La Serbia sta vivendo un momento storico di straordinaria importanza,poco pubblicizzato dai media, guidato da una generazione di giovani che ha deciso di dire “basta” a un sistema corrotto e clientelare. Tutto è iniziato con una tragedia – il crollo di una pensilina ferroviaria a Novi Sad che ha causato 15 vittime – ma si è trasformato in qualcosa di più grande: un movimento di protesta che sta scuotendo le fondamenta del potere.
Gli studenti serbi hanno mostrato una determinazione impressionante: 62 facoltà su 80 bloccate, manifestazioni con 100.000 persone, marce chilometriche tra Belgrado e Novi Sad. Non si sono fatti intimorire dalle accuse di essere “anti-stato” o “pagati dall’estero”, né dalla repressione violenta. Il loro messaggio è chiaro: vogliono un cambiamento radicale del sistema, non solo superficiali dimissioni.
Questo movimento fa riflettere sulla situazione italiana, dove spesso i giovani vengono descritti come apatici e disinteressati alla politica. Eppure, anche nel nostro paese non mancano segnali di risveglio: dalle manifestazioni per il clima ai movimenti studenteschi per il diritto allo studio, passando per le proteste contro il caro-affitti. La differenza sta forse nella capacità di fare massa critica e nella persistenza dell’azione.
In Serbia, gli studenti sono riusciti a catalizzare il malcontento di diverse categorie sociali: agricoltori, avvocati, lavoratori. In Italia, invece, le proteste giovanili faticano spesso a trovare alleati tra le altre generazioni e categorie professionali. Il sistema clientelare italiano, sebbene diverso da quello serbo, presenta analoghe criticità: concorsi poco trasparenti, necessità di “conoscenze” per trovare lavoro, corruzione negli appalti pubblici.
Ciò che colpisce del movimento serbo è la sua capacità di resistenza e organizzazione. I giovani hanno creato una rete di supporto reciproco, hanno utilizzato metodi di protesta non violenti ma efficaci, come i 15 minuti di silenzio a Belgrado, e hanno saputo comunicare le loro ragioni nonostante l’ostilità dei media mainstream.
La lezione che emerge è potente: quando i giovani si organizzano e agiscono collettivamente, possono davvero cambiare il corso della storia. Il loro manifesto – “Il mondo e la democrazia rappresentativa stanno collassando. Il nostro futuro è a rischio” – risuona come un campanello d’allarme anche per l’Italia.
È tempo che anche i giovani italiani trovino la forza di trasformare la frustrazione in azione collettiva, superando l’individualismo e la rassegnazione. La Serbia dimostra che è possibile sfidare il potere costituito quando si ha il coraggio di unirsi e perseverare, nonostante le intimidazioni e gli ostacoli.
Il movimento serbo ci ricorda che la democrazia non è un dato acquisito, ma va difesa e rinnovata costantemente. E chi meglio dei giovani, con la loro energia e il loro idealismo, può guidare questo processo di rinnovamento? La sfida è aperta, anche per l’Italia.
In serbia gli studenti sfidano il potere e chiedono giustizia
Da mesi in serbia va in scena una protesta che potrebbe segnare un punto di svolta nella storia politica del paese. Tutto è iniziato,come detto innanzi,con un tragico incidente a Novi Sad, quando il 1° novembre 2024 il crollo di una pensilina ferroviaria ha causato la morte di quindici persone. Per molti cittadini, quell’evento non è stato un caso, ma l’ennesima dimostrazione della corruzione sistemica che permea il paese. Da lì, la rabbia è esplosa in una mobilitazione senza precedenti, guidata dagli studenti e sostenuta da sempre più categorie della società civile.
Il presidente Aleksandar Vucic governa la serbia dal 2017 e ha costruito un sistema di potere accentrato, basato su clientelismo e legami con aziende amiche del governo. secondo i critici, il crollo della pensilina è stato il simbolo di un paese dove l’interesse privato supera il bene pubblico e dove le infrastrutture vengono affidate a imprese senza adeguati controlli, spesso vicine al potere. La giustizia ha avviato un’indagine, accusando tredici persone tra cui funzionari statali e un ministro, ma per i manifestanti non è abbastanza.
Gli studenti sono stati i primi a ribellarsi e a dare vita a una protesta che ha paralizzato il paese. Sessantadue facoltà universitarie su ottanta sono state bloccate e le manifestazioni si sono allargate, attirando l’attenzione di migliaia di persone. la risposta del governo è stata repressiva: la polizia ha usato la forza, Ci sono stati episodi di violenza contro manifestanti pacifici e i media controllati dallo stato hanno cercato di screditare il movimento, accusandolo di essere manovrato dall’estero.
Ma la repressione non ha fermato la protesta, che anzi ha guadagnato nuove adesioni. Gli avvocati hanno smesso di lavorare, bloccando il sistema giudiziario, mentre gli agricoltori, storicamente vicini al partito di Vucic, hanno deciso di sostenere gli studenti fornendo loro cibo e protezione. I trattori hanno invaso le strade di Belgrado e Novi Sad, unendosi ai cortei. Il silenzio dei media di regime è stato spezzato dalla determinazione della gente comune, che ha trovato altri modi per far circolare le informazioni, soprattutto attraverso i social network.
Il 22 dicembre, 100.000 persone hanno riempito le strade di belgrado e hanno osservato quindici minuti di silenzio, un gesto carico di significato. Nel frattempo, centinaia di studenti hanno percorso a piedi i chilometri che separano belgrado da novi sad, trovando sostegno tra gli abitanti delle città e dei villaggi lungo il cammino. Questa mobilitazione senza precedenti ha portato alla caduta del primo ministro Milos Vucevic, ma i manifestanti non si sono fermati. non chiedono solo un cambio di governo, vogliono una trasformazione radicale del sistema, una vera rivoluzione contro la corruzione e l’ingiustizia.
Questo movimento ricorda altre rivolte studentesche del passato, come quelle che hanno segnato la storia dell’Italia negli anni ’60 e ’70.
Oggi, anche in italia si avverte un crescente malcontento tra i giovani, che spesso si sentono esclusi dai processi decisionali e traditi da una politica che non offre loro prospettive reali. La lotta degli studenti serbi diventa così un simbolo più ampio, che va oltre i confini nazionali e lancia un messaggio universale: la democrazia rappresentativa sta mostrando i suoi limiti, e le nuove generazioni non vogliono più rimanere a guardare.
Il manifesto degli studenti serbi è chiaro: il futuro è in pericolo e il cambiamento dipende dall’azione diretta. È un grido che potrebbe risuonare anche altrove, perché la lotta contro la corruzione e per una società più giusta non è solo un problema della serbia, ma una sfida che riguarda tutti.
Daniela Piesco
foto Wikipedia