia americana ci ha rappresentato i pellerossa, a torto, solo come selvaggi sanguinari.
L’antropologo Franz Boas ci lascia un importante patrimonio di conoscenze anche sulla vita degli indiani dell’America del nord, nativi americani chiamati «indiani » causa dell’errore di Cristoforo Colombo, che credeva di essere giunto in India, mentre era sbarcato in America.
Il prototipo dell’indianoche avevamo nei film americani era di un selvaggio senza una cultura apprezzabile invece il rispetto dell’ambiente, il cacciare solo il necessario per alimentarsi e la tolleranza per ogni orientamento sessuale, ce li fa riscoprire migliori e più lungimiranti dei bianchi.
I nativi americani furono anche chiamati anche pellerossa non per il colore della pelle ma per la terra con cui si ricoprivano per difendersi dai raggi solari. Questi erano giunti dall’Asia nell’età della pietra e adattandosi ai diversi ambienti erano diventati cacciatori, pescatori, agricoltori ma anche predoni. Dagli spagnoli gli amerindi ereditarono la passione per i cavalli e svilupparono una cultura equestre che consentiva loro di cavalcare anche senza la sella, riservata solo alle donne.
Quando Colombo fece ritorno in Europa alcuni mesi dopo essere sbarcato nel Nuovo Mondo (ottobre del 1492) portando con sé un gruppo “indiani” si posero grandi problemi: la loro natura, umana o meno, il diritto che gli europei avevano di renderli schiavi, evangelizzarli o, addirittura, di porli sotto la propria autorità.
Le tensioni tra nativi e coloni europei iniziarono quasi subito. Quando giunsero i primi inglesi e francesi, nel Cinquecento, i nativi erano almeno 10 milioni. Erano nomadi, si spostavano a piedi o in canoa ed erano considerati selvaggi assetati di sangue dai nuovi venuti. Lo sfruttamento degli indiani divenne ben presto un dato di fatto: ridotti in schiavitù, massacrati, le loro istituzioni e le loro religioni negate, essi diminuirono drasticamente di numero. Si calcola che in un secolo, cioè dalla fine del XV alla fine del XVI secolo, la popolazione delle Americhe passò da venti a quattro milioni.
La sessualità era abbastanza libera rispetto ai colonizzatori, il contatto dei nativi indiani con bianchi e missionari determinò tra gli amerindi un senso della nudità fino ad allora assente.
Regole precise proibivano il matrimonio fra i parenti prossimi e in alcune tribù anche fra i parenti distanti o dello stesso clan. Tra sorella e fratello vi era un rigido tabù: non appena raggiungevano la maturità, essi non potevano più giocare insieme o parlarsi per cui una vecchia donna Arapaho di 90 anni non aveva mai parlato con suo fratello, poiché era consentita solo la consegna di un breve messaggio con occhi distolti in casi di assoluta necessità.
Ma non mancavano eccezioni come tra gli indiani Pueblo del Nuovo Messico, dove i mariti scomodi venivano cacciati col semplice espediente di mettere i loro mocassini fuori dalla porta d’ingresso o con le donne irochesi potevano decidere in qualsiasi momento di ordinare a un uomo di prendere la sua coperta e di andarsene altrove.
Tra i nativi indiani i maschi dovevano dimostrare aggessività e coraggio ,chi non era dotato da giovane cominciava a vestire abiti femminili e avviato alle attività domestiche (berdache) . Avendo in sè gli attributi del maschio e della femmina , erano accettati come terzo genere (Callender e Kochema 1983). Berdache ,però potevano essere entrambi i sessi biologici selezionati attraverso una specializzazione produttiva, come artigianato per berdache maschi, e guerra e caccia per berdache femmina. Venivano indicati con diversi termini: tibasa (metà donna) mixu’gura (istruito dalla luna) panaro (due sessi).
I maschi Cherokee con l’arrivo dei bianchi si videro trasformati da cacciatori in agricoltori, un lavoro tradizionalmente femminile e deportati attraverso il cosiddetto Trail of tears, il“sentiero delle lacrime”, in una riserva per far posto ai coloni, un dramma riassunto da un loro Capo con queste parole:
“Siamo stati costretti a bere l’amaro calice dell’umiliazione […];
la nostra patria e le tombe dei nostri padri ci sono state strappate […],
contempliamo un futuro in cui i nostri discendenti saranno forse estinti”
Umberto Palazzo
Editorialista de IlCorriereNazionale.net