Versi e racconti della Settimana

Arte, Cultura & Società

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Siamo entusiasti della nostra rubrica, “Versi e Racconti della Settimana“, dedicata a celebrare i talenti letterari emergenti. In collaborazione con l’Associazione Nazionale Italiana nel Mondo, offriamo uno spazio unico per chi ama scrivere e desidera condividere la propria voce.

Ogni venerdì, presentiamo nuove poesie,  racconti e estratti che ispirano e fanno riflettere. Che tu sia uno studente, un insegnante, un autore emergente o semplicemente un appassionato di parole, ti invitiamo a partecipare! Invia i tuoi testi a redazione @corrierepl. it e potresti essere uno dei protagonisti della nostra rubrica.

Non perdere l’opportunità di far sentire la tua voce! Ogni settimana selezioneremo i contributi più originali e interessanti per metterli in evidenza nella nostra sezione “Arte, Cultura & Società”.

Unisciti a noi e contribuisci a arricchire il panorama letterario!

L’obiettivo? Promuovere  la scrittura e dare spazio a nuovi talenti, sia a livello nazionale sia internazionale.

Non perdere quest’ opportunità!

Hai scritto qualcosa?

Invia i tuoi testi a redazione@corrierepl.it entro il mercoledì di ogni settimana! Insieme, con le nostre parole, possiamo fare la differenza.

 #ScriviConNoi #FaiLaDifferenza

Nel numero di questa settimana, abbiamo il piacere di presentare i contributi giunti in redazione:

Poesia:

Natale

Ogni  giorno dovrebbe essere Natale

Perché Natale è

Rinascita, gioia, speranza.

Natale è l’affetto delle persone

Accanto a te;

E’ assenza di chi non

C’è più ma è sempre una

Parte di te.

Natale è un abbraccio forte

Che ti scalda il cuore.

E’ il sorriso che trovi

Nello sguardo altrui,

Vogliamoci bene ogni giorno

Apprezziamo le piccole gioie

Perché sono le più grandi.

Maria Antonietta Caracciolo

 

Natale

Maria d’azzurro cielo

Annunci al mondo intero

Che nasce dal tuo ventre

Un bimbo bello e biondo

Che salverà il mondo.

In Lui potrai contare

Ogni affanno Gli potrai donare.

Sarai amato e capito

Giammai sarai tradito.

Sarà il tuo caro amico.

Non disperare mai

A Lui ti puoi affidare!

E tu ammalato

Tu emarginato

Drogato

Tu fanciullo violentato

Tu bambino mai nato…

Tu sarai il più bell’angelo

Del Creato.

Maria d’azzurro cielo

Annunci al mondo intero

Che nasce dal tuo ventre

Un bimbo bello e biondo

Che salverà il mondo.

Maria Mollo

 

A DDU TE CERCU, SIGNORE (vernacolo salentino)

Signore, iou nu te cercu ntra le fastosità te li palazzi, te le ville o li castelli…

Nu te cercu ntra li lussi te le rrobbe, ntra li sordi o li gioielli…

Nu te cercu ntra li piaceri te la taula, ntra lu squariu, le cirimonie,

ntra le medaglie o ntra la vanagloria, tantumenu te cercu ntra la storia…

Nu te cercu mancu ntra lu presepiu, sutta a l’arviru ddumatu,

ntra le luci, l’addobbi né ntra li rricali te le Pasche e li Natali…

Te cercu, casomai, ntra l’ amore, ntra la semplicità, l’onore e l’ onestà…

Te cercu ntra le stelle, ntra lu calore potente te lu sule

o ntra quiddru cchiú tiepidu te la luna,

ntra l’azzurru te lu mare e ntra tutte le cose belle…

Te cercu ntra lu core te le mamme,

intra a l’ uecchi vispi te li vecchi,

ntra ci pe’ nn’amicu se mina ntra le fiamme….

