Una Danza di Cariatidi nella Comodità del Riformismo

Politica

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Nel Partito Democratico si riapre la vecchia questione del “centro” e della necessità di un rinnovamento che appare solo una rielaborazione di conflitti irrisolti: riformismo o disgregazione?  I recenti convegni dei cattolici democratici e di Libertà Eguale sollevano la questione dell’identità del Partito Democratico, tra la sua vocazione maggioritaria e il disorientamento strategico che ne fa una “danza di cariatidi” incapace di affrontare i nodi politici urgenti.


Il 2025 sembra essere un anno di bilanci per il Partito Democratico, ma anche di spifferi e inquietudini. Nei giorni scorsi, Milano e Orvieto hanno ospitato due convegni che, pur apparentemente distanti per tema e intenzioni, sono riusciti a mettere in luce una stessa e antica debolezza del PD: l’incapacità di dare una forma concreta alla sua identità politica. Parliamo di una “danza di cariatidi nella comfort zone del riformismo” che, sebbene evocativa, suona più come un atto di autocompiacimento che come un impulso verso il cambiamento.

Nel contesto del partito più grande della sinistra italiana, il dibattito sembra ormai gravemente sclerotizzato, come se le sue varie correnti fossero destinate a perpetuare la stessa condizione di immobilismo. Da un lato, l’area cattolica democratica ha lamentato la marginalizzazione del suo spazio nel partito, suggerendo che, alla lunga, potrebbe essere meglio resuscitare una Margherita 2.0, il che suona più come una reazione nostalgica che come una soluzione pragmatica. Dall’altro, la componente riformista di Libertà Eguale, pur esprimendo una certa insofferenza, ha scelto di restare nell’alveo del PD, forse in attesa che la marea di incertezze generi finalmente un’occasione di rifondazione.

La domanda che sorge spontanea è: quale futuro per un partito che sembra incapace di rispondere in modo efficace alla domanda cruciale della sua epoca? Le alternative proposte, ovvero un ritorno a una forma di “centro” più definito o la creazione di un soggetto autonomo ma alleato, non sono che escamotage da circo politico, incapaci di affrontare la realtà di una sinistra che deve ricostruire un’identità, non solo una coalizione.

La leadership di Elly Schlein sembra essere la più critica di tutte, non tanto per la sua capacità di mediazione, quanto per la sua incapacità di rompere il circolo vizioso che affligge il partito. Con i convegni dei cattolici e dei riformisti, la leader ha risposto a un’emergenza di dibattito che non è solo interna ma di tutta la sinistra, che, come in un gioco di specchi, riflette le sue divisioni in attesa di un miracolo che non arriva mai. La mancanza di “vitalità” invocata dalla Schlein appare quindi un paradosso: la vitalità non è nei convegni, ma nella capacità di essere un partito di proposta. E questa, al momento, è una qualità che il PD ha smarrito.

Non si può non sottolineare, in tutta questa vicenda, un altro nodo fondamentale: la questione dell’Europa. La sinistra italiana sembra soffrire di una crisi esistenziale legata alla sua posizione nei confronti del continente e delle sue sfide future. La “Margherita 2.0” è un riflesso di questa impotenza strategica: un riformismo che in realtà non sa più da che parte andare. Il dibattito europeo, come quello interno al PD, appare frammentato e svuotato di contenuti, come un’accozzaglia di interessi più che una vera forza di cambiamento.

Eppure, nonostante le apparenze, è proprio la “danza delle cariatidi” a rivelare la profondità della crisi che attraversa il partito. Le forze che sembrano ancora dentro il PD, eppure fuori dalla realtà, sembrano volerci raccontare che il riformismo è ancora possibile, ma si dimenticano che il riformismo ha bisogno di un’anima, non di una pletora di vecchie glorie che si spartiscono il potere senza risolvere i nodi politici e sociali di un’Italia che cambia velocemente.

Non possiamo accontentarci di un partito che si rifugia nel passato e nel suo stesso storicismo. La questione non è più se il PD debba essere riformista, ma se riesca a essere ancora un soggetto politico. I convegni non sono che un vano tentativo di mantenere una visibilità, mentre il PD ha bisogno di un cambio radicale di paradigma. La vera battaglia politica sarà quella di capire se il partito potrà mai davvero rinascere o se finirà per diventare la versione moderna di un cadavere politico in attesa di una sepoltura dignitosa.

 

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