Siamo entusiasti della nostra rubrica, “Versi e Racconti della Settimana”, dedicata a celebrare i talenti letterari emergenti. In collaborazione con l’Associazione Nazionale Italiana nel Mondo, offriamo uno spazio unico per chi ama scrivere e desidera condividere la propria voce.
Ogni venerdì, presentiamo nuove poesie, racconti e estratti che ispirano e fanno riflettere. Che tu sia uno studente, un insegnante, un autore emergente o semplicemente un appassionato di parole, ti invitiamo a partecipare! Invia i tuoi testi a redazione https://www.corrierepl.it/e potresti essere uno dei protagonisti della nostra rubrica.
Non perdere l’opportunità di far sentire la tua voce! Ogni settimana selezioneremo i contributi più originali e interessanti per metterli in evidenza nella nostra sezione “Arte, Cultura & Società”.
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L’obiettivo? Promuovere la scrittura e dare spazio a nuovi talenti, sia a livello nazionale sia internazionale.
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Invia i tuoi testi a redazione https://www.corrierepl.it/entro il mercoledì di ogni settimana! Insieme, con le nostre parole, possiamo fare la differenza.
#ScriviConNoi #FaiLaDifferenza
Nel numero di questa settimana, abbiamo il piacere di presentare i contributi giunti in redazione:

Angolo di paradiso per scrivere
Durante gli ultimi due anni di liceo, dopo il mio trasferimento dalla vecchia scuola, quando la campanella suonava per l’ultima volta, ci dirigevamo ordinatamente verso il portone d’uscita, parlando a bassa voce. I miei compagni sparivano in un attimo: chi correva verso l’auto del padre, chi verso il fidanzato, chi si infilava in qualche vicolo, mentre altri raggiungevano la madre che attendeva pazientemente al bordo della strada. Io, con lo zaino in spalla, mi avviavo verso l’uscita del paese, pronto a percorrere la dozzina di chilometri che mi separavano da casa
Attraversavo stradine strette tra case tinteggiate, alcune dai colori tenui, altre più accesi, seguendo un percorso scandito dai punti di riferimento che avevo costruito nella mia mente nel corso dei mesi. Mi orientavo tra le viuzze, alcune lastricate di pietra bianca, lucide e consumate dal tempo, come se seguissi una mappa invisibile ormai impressa nella mia memoria. La solitudine mi accompagnava, come un’amica, consolandomi profondamente dal senso di inadeguatezza che provavo ad ogni istante trascorso in quell’aula.
Di tanto in tanto, mi capitava di camminare fianco a fianco con il mio professore di greco e latino. Era un uomo d’altri tempi, dall’aria distinta, sempre ben pettinato, con capelli bianchi e grigi. Con me non era di molte parole, ma quelle poche erano dense di storie e immagini che affondavano nel passato del suo paese e delle nostre terre. Mentre procedevamo con passo lento, attraversando brevi tratti di luce piena e ombra proiettata dalle case più alte, mi raccontava di antichi inverni, di campi inondati e di stagioni difficili, quando l’acqua de “li patuli” del mio paese scendeva fino al suo, gonfiando i fossi di campagna, trasformando le strade in ruscelli e i campi in acquitrini. Ci teneva a sottolineare, scherzosamente, i pregi del suo paese e i difetti del mio. Il suo racconto era insieme straordinario e semplice, e mentre lo ascoltavo, mi sembrava di camminare non solo accanto a lui, ma anche accanto a un passato che si prolungava fino a quel presente.
Provavo per lui un rispetto che mi ammutoliva. A scuola mi incuteva un certo timore, con il suo sguardo capace di essere severo e la voce ferma. Eppure, fuori dalle aule, quel rigore lasciava spazio a una profonda umanità. Era quasi una sorta di antico mentore, qualcuno da cui avrei voluto assorbire tutto: le storie, il modo di guardare il mondo, la saggezza. Tuttavia, ogni volta mi sentivo incapace di parlare, trattenuto da un misto di soggezione, imbarazzo e ammirazione, quella reverenza che si prova verso chi, anche solo con la propria presenza, ci insegna qualcosa.
