“Arbeit macht frei” (Il lavoro rende liberi), era il motto posto all’ingresso di numerosi lager prima e durante la seconda guerra mondiale. E Vincenzo Apicella, l’amico Enzo, sempre schierato contro la prepotenza dei potenti e a favore delle vittime della prepotenza dei potenti, fece scandalo con una sua vignetta che rappresentava il muro israeliano al confine con i territori palestinesi e un cancello identico a quello del campo di sterminio d’Auschwitz: al posto del motto nazista, stava la scritta “La fame rende liberi”. Fu accusato di antisemitismo, ma Apicella non era antisemita, come non lo sono oggi tutti coloro che giustamente deplorano le nefandezze degli israeliani verso il popolo palestinese.
E adesso? Adesso che “sul futuro di Gaza pesano 42 milioni di tonnellate di macerie, undici volte la Grande piramide di Giza. I tempi necessari a rimuoverle: 14 anni. I costi: 280 milioni di dollari ogni 10 milioni di tonnellate. A Gaza sono stati cancellati quasi 200mila edifici. Rimuovere quel che ne resta, significa scavare nell’orrore: sotto, non c’è solo terra, ci sono cadaveri. Ci sono anche ordigni inesplosi” (Chiara Cruciati sul Manifesto), che cosa starà disegnando nell’aldilà l’amico Enzo?
Renato Pierri