La fusione nucleare come fonte di elettricità sembra essere sempre dietro l’angolo. Come dice una vecchia barzelletta, “Trent’anni fa, la fusione era lontana 30 anni dal diventare una realtà commerciale praticabile”.
Questo ottimismo era ampiamente condiviso, a giudicare dalla letteratura della stampa scientifica e tecnologica dell’epoca. Ma si è rivelato fuori luogo: sebbene le forze armate abbiano migliaia di testate nucleari basate sul processo di fusione, tutto ciò che riguarda la fusione commerciale come fonte di energia si è dimostrato più difficile e ha richiesto più tempo del previsto.
Sono passati più di 60 anni dallo sviluppo del primo reattore a fusione “tokamak” nella ex Unione Sovietica alla prima “combustione” a fusione sostenuta, o accensione, presso il National Ignition Facility negli Stati Uniti nel 2022.
Le difficoltà legate alla creazione di una centrale elettrica a fusione commerciale sono relativamente semplici .Tutti si concentrano sui risultati raggiunti rispetto al plasma, dove avviene la fusione, la energia da fusione è molto più di questo.
Richiede tutti questi altri sistemi: per avere una fusione commerciale di successo, devi catturare l’energia di fusione, produrre i componenti specializzati per realizzarla, avere la capacità di mantenere il dispositivo, e infine convertire quell’energia in produzione di elettricità, o qualunque cosa tu voglia fare.
Questo è un insieme di cose piuttosto complicato, ma è l’ energia di fusione, che interessa alla stampa.
IL processo di fusione rilascia neutroni che sono 10 volte più energetici di quelli che un impianto commerciale alimentato dalla scissione degli atomi, o fissione nucleare, normalmente emette. Questi neutroni ad alta potenza sono difficili da contenere e degradano rapidamente i contenitori proposti per il controllo del plasma estremamente caldo necessario per una reazione di fusione.
Allo stesso tempo, i plasmi sono semplicemente difficili da mantenere stabili mentre producono quell’importantissima “bruciatura” di fusione costante (o quasi costante).
Probabile che se mai si verificasse un’instabilità dirompente a ITER ( lo straordinario sforzo internazionale di ricerca e ingegneria, con sede in Francia, che cerca di dimostrare come la fusione potrebbe essere prodotta in un dispositivo di fusione magnetica) la struttura sperimentale multimiliardaria probabilmente non si riprenderebbe.
Per queste e altre ragioni, la fusione su scala commerciale, in stile tokamak, non sarà una realtà per moltissimi anni ancora .
Scienziati autorevoli pensano che la fusione commerciale si realizzerà ” non durante la vita dei miei figli, o della vita dei miei nipoti”.
Attenzione alle dichiarazioni di ministri o presunti esperti di società che si occupano di energia da un punto di vista solo economico su proiezioni troppo rosee per la fusione, o ciò che qualche esperto vero definisce “una complessa miscela di fatti, mezze verità e totale disinformazione”.
Ieri sera sulla rubrica subito dopo il TG2 delle 20.30, si è discusso di fusione con un ricercatore di ENEA , collegamenti con un ingegnere che lavora al progetto ITER e un economista di NOMISMA.
Quest’ultimo ha riproposto la grande bugia sul nucleare da fissione che, sarebbe a emissioni zero di CO2.
Ripetiamo lo è solo all’interno del reattore , ma tutte le operazioni della filiera del combustibile nucleare non sono a emissioni zero di CO2.
La fusione nucleare avviene usando deuterio e trizio.
Si è scoperto che ottenere una fonte affidabile e costante di combustibile al trizio ,per un reattore a fusione sarebbe un problema estremamente difficile da risolvere.
Fisici che lavorano nel mondo della fusione nucleare sostengono che i reattori a fusione ora previsti non sarebbero in grado di “allevare” abbastanza trizio per alimentare il funzionamento continuo del reattore, e che anche alcuni di questi reattori (se mai diventassero realtà) esaurirebbero presto la fornitura mondiale di quell’isotopo dell’idrogeno, che non è presente in natura.
Quindi la domanda legittima : perché qualcuno o qualsiasi istituzione dovrebbe avvicinarsi alla ricerca sulla fusione?
Le ragioni li ritroviamo , tra i vari esperti : desiderio di conoscere e capire i meccanismi di base del nostro universo, e la probabilità che la ricerca e lo sviluppo fondamentali nella fusione possano portare a grandi risultati in altri ambiti scientifici e tecnologici (“i metalli autorigeneranti” sono uno di questi).
E poi c’è ciò che la ricerca sulla fusione potrebbe fare per la ricerca sulle armi nucleari nell’immediato e breve termine. Già un autorevolissimo fisico come il compianto Prof. Baracca sosteneva che, la ricerca sulla fusione per uso pacifico e per uso militare sono fortemente intrecciate, nonostante i tentativi di ammantare le armi nucleari con l’aura del cosiddetto ‘atomo pacifico”.
Alla luce di queste considerazioni, è comprensibile che i governi continuino a sostenere la ricerca e lo sviluppo a fusione, nonostante la scarsa probabilità che una centrale elettrica a fusione commerciale entri presto in funzione.
Dopotutto, il finanziamento della ricerca di base e la provvista della difesa nazionale sono obiettivi fondamentali per qualsiasi stato.
Difficile invece è capire il perché colossi privati come Microsoft, OpenAI, PayPal e Amazon, investano ingenti somme in un campo nascente come la fusione commerciale. Più di 1,8 miliardi di dollari sono stati raccolti per finanziare una sola startup, Commonwealth Fusion Systems, il cui sito web indica che cerca di commercializzare l’energia da fusione in qualche forma in soli 10 anni. Per spiegare il loro pensiero, qualche professore dell’Università della California a Berkeley, si addentra nel mondo dell’alta finanza spiegando la psicologia dietro l’investimento di grandi somme nonostante le probabilità bassissime di realizzazione. La prospettiva di un “super ritorno” del 1.000 o addirittura del 10.000 per cento rende attraente tale ricerca.
Allo stesso modo, giocare a lungo termine potrebbe essere ciò che sta dietro l’ investimento su larga scala della Cina nella fusione, un investimento che va ben oltre la quota di quel paese dei suoi sforzi in ITER.
Cina che sta sviluppando un “sole artificiale”. IL governo cinese ha speso circa un miliardo di dollari per costruire e attrezzare un nuovissimo centro chiamato “CRAFT”. L’impianto è progettato per accelerare lo sviluppo di tutte le numerose tecnologie ausiliarie necessarie per immettere l’energia da fusione sulla rete e creare la base di una catena di approvvigionamento per la fusione.