E poi, te cercu ntra le lacrime e lu tulore,

li sogni e le speranze  te tanta brava gente ca campa felice puru ca nu tene nnu simente…

Ma, cchiúi te tuttu, te cercu quandu sbagliu,

ntra l’errori mei te peccatore,

ca sulamente Ssignuria me puèti pirdunare…

A quai, te cercu, Signore: percè, a quai, iou sacciu, pe’ certu, ca te ttrou!

 

Traduzione:

DOVE TI CERCO, SIGNORE

Signore, io non ti cerco nelle fastosità dei palazzi, delle ville o dei castelli…

Non ti cerco nel lusso delle cose, nei soldi o nei gioielli…

Non ti cerco nei piaceri della tavola, nello sfarzo, nelle cerimonie, nelle medaglie o nella vanagloria, tantomeno ti cerco nella storia…

Non ti cerco nemmeno nel presepe, sotto l’albero illuminato, nelle luci, negli addobbi né nei regali di Pasqua e Natale…

Ti cerco, piuttosto, nell’amore, nella semplicità, nell’onore e nell’onestà…

Ti cerco tra le stelle, nel calore potente del sole o in quello più tenue della luna, nell’azzurro del mare e in tutte le cose belle…

Ti cerco nel cuore delle madri, negli occhi vispi degli anziani, in chi, per un amico, si getta tra le fiamme…

E poi, ti cerco nelle lacrime e nel dolore, nei sogni e nelle speranze di tanta brava gente che vive felice anche senza possedere nulla…

Ma, più di tutto, ti cerco quando sbaglio, nei miei errori di peccatore, perché solo Tu, Signore, puoi perdonarmi…

Ecco, ti cerco, Signore: perché, ecco, io so, per certo, che ti trovo!

 

Giuseppe D’Anna   

 

“Il Fluire del Fato”

Ho inseguito venti capricciosi,
urlando contro il cielo muto,
Ho combattuto ombre senza volto,
danze di spade contro il nulla,                                                                                                                         E ogni passo a svuotarmidentro,
come sabbia che il mar dissolve.                                                                                                               Poi, il silenzio,

ad ascoltar il tempo,
ad accogliere il soffio della vita,                                                                                                                     a capire il senso delle cose                                                                                                                              e a lasciar fluire come il fato vuole.

Ora so che la vita scorre,
non si conquista, non si trattiene.
È un fiume che abbraccia e trascina,
un respiro che non chiede permesso.

Non c’è saggezza nell’ostinarsi,
ma nell’aprirsi allo scorrere,
come la terra accoglie la pioggia,
come le stelle accettano la notte.

E così, il mio cuore si fa culla,
di attese dolci e sereni sguardi,
abbracciando ogni ombra che fugge,
ogni luce che il ciel dipinge.

Perché il vivere è un’arte sottile,
un filo tessuto tra gioia e dolore,
un’eco che vibra, si perde, ritorna,
un canto che sfiora l’eternità.

Non temo più i giorni che fuggono,
né il buio che copre le stelle.
Ogni istante è un dono segreto,
ogni attimo pulsa di vita immortale.

E così danzo nel grande mistero,
come foglia che segue il respiro del vento.
Non chiedo più, non stringo, non lotto,
mi affido al fluire del vasto infinito.

Perché nulla è perduto davvero,
nemmeno ciò che il fato mi nega.
Tutto torna in un cerchio perfetto,
tutto vive in un ritmo silente.

Lucia Santucci

 

Versi per un Mondo Nuovo

Nella quiete delle montagne silenti,

Tra le braccia degli ulivi antichi,

Nasce un sospiro, un soffio di vita,

Un canto leggero che tutto consola.

Una voce sussurra: “È tempo di pace,”

Per chi dorme sotto cieli di fuoco,

Per chi piange, affamato e stanco,

Per i figli della terra dimenticata.

Fermate il passo pesante della guerra,

Lasciate cadere le armi insanguinate.