Dopo aver camminato insieme per qualche minuto, lui svoltava in una strada laterale, salutandomi con un lieve cenno del capo, e io proseguivo, consapevole che il mio cammino era ancora lungo.
Uscito dall’ombra delle case, il sole del dopo mezzogiorno mi investiva, e mi ritrovavo a marciare sotto una luce calda che mi ravvivava l’animo e mi donava serenità. Davanti a me si apriva l’incrocio di vie che sapevo mi avrebbe condotto, una volta superato, sulla strada vecchia che univa i due paesi, fiancheggiata da ulivi, viti e campi, un paesaggio che conoscevo a memoria, ma che ogni giorno sembrava offrirmi qualche nuovo particolare. Era una compagnia fatta di cielo e terra.
Le foglie d’ulivo, mosse dal leggero vento di scirocco che soffiava dalle mie spalle, brillavano di riflessi argentati. Ciuffi di fiori bianchi e gialli spiccavano tra il verde intenso dell’erba selvatica, il cui profumo fresco si mescolava all’odore dell’asfalto caldo. I filari paralleli di vite si snodavano perpendicolari ai bordi della strada, carichi di pampini verdi e di frutti ancora acerbi. In quella distesa di verde, la terra rossa emergeva qua e là, interrotta solo dal rosso vivace dei papaveri di campo che sbucavano tra i filari. Questi piccoli dettagli rendevano quel panorama tanto familiare quanto unico.
Mentre camminavo, quel silenzio, amplificato solo dal suono delicato del vento, si mescolava alle parole del mio professore e ai suoi racconti. Ogni passo mi avvicinava a casa, mentre recuperavo il contatto con me stesso e con i miei pensieri, spesso confusi da tante speranze. La strada solitaria era animata di tanto in tanto dal rumore scoppiettante di un autocarro che riportava il contadino alla sua famiglia dopo una giornata di duro lavoro nei campi. Incrociandomi, il contadino mi sorrideva, come a sottolineare il mio coraggio nell’incamminarmi lungo quel percorso, e mi salutava con un cenno del capo e della mano, che interpretavo come l’augurio di raggiungere la mia meta e di godere del successo di quell’impresa. Poi tutto tornava silenzioso, lasciando il palcoscenico alle melodie dei grilli, al gracchiare di qualche “mita” ferma sui rami degli antichi fichi, cresciuti accanto alle colonne di tufo dalle sfumature grigie disegnate dagli anni, che segnano l’ingresso e delimitano i poderi, e al canto delicato di altri uccelli. In lontananza, nei tratti di terra coperti solo dall’erba alta e verde, si intravedevano le vecchie masserie o i resti di ciò che ne rimaneva, ormai abbandonati da tempo e immersi nella luce bianca, splendente e accecante del sole.
A metà percorso, in lontananza, sulla destra, poco oltre il ciglio della strada, scorgevo i dodici pini allineati, alti, con le chiome a ombrello che proiettavano sul mio cammino la loro lunga ombra ristoratrice. Sulla sinistra, più avanti, si trovava la chiesetta di campagna di San Francesco da Paola, il cui uscio, con una porticciola di ferro, ospitava un cero rosso acceso e un mazzolino di fiori di campo, solitamente secchi. Erano segnali che annunciavano la vicinanza al mio paese.
Di tanto in tanto, un bagliore accecante si rifletteva sul parabrezza di qualche auto di passaggio, fino a quando, tra i riflessi che mi costringevano a strizzare gli occhi, riuscivo a distinguere il colore arancione, sbiadito dal tempo, della vecchia auto di mia madre. Dopo aver atteso il mio arrivo con pazienza e un pizzico di ansia, era a volte mia sorella, altre volte mia madre, a venire a prendermi. Ormai erano certe che non ero riuscito a ottenere un passaggio da qualche paesano di ritorno dai paesi vicini, che, riconoscendomi, mi avrebbe accompagnato all’ingresso del paese.
Nelle occasioni in cui accadeva, durante quei tragitti, entrato in auto, dopo aver timidamente salutato e ringraziato, mi perdevo nel silenzio, avvolto dalla calda sensazione di casa che mi aspettava.
