“Scuola di Umanizzazione”, promossa dal Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri, per imparare l’empatia

Lettere al Direttore

Di

Riceviamo e pubblichiamo

Gentile Direttore,

ho letto con grande interesse il contributo di Alberto Scanni (2 febbraio), relativo alla fondazione di una “Scuola di Umanizzazione”, promossa dal Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri, per imparare l’empatia.

Mi permetto un commento, attraverso un’inevitabile semplificazione.

Studi recenti (Singer & Klimecki, 2014) hanno confermato che l’empatia, intesa come il vivere l’esperienza emotiva dell’altro come se fosse propria, può generare una risposta avversiva, determinata dalla volontà di ritirarsi da una situazione sgradevole, in una sorta di autodifesa: il disagio empatico spinge alla fuga.

Se provare empatia può essere controproducente, la compassione, invece, è un sentimento di scrupolosa premura per un’altra persona, di cura attenta e sollecita, unita alla motivazione ad aiutarla: è un potente antidoto a un’eccessiva condivisione delle emozioni e al disagio empatico, una risorsa personale -e son solo-, capace di favorire comportamenti prosociali e maggiori livelli di benessere individuale.

Lo ha dimostrato il neuroimaging: quando le persone provano compassione verso gli altri attivano aree cerebrali coinvolte nella ricompensa dopaminergica e nei processi affiliativi legati all’ossitocina e aumentano le emozioni positive, in risposta a situazioni avverse.

Non a caso, quando un Fratello o una Sorella della Misericordia finisce il proprio servizio, saluta l’assistito dicendo “Dio te ne renda merito”, ringraziando, cioè, per aver avuto la possibilità di rendersi utile e di aver ricevuto gratificazione dall’aver aiutato.

In secondo luogo, è vero che l’insegnamento universitario usa tanti quiz e lezioni frontali, ma non è vero che non si insegna “ad essere umani verso i malati”.

Questo è il compito delle cosiddette Medical Humanities, che, se vengono concepite come un accessorio compensativo alle scienze dure hanno poco senso, ma, se vengono applicate come strumento trasversale nei sei anni della formazione medico-chirurgica, acquistano una valenza formativa straordinaria.

Questo è quanto abbiamo costruito presso la Scuola di Scienze della Salute Umana dell’Università di Firenze (ex facoltà di Medicina e Chirurgia) la Prof. Linda Vignozzi, Presidente del Corso di laurea in Medicina e Chirurgia, e la sottoscritta, Professore ordinario di Storia della Medicina e Medical Humanities.

Tutti gli Studenti, dal I al VI anno frequentano attività altre, che li allenino ad essere medici: oltre alle attività formative professionalizzanti, che li vedono impegnati in piccoli gruppi per imparare varie tecniche di intervento di crescente complessità, ogni anno partecipano ad attività che stimolano le soft skills.

Al primo anno, imparano a rispondere adeguatamente alle richieste telefoniche dei pazienti, insieme a tutor dedicati; si abituano al team work; leggono opere di Letteratura classica che parlano di malati, medici, malattie. Non sono testi scientifici, ma voci di malati di altri tempi ed altri luoghi: la lettura insegna a saper ascoltare e Pirandello, Verga, Terzani, Marquez…sono ottimi Maestri.

Al secondo anno, vengono formati alla “postura palliativa” e all’esame dei bisogni multidimensionali in situazioni difficili.

Al terzo anno, proiezione del film “Un medico un uomo”, che affronta il dilemma citato da Alberto Scanni: meglio un chirurgo tecnicamente eccellente ma non umano o un chirurgo “normale”, ma compassionevole? Nel film, il protagonista sceglie la seconda opzione. Il film viene visto in aula e discusso grazie a un medico, esperto cinefilo (Dr. Roberto Comi): è un metodo formativo di «medicina narrativa», che promuove lo sviluppo di tecniche relazionali.

Al quarto anno, il teatro: gli Studenti