Lasciate che mani gentili sfiorino la terra,

Che il mondo si specchi nella luce ritrovata.

Un mondo di speranza sorge all’alba,

Tra il pianto di chi nasce e sorride al futuro.

Piccole voci chiamano il domani,

E dicono ai potenti: “Basta terrore, basta dolore.”

Non c’è oro che valga un gesto d’amore,

Non c’è ricchezza che compri la gioia.

Là dove regna la fame e il freddo,

Costruiamo un rifugio di parole sincere.

Nasce la speranza, fragile e luminosa,

Come un bambino che guarda il mondo.

Nasce per i poveri, i senza voce,

Perché ogni uomo sia parte di un sogno.

Tendete la mano a chi resta indietro,

Spianate le vie per nuovi cammini.

Ogni parola può essere un seme,

Ogni pensiero può farsi giardino.

Sarà la pace il canto di domani,

Sarà la speranza la luce nei cuori,

E il mondo, pur stanco e diviso,

Ritroverà la strada degli uomini giusti.

Per un mondo senza più confini,

Per i figli che verranno domani,

Fermate il tempo della paura,

Lasciate nascere un mondo di pace.

@ La poesia è dedicata alla mia amata poetessa

Roberta Alberti .

Questa poesia nasce dal cuore,

Un dono di parole, un soffio d’amore.

Tra ombre e luci, sorge la speranza,

Dedicata a te, Roberta, voce senza distanza.

Nelle tue parole, ritrovo la quiete,

Un canto profondo che il mondo promette.

La tua poesia, come un fiore che sboccia,

Illumina il buio con la sua dolce traccia.

“Questa è la mia offerta, il mio richiamo sincero,

Per un Natale di pace, per un mondo più vero.

 

Poesia di Babul Aktar

 

Clicca il seguente Link per accedere al contenuto  di M.Latorre video,voce  Domenico Tota

 

Https://youtube.com/watch?V=Pd02NcBTw-g&feature=shared

 

 

Una tazza di caffè, un libro, degli occhiali e una penna su un tavolo

Angolo di paradiso per scrivere

      Racconti:

Continuano a vivere nei miei ricordi.

Mio nonno era un uomo che non poteva passare inosservato nonostante il suo carattere pacifico e sereno. La sua figura era tonda e il capo, lucido a causa della calvizie, era sempre coperto da un cappello o da una coppola che lo rendevano inconfondibile. Abitualmente camminava per il paese con il passo lento di chi non ha fretta, ma vive ogni attimo. Dietro quell’aria a volte apparentemente dura, c’erano una generosità e un’umiltà disarmanti, che chiunque lo conoscesse non poteva non apprezzare.

La vista non era più quella di un tempo, da quando, anni prima, mentre lavorava nei campi, aveva subito un brutto incidente: un sarmento della vite sfuggì al suo controllo, colpendo l’occhio. Da quel giorno, il mondo gli appariva un po’ più sfocato, ma ciò non gli impedì mai di continuare a lavorare con la stessa dedizione, sia nei campi che nelle sue passioni. Dedicato completamente alle sue figlie, nonno era capace di alternare momenti di severità, più di facciata che di sostanza, a gesti di affetto e dolcezza.

Nonostante l’impegno con la famiglia e la comunità, trovava sempre il tempo per se stesso, e in particolare per la poesia, la sua grande passione. Da autodidatta, aveva iniziato a leggere e a scrivere versi, un po’ per caso, forse per sfuggire al ritmo quotidiano della vita in campagna. La poesia lo conquistò e lo portò a conoscere altri poeti, con cui instaurò legami profondi e sinceri. Pubblicò su riviste specializzate e ricevette riconoscimenti, vincendo premi che gli diedero non poche soddisfazioni. Era fiero di ciò, e lo mostrava apertamente.