Quando finalmente arrivavo, trovavo un semplice pasto che, a causa del mio ritardo, consumavo spesso da solo. Durante il pranzo raccontavo qualcosa della mattinata, prima di ritirarmi nella mia stanzetta per prepararmi ad affrontare i compiti scolastici del giorno successivo, barcamenandomi tra vocabolari e libri ricevuti in prestito o acquistati usati.
Quel cammino era diventato un rito quotidiano, un momento in cui il mondo mi parlava silenziosamente. Quei dodici chilometri erano molto più di una semplice strada per tornare a casa, erano un ponte tra l’adolescente che ero e qualcosa di nuovo che sentivo crescere dentro di me, passo dopo passo.
Ancora oggi, ogni volta che torno al mio paese, ripercorro quella strada, alla ricerca di quella solitudine che mi connette con me stesso, capace di placare la mia inquietudine e di ristorare il mio animo.
Joseph Zurlo
Ancora mani
Sono stata zingara, girovaga
in cerca di mani da scaldare
in cerca d’amore da scavare
nei tendoni d’un circo di vita.
Sono stata saltimbanco e trapezista
a sorvolare aria spezzata e trincee
di diffidenza.
E l’incontro con le tue mani
m’ha svelato la fiducia che ripaga
e disseta e poi scalda dall’inverno
del cuore.
Carezzar leggero e poi suadente
a segnar l’inizio di nuova speranza
ormai chimera.
Le retrovie si dilatano
sotto ai lampioni grondanti
a incanalare rifugio
nelle braccia tue, un ombrello
al ripar dell’odio e del niente
che oggi ci consuma.
Le tue mani ancora, a stringer
la mia paura, voglio sentire…
E ancora e poi ancora
accarezza la fame di vita
sdrucita… e sbriciolata
ai passeri infreddoliti.
Voglio ancora l’incanto
delle mani che mi sacrificano
a un’altra estate, e il calore
che torna a respirarmi dentro.
Francesca Patitucci
LA TERRA CERCA
Oggi, più di prima, in
questo mondo indifferente,
la Terra cerca una mano amica,
per un domani senza guerra
e filo spinato che la ferisce
solo di miserie e morte.
In questa passione comune,
la Terra cerca una carezza
dagli uomini che la calpestano,
per un futuro nuovo
senza più ruggini e gelosie
che la consumano.
Oggi, più di prima, in
questo spreco di parole,
la Terra cerca una veste nuova
fatta di fiori e giardini, di canti,
balli e sospiri alla luna:
perché la Terra è madre
e chiede solo amore, solo pace!
Giuseppe D’Anna
Per non dimenticare
L’inizio di una guerra è come aprire la porta su una stanza buia.
Non si sa mai cosa possa essere nascosto nel buio.
Hitler arrivò in Italia con gran parte dell’establishment nazista per una visita ufficiale di una settimana ma, quando tornò in Germania, i destini dei due dittatori erano oramai indissolubilmente segnati.
Eugenio aveva sposato la politica: era un attivo e convinto antifascista; non aveva paura a manifestare le sue idee politiche e non di rado veniva picchiato a manganellate dalle ronde naziste.
A volte lo arrestavano.
Squadre di fascisti, a ogni ora del giorno e della notte, perquisivano la nostra casa.
Fu durante un’incursione notturna che persi il nostro quarto figlio.
Regnava il caos.
Intanto erano state emanate le leggi razziali e il raptus sterminatore non risparmiava neanche donne e bambini…
Maria Mollo
Vagabonda
Confusa se ne va
L’anima mia
cercando
una luce dopo l’ombra
un punto d’unione
dopo la frattura.
Sbandando tra le tortuose vie
e le deserte calli,
dei rumori noti
al suono delle voci
anela
alla tiepida ambra di luci antiche
ed al conforto di ritrovi amati.
Ma smarrita vaga
nel magma sconnesso
di apparenti precipizi
Nel buio vacilla
Finché si aggrappa a una stella
A un filo d’argento
Ad un sospiro lieve
Ed ecco brilla
Vibra tra le nubi ed
il silenzio
Ritrova la sua strada
e lì il mio passo stanco
si riposa
in un sussurro di quiete
senza tempo.
Elisabetta Fioritti
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