Intervista in esclusiva al Prof. Filiberto Palumbo sulla riforma del CSM

Fisco, Giustizia & Previdenza

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Il nostro direttore, Antonio Peragine, ha intevistato il Prof Avv. Filiberto Palumbo, in merito alla riforma del CSM.  

Chi è il Prof. Avv. Filiberto Palumbo: nato ad Andria,  già professore aggregato presso l’università degli Studi di Bari; avvocato penalista dal 1975, cassazionista dal 1989, con diversi incatichi universitari in diritto penale e Diritto penitenziario,
professore incaricato di Diritto penale dell’economia presso l’Università degli Studi di Bari; professore aggregato, incaricato di Diritto penale amministrativo; professore aggregato, incaricato di Diritto penale del lavoro; docente di Procedura penale nella Scuola di specializzazione per le professioni legali presso l’Università di Bari.
Incarichi ministeriali: due volte componente della Commissione ministeriale di riforma del Codice penale (Comm. Nordio e Pisapia); due volte componente della Commissione di esami per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato cassazionista; componente della Commissione ministeriale sul mandato europeo di arresto.

Incarichi forensi: più volte consigliere dell’Ordine degli avvocati di Bari e componente del direttivo della Camera penale di Bari; per quattro anni componente della Giunta dell’Unione delle Camere penali italiane sotto la presidenza del prof. Avv. Giuseppe Frigo; per quattro anni presidente della Camera penale di Bari; già presidente della I° Sottocommissione per gli esami di avvocato nell’anno 2005, istituita presso la Corte di Appello di Bari. Attualmente componente del Comitato scientifico della Scuola di alta formazione presso l’Unione camere penali italiane.
Dal 2010 al 2014, Componente del Consiglio superiore della magistratura. Presidente della terza Commissione e della nona Commissione, quest’ultima all’epoca competente alla formazione e all’aggiornamento professionale dei magistrati. Presidente del secondo collegio della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura.

                                                                                    CSM

DOMANDA: Cosa pensa della riforma in itinere, che tende a separare le carriere dei Magistrati? 

Risposta. Credo che sia giunto il tempo di procedere alla separazione delle carriere. Oggi c’è una maggioranza politica che è stata, da più parti, investita del problema di rivedere l’assetto complessivo della Magistratura.

In tale prospettiva – è bene chiarirlo – la riforma, per come annunciata, non persegue il fine di ridurre un potere dello Stato per accrescere il valore degli altri poteri. Qui si tratta di ristabilire un equilibrio costituzionale che, per tante ragioni, è venuto meno.

Noi penalisti, da sempre, auspichiamo la separazione delle carriere, perché si pone nella necessità del rispetto di principi costituzionali che, sinora, sono restati privi di un effettivo contenuto.

La riforma dell’art. 111 della Costituzione, siamo nel lontano 1999, introdusse importanti novità. Fu costituzionalizzato l’impegno del Legislatore a dettare la normativa necessaria per imporre che ogni processo debba svolgersi “… in condizioni di parità davanti a un giudice terzo e imparziale”. Nel rispetto di questo principio, bisognerà assicurare la parità delle parti nell’ambito di ciascun tipo di processo e tanto si porrà nella prospettiva di rafforzare, anche formalmente, la terzietà del giudice e la sua imparzialità.

Nel rispetto dell’invocata norma costituzionale, tale impegno non si renderà possibile finché i magistrati inquirenti e quelli giudicanti resteranno inquadrati nella medesima carriera professionale. Come sappiamo, il pubblico ministero è destinato a diventare “parte” nel processo; e una “parte”, per quanto pubblica, deve necessariamente distinguersi da chi esercita il ruolo di giudice.

Ben venga dunque la riforma, anche se è del tutto prevedibile che questa manifesterà i suoi effetti solo dopo molti anni di rodaggio. Ma se non si parte, si rimane fermi nel medesimo stato di complessiva irragionevolezza del sistema processuale. 

DOMANDA: Lei, in qualità di ex componente del Consiglio superiore della Magistratura e anche della sua Sezione disciplinare, come vede l’istituzione dell’Alta Corte che dovrà occuparsi dei procedimenti disciplinari a carico dei Magistrati? 

Risposta. La previsione dell’istituzione dell’Alta Corte mi sembra utile per superare possibili situazioni di incompatibilità tra chi gestisce l’organizzazione della Magistratura e chi decide sul piano disciplinare. Chi si è già occupato di valutare la professionalità dei magistrati, la loro carriera, la loro l’indipendenza, la loro incompatibilità ambientale, non potrà anche valutare la presenza di eventuali illeciti disciplinari. Il riferimento è soprattutto a quelle violazioni della legge disciplinare, che attengono a fatti già valutati ai fini della carriera del magistrato.