Con dedizione si era dedicato alla comunità, anche nel ruolo di assessore ai lavori pubblici del nostro piccolo paese. In quella veste, era sempre in prima linea per migliorare la vita dei cittadini, spendendosi per i più bisognosi senza mai cercare di ottenere nulla in cambio. La sua generosità era silenziosa, ma potente.

Il suo impegno come presidente della sezione locale dell’associazione combattenti, per mantenere vivo il ricordo di chi aveva combattuto per la patria, gli permetteva di viaggiare, realizzando così un’altra sua grande passione.

Durante le ore di lavoro in campagna, era solito indossare abiti più semplici, ma per il resto del tempo, anche solo per una passeggiata, lo si vedeva sempre in giacca e cravatta il cui nodo faceva bella mostra dallo scollo a V dei suoi sottogiacca, una figura dall’eleganza semplice e composta che non si lamentava mai della fatica nonostante trasparisse sul suo viso.

Lo ricordo chiaramente seduto alla sua scrivania, proprio accanto all’ingresso di casa. Dietro di lui c’erano due scaffali stracolmi di libri: preziose raccolte di poesie, i suoi amati Reader’s Digest e le Selezioni che leggeva con una costanza quasi rituale, libri di storia e letteratura. Era lì, dietro quella scrivania, che trascorreva ore intere, battendo sui tasti della sua Olivetti Lettera 32, combattendo spesso con la carta carbone che non voleva saperne di funzionare a dovere. Scarabocchiava appunti nei suoi zibaldoni,  improvvisati con il lato non stampato dei fogli colorati pubblicitari lasciati sotto la porta d’ingresso di casa dal familiare ragazzo che li distribuiva. Ogni tanto, sollevava gli occhiali, che puntualmente scivolavano giù per il suo simpatico naso, e con un gesto rapido della mano li riportava al loro posto.

Poi arrivava il momento della cena. Mia nonna lo chiamava dalla cucina: “Angiulinu!È pronto!” E per mettergli fretta, aggiungeva sempre: “Lu piattu stae a ntaula.” E lui, senza alzare subito la testa, continuava a scrivere, come se volesse terminare quel pensiero che non voleva lasciar fuggire. Infine, si fermava, alzava lo sguardo e, con un misto di impazienza e affetto, gridava verso di lei: “Donna, figlia di Dio, sto arrivando!” Era il suo modo, sempre un po’ teatrale, di ricordarle che, nonostante tutto, i suoi versi non potevano mai superare l’importanza di un pasto caldo condiviso con chi amava.

Mio nonno era un uomo che sapeva bilanciare tutte le parti della sua vita con una serenità disarmante, e la sua eredità, fatta di poesie, dedizione alla famiglia , vive ancora negli angoli della mia anima.

Mia nonna è stata una donna di rara forza e grande dedizione, una figura silenziosa, vero unico riferimento nella vita della sua famiglia. Minuta nel corpo, ma immensamente forte nello spirito, riusciva a incarnare fermezza e dolcezza allo stesso tempo, governando la casa con mano invisibile, dietro le quinte di tutto ciò che accadeva dentro e fuori la nostra famiglia, e comunque sempre presente. Era attenta ai bisogni degli altri, in particolare del suo uomo, che rispettava e proteggeva nei gesti e nelle parole, nonostante i divertenti battibecchi che li distingueva.

Le sue mani, pur segnate dall’artrosi, erano strumenti di cura e sostegno. Era la guaritrice  e la “aggiusta ossa” del paese, metteva questa sua capacità innata al servizio dei bambini e degli adulti, senza mai chiedere nulla in cambio, perché così le era stato tramandato. Quelle mani erano capaci di guarire e riportare ordine nei corpi e nell’anima di chi soffriva. Cosimina, come la chiamavano, non si tirava mai indietro di fronte alle necessità degli altri. Quelle stesse mani lavoravano i campi duramente, lavavano i panni, nella sua pila di pietra, con l’acqua gelida dell’inverno, erano capaci di afferrare i tizzoni ardenti ammucchiandoli sotto la pignatta di terracotta dei legumi posta sul treppiede di ferro, pronta per il fuoco del caminetto.

