Dietro un grande campione….  

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Dietro ad ogni cavallo che calca i campi di gara c’è un mondo quasi del tutto sommerso.

C’è innanzitutto il progetto di un sognatore appassionato, che ha lavorato per anni per trovare un incrocio, che ha saputo leggere nei propri cavalli tutte le caratteristiche fisiche ma anche e soprattutto mentali per cercare un DNA ideale.

Dietro ad ogni cavallo c’è una mamma (la fattrice), un papà (lo stallone) e un allevatore. Quest’ultimo confida nelle proprie competenze, acquisite in anni di sacrifici, studio e selezione, e anche in quella buona dose di fortuna che possa consegnare agli sport equestri un futuro atleta a cinque cerchi.

Tenendo presente che un cavallo in media raggiunge i vertici intorno ai 12 anni, è interessante capire come ci si arrivi, o ci si dovrebbe arrivare.

Ogni cavallo, a prescindere dalla razza, dal sesso, dalla genealogia e anche dal colore, è un individuo, unico ed irripetibile. Gli stessi cloni, riconosciuti in alcuni paesi possono essere simili, quasi identici, ma mai una copia esatta.

Alla crescita del puledro, che resterà tale fino ai 6 anni, concorrono una miriade di fattori: l’educazione della madre, l’alimentazione, le esperienze nel branco e, di vitale importanza, è il tipo di rapporto che instaura con l’umano. Nel vero senso della parola.

Tutto inizia dal primo incontro con l’uomo, che avviene quasi sempre appena nato o nelle ore immediatamente successive e ciò che farà la differenza non sarà solo il tipo di approccio che avremo, ma anche e soprattutto il suo carattere.

Ci saranno una serie infinita di prime volte: la prima capezza, la prima alzata di piedi, il primo vaccino, la prima brusca. E come con i cuccioli d’uomo, tutte queste prime volte devono essere l’esperienza più spassosa di sempre, ricca di ascolto e osservazione, di empatia e di pazienza. Di amore.

Poi ci sarà il primo van, la prima trasferta e il primo incontro con il mondo esterno, se sarà tra quei cavalli che parteciperanno alle rassegne dedicate al libro genealogico (stud book) di appartenenza; ci saranno i primi approcci al lavoro e la prima sella, i primi salti e soprattutto il primo umano sulla groppa.

Questo lungo processo che parte dalla nascita fino ai 3/4 anni è fondamentale per avere cavalli sani, disponibili, fiduciosi, sereni e ben educati.

Ma non è finita qui, il bello deve ancora venire.

Ad un certo punto, tra i quattro e i cinque anni, questo puledro inizierà la sua carriera, nella disciplina scelta per lui o meglio ancora, se fortunato, per la quale manifesterà maggiore inclinazione e talento innato, rispettando appunto la sua attitudine.

A volte si pensa che basti scegliere un puledro nato da due cavalli da salto ostacoli, ad esempio, con figli, fratelli o sorelle che sono già impegnati ad alto livello, per avere un futuro roseo nella stessa disciplina.

Ebbene, spesso la natura, e più spesso ancora il cavallo, ci rende bugiardi, o vorrebbe farlo.

Non basta la genetica, non basta quello specifico DNA: il lavoro di un giovane cavallo, che mi piace paragonare al lavoro fondamentale dei maestri della scuola primaria per i nostri figli, non è un percorso lineare, basato solo su tecnica e competenze, bensì un cammino fatto di osservazione e capacità di ascolto. Il cavallo, non è un mezzo per fare sport, come una racchetta o un paio di sci: il cavallo è vivo ed è dotato di intelletto, emozioni (tantissime), timori, pregi e difetti, che nella sua purezza d’animo non conoscono filtri o menzogne. Il cavallo a modo suo ci parla, e la capacità di saperlo capire nasce sicuramente dall’esperienza ma anche e soprattutto dalla sensibilità di quella persona che lo addestrerà e poi allenerà.

Un cavallo giovane va accolto nella sua individualità, compreso nelle sue difficoltà sia fisiche che psichiche, aiutandolo a superarle dando tempo e con un grande rispetto. Bisogna sempre ricordarsi che la sua natura di predato lo rende timoroso, incline più alla fuga che all’attacco; bisogna rammentarsi sempre che è il cavallo che ci concede di salirgli in groppa, perché con tutti i suoi quintali non avrebbe problemi a sbarazzarsi di noi velocemente; bisogna imparare a riconoscere che eventuali problemi in sella nascono sempre da un difetto di comunicazione che la quasi totalità delle volte abbiamo creato noi cavalieri.

L’equitazione è un’arte sopraffina che dipende tra le altre cose, soprattutto da come quel cavallo che ci consentirà di praticare questo sport, a qualsiasi livello, è stato cresciuto, addestrato ed allenato. Gran parte delle difficoltà che incontreremo saranno riconducibili infatti alle necessità di quel cavallo che gli sono state negate, spesso per incuria, durante la sua crescita. Crescita, che come per gli umani, comprende diverse fasi e che non per tutti avvengono con le stesse tempistiche.

In pochi arriveranno a competere ad altissimi livelli in tutte le discipline equestri, in pochissimi esaudiranno il sogno Olimpico, la maggior parte saranno cavalli per gli amatori, gli allievi e i nostri figli. Un cavallo ben addestrato, rispettato nel corpo e nella mente, aspettato nei suoi tempi e nella sua natura, in poche parole sereno, sarà il miglior compagno di sport e di vita per tutti.

 

Martina Merli

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