Ecco, sul punto, non potrà che esserci piena condivisione. D’altra parte, una diversa soluzione continuerebbe a consentire l’incompatibilità tra funzione amministrativa e funzione giurisdizionale all’interno del medesimo potere dello Stato. Il giudice della disciplina dovrà necessariamente essere diverso da chi, nell’esercizio del potere amministrativo, si è occupato o si occupa della carriera dei magistrati.

Ben venga, dunque, l’individuazione di un organo terzo, al quale attribuire esclusivamente la materia disciplinare. 

DOMANDA. “Quella di allargare numericamente la componente riservata ai Laici potrebbe costituire una soluzione valida per limitare l’incidenza delle c.d. correnti all’interno del C.S.M.? 

Risposta: Credo di no. Questo tema è stato più volte oggetto di riflessione e di accurato dibattito.

Io credo che aumentare il numero dei laici in seno al C.S.M. finisca per snaturare il suo ruolo di rilievo costituzionale. La scelta di prevedere la partecipazione alla vita del Csm di una qualificata componente laica è la conseguenza della volontà di rendere il Parlamento partecipe al governo della Magistratura. I componenti laici, in questa loro delicata funzione, assicurano un ruolo di equilibrio e di garanzia all’interno di quell’organo collegiale. Il problema è che, come in più occasioni ho evidenziato, sono cambiati i tempi rispetto ai quali i Costituenti pensarono alla composizione del Csm, intravedendo la prospettiva di formare una struttura verticistica della Magistratura, capace di assicurarle l’indipendenza, senza però creare intorno ad essa una condizione di isolamento.

I laici conservano la loro precisa funzione di collegamento tra Parlamento e Magistratura, nel cui ambito essi riversano, oltre che la loro professionalità, anche le esigenze rappresentate dalla Politica. Ma questo deve conservare un suo preciso limite, oltre il quale la Magistratura verrebbe a essere eccessivamente condizionata dal potere politico. Tale condizione si porrebbe, a mio avviso, in netta violazione della sua indipendenza.

Contrariamente a quanto previsto in origine dai Costituenti, la Politica è di fatto entrata nella Magistratura. Molti magistrati, così come è naturale che accada, sono organizzati in “correnti” che, per forza di cose, presentano decise assonanze con le varie ideologie politiche che alimentano il dibattito all’interno del Parlamento.

Tanto finisce inesorabilmente per condizionare l’attività all’interno dell’organo di governo autonomo della Magistratura, laddove quest’ultima deve conservare la sua indipendenza da ogni altro potere.

Non si può negare che anche i componenti laici risentano della loro vicinanza al potere politico che li ha scelti. Il problema sta nel fatto che, alle scelte “politiche” dei laici, si sommano quelle in qualche modo derivanti dalle diverse “sensibilità culturali dei togati”. Il risultato, così come è naturale, affievolisce l’indipendenza del Consiglio. 

DOMANDA “Che pensa del sorteggio, che la riforma prevede nella dichiarata prospettiva di ridurre il potere delle “correnti”.  

Risposta: Entriamo, dunque, nel campo della modifica al sistema elettorale dei componenti dell’Organo di governo autonomo della Magistratura.

Ho sostenuto di non credere che un incremento della componente laica possa trovare consensi. Infatti, non sarebbe risolutivo e, comunque, finirebbe per incidere sugli originari equilibri costituzionali.

Ferma restando questa convinzione e rispondendo alla Sua domanda, dico subito che imporre il sorteggio quale metodo di scelta dei componenti del C.S.M. non mi sembra una buona idea. Non elimina, infatti, il problema cui si vuole porre rimedio. D’altra parte, il sorteggio non assicura la scelta migliore, laddove il lavoro all’interno del Consiglio impone la massima qualità professionale dei suoi componenti. E poi sembra assai complicato individuare un catalogo di candidati che siano tutti ugualmente capaci di assicurare il medesimo impegno e la massima professionalità. Ciò valga tanto con riferimento ai togati, tanto con riferimento ai laici. Peraltro, imporre il sorteggio dei laici finirebbe per limitare il ruolo del Parlamento; così come anche imporre il sorteggio dei togati ridurrebbe il dibattito, all’interno della Magistratura, finalizzato alla scelta dei migliori. È necessario, dunque, che tutti i componenti del CSM continuino a essere “eletti” e non sorteggiati.

Verità è che non siamo pronti per una riforma così innovativa, che comporterà conseguenze non ancora prevedibili. In definitiva, alla ricerca di una migliore soluzione, occorre continuare nel confronto dialettico tra tutti gli interessati al miglior funzionamento della giurisdizione; un confronto che, sinora, non ha generato soluzioni condivise.

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