Ricordo con affetto le giornate passate insieme a lei in campagna, vestita con il suo grembiule a due tasche, dove riponeva la chiave della porta di casa, avvolta nel fazzoletto bianco candido che annodava con i pizzi dei quattro angoli, e il suo coltello per raccogliere la cicoria selvatica. Con i capelli raccolti e avvolti in fazzoletti dalle diverse fantasie, mi insegnava a “nzurfare”  le nostre viti, a tagliare i frutti maturi da sotto i ceppi e a togliere le pampane superflue intorno ai grappoli ancora verdi per permettere al sole di portare a maturazione l’uva. Quei momenti, pieni di semplicità, sono nel mio cuore da allora.

Scorrono chiare nella mia memoria le immagini dei suoi pranzi delle feste, apparecchiati sul grande tavolo, posizionato appositamente nella stanza più spaziosa, con il caratteristico soffitto a volta a stella salentina, pronto ad accogliere le famiglie delle sue due amate figlie. I suoi cannelloni, cotti al camino, avevano un sapore delicatamente affumicato e inconfondibile. Seduta all’angolo del tavolo più vicino alla cucina, per non disturbare quando si alzava per prendere le portate successive, era accanto al posto di capotavola di mio nonno. Da lì, poteva anche controllarlo nelle sue abbuffate festive, versandogli sempre meno vino di quanto ne chiedesse e diluendolo, a sua insaputa, con acqua.

Risuonano nelle mie orecchie le risate di noi nipoti, e sorrido al ricordo delle sfide a chi mangiava più cannelloni. Mi riempie il naso il ricordo del profumo della carne arrostita al camino alla perfezione da mio zio. Rivedo le figure di mia madre e mia zia che, come operose formiche, erano in continuo movimento per accontentare tutti noi. Ricordo anche le abbuffate di frutta secca mista, acquistata alla bancarella domenicale, sempre nello stesso posto sul piazzale antistante la scuola elementare dall’aspetto imponente, tipico delle costruzioni del passato, ma allo stesso tempo dolce e accogliente, incorniciata da alte palme e cespugli della vegetazione salentina.

Era mia nonna che, dopo una gomitata ben assestata al braccio di nonno, per ricordargli che era giunto il momento dei regali, estraeva il suo borsellino con la chiusura clic-clac e iniziava a distribuire, a seconda dell’età, i diversi tagli di banconote ai nipoti, per terminare poi con il “regalone”alle due figlie. E poi c’era la scena finale, vista e rivista nel corso degli anni, che mio nonno recitava sempre nello stesso modo e con gli stessi gesti lenti. Come un attore navigato, con pause teatrali: tirava fuori dalla tasca interna della giacca il libretto degli assegni per staccarne due e li regalava alle sue figlie, alle famiglie delle due sue figlie.

Anche nella vecchiaia, curva e provata dal tempo, ormai senza il nonno che la punzecchiasse e battibeccasse, e malata, non smetteva di dedicarsi con amore alle figlie e ai nipoti. Il suo spirito di sacrificio si è manifestato fino alla sua fine, quando ha atteso, nella sofferenza, con pazienza, il ritorno di quel nipote lontano per potergli dare l’addio, con la stessa silenziosa forza con cui ha vissuto. Era una donna che ha sempre posto il bene degli altri sopra ogni cosa, una presenza insostituibile che ha lasciato un segno indelebile nel mio cuore e nelle vite di coloro che le stavano accanto.

A voi, miei amati nonni.

Joseph Zurlo

 

Tutte le opere citate e gli estratti presenti in questo articolo sono stati forniti direttamente dagli autori, che hanno autorizzato personalmente la loro pubblicazione.

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Ti aspettiamo nel prossimo numero con nuovi racconti e poesie.

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