Sanità : non solo risorse ma riforma del ruolo del medico di base

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Una delle emergenze italiane è sicuramente la questione sanitaria. Al di là della querelle governo opposizione lo scorso anno, lo Stato ha speso per la sanità 137,9 miliardi di euro.

Nella legge di bilancio di questo anno i miliardi diventano 142,9 e nel 2026 saranno 149,4 miliardi, nel 2027  152,2. Dal 2000 i miliardi di euro sono sempre cresciuti, ma messa in termini assoluti la spesa sanitaria non ci dice la verità sui conti sia perché non si considera l’inflazione e sia perché, il gettito fiscale dipende dall’andamento del PIL, considerato che la base imponibile delle imposte (non tutte) dipende dal reddito di chi paga le tasse e anche dai consumi.

Nel 2019 la spesa sanitaria era al 6,4% del PIL, nel 2020 al 7,3% PIL (causa COVID), 6,3% PIL nel 2024 e 6,4% nel 2026 e 2027. Questo valore è uguale, a quello del centrosinistra nel 2019. Se facciamo il paragone con gli Stati UE, ne esce fuori un disastro.

Germania 2023, 10% PIL, Spagna 7,2%, Francia 10%, Regno Unito 8,9%.

Non è solo questione di risorse, ma anche di riforme sulle quali l’interferenza lobbistica dei sindacati dei medici è rilevante.

L’architrave su cui si regge il Servizio Sanitario Nazionale è il medico di base dal quale deve passare ogni paziente. Questa figura del SSN prescrive, autorizza, invia dallo specialista.

IL Principio di assunzione di responsabilità dovrebbe caratterizzare ogni figura del SSN, ma alcune volte la tendenza è quella di trasferire, a figure professionali diverse determinazioni che sono proprie.

L’ambulatorio del medico di base è aperto 5 ore settimanale se i pazienti sono inferiore, a 500 e quindici ore se il numero arriva a 1500. Nel 90% dei casi si esce dall’ambulatorio con, in mano una prescrizione e raramente si è sottoposti a visita.

Si entra nelle liste di attesa per visite e se si vuole accorciare i tempi esiste una unica soluzione, pagarsi la visita.

Una riforma che ripensasse il medico di base dotandolo di una strumentazione idonea, per effettuare specifici esami (elettrocardiografo, ecografo) nell’ambulatorio eviterebbe ingolfamenti degli ospedali e ridurrebbe le liste di attese.

IL valore di mercato di visite ed esami a pagamento ammonta, a 40 miliardi di euro.

Sarebbe un contributo notevole per decongestionare i pronto soccorso (PS). Questi 40 miliardi secondo il sindacato dei medici dovrebbero essere un ulteriore guadagno per i medici di famiglia, e non una scelta per assistere meglio i paziente attraverso il SSNIL.

Necessità non più rinviabile quella di abbattere gli ingressi nei PS, se solo si pensa, che secondo i dati 2023 dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari regionali su 18,5 milioni di accessi al PS il 67% erano codici bianchi e verdi. Nell’88% dei casi non seguiva un ricovero.

IL potenziamento della medicina territoriale avrebbe positive ricadute sulla spesa sanitaria. E sulle tasche del cittadino.

IL medico di famiglia è un professionista convenzionato con il SSN e i servizi, che eroga sono il risultato di accordi collettivi firmati dai sindacati dei medici. Ogni prestazione aggiuntiva deve essere retribuita e, per questo esistono gli Accordi Integrativi regionali.

Lo stipendio del medico di base, variabile in relazione alla regione dove risiede ha una componente fissa denominata quota capitaria pari alla somma di 3,51 euro, per paziente con un massimo di 1500 pazienti elevabili in zone critiche a 1800. Un extra di 2,59 euro per pazienti over 75 e 1,57 euro, per pazienti con meno di 14 anni. 

In aggiunta le indennità di prestazione per vaccinazioni, rimozione punti e medicazioni.

IL reddito medio ammonta a 102 mila euro. In Trentino e Veneto si superano i 120 mila euro.

IL medico di base dopo la laurea deve frequentare un corso di formazione, in medicina generale della durata di tre anni. IL programma formativo post laurea è, in mano alle regioni.

Stranezza italica i docenti, che fanno formazione sono spesso dirigenti dei sindacati dei medici (FIMMG e SNAMI).

IL programma di formazione in medicina generale, in Germania dura 5 anni e prevede tre anni di tirocinio in ospedale, di cui due nei reparti di Medicina interna e in aggiunta a rotazione in chirurgia generale, pediatria, ginecologia. I restanti due anni sono specifici, per la medicina generale e con presenza negli ambulatori dei medici di famiglia esperti.

In Spagna dura 4 anni.

L’Italia è un caso a se ! Corso post laurea di 1600 ore di teoria e 3200 di pratica presso ospedali e ambulatori medici di famiglia. Programma italiano di formazione vetusto e mai aggiornato tanto, che non insegna all’uso di strumenti di primo livello (elettrocardiografi, spirometri etc). Sono retribuiti con 966 euro lordi al mese diversamente dagli specializzandi ospedalieri, che prendono 26 mila euro l’anno e senza IRPEF.

Una riforma seria dovrebbe riguardare proprio la medicina di base caratterizzata oggi da numerosi conflitti di interesse, che attraversano il sindacato e la formazione.

Alla vigilia della fuoriuscita di 12.600 medici di famiglia su un totale di 40.000 ci sono le condizioni tutte, per l’intervento riformatore serio che guarda alla tutela e salvaguardia di un bene come la salute, tra l’altro oggetto di tutela costituzionale.

Si stima che tra lo scorso anno e il 2030, entreranno negli ambulatori 10.714 nuovi medici.

La prima cosa da fare è incentivare i giovani laureandi, a diventare medici di famiglia.

Intervenire su incentivi e sul numero dei posti nei corsi di formazione di medicina generale. Andrebbe inoltre fatta una indagine, per verificare quanti ambulatori di medicina generale hanno utilizzato i 235 milioni di euro della legge di bilancio 2020, per acquistare gli strumenti per gli esami di primo livello (sarebbe una manna per decongestionare ospedali e far risparmiare il cittadino, che prima di essere un paziente è un contribuente !). La quantità di risorse usata ? Zero evidenziando lo scontro tra medici anziani che mostrano resistenza alla formazione, per l’uso di questi strumenti e i giovani medici.

IL PNRR ha stanziato 7 miliardi di euro da usare in 5 anni, per modificare il modello di sanità. Di questi due miliardi da investire nel  pronto soccorso e il resto,  per la  costruzione di 1350 case di Case della Comunità (una ogni 50 mila abitanti), da ultimare entro il 2026.

Le Case sono pubbliche strutture che riuniscono  medici di famiglia, pediatri, ostetrici, infermieri, un assistente sociale e dotate di macchinari, per diagnosi e  prelievi.

Infine un team multidisciplinare per offrire assistenza dalle 8 alle 20. IL governo attuale a causa di incremento dei costi ha ridotto il numero di case di comunità di 312 unità.

Un tentativo di riforma radicale era stato approntato dal governo Conte e continuato dal governo Draghi, ma ne parleremo in un prossimo articolo.

IL dato inconfutabile è che urge la riforma delle funzioni del medico di base, lotta alle lobby di settore e ripresa della Politica Sanitaria Nazionale con ruolo da protagonista

One Reply to “Sanità : non solo risorse ma riforma del ruolo del medico di base”

  1. Umberto Palazzo ha detto:

    Anni fa si parlava di Ospedali di Comunità, poi di Case della Salute… altro flop e ora di Case di Comunità…staremo a vedere se si riesce a scalfire almeno la formazione e l’accesso alla medicina di base gestita da Società Scientifiche e Sindacati con dirigenza incollata alle poltrone da trent’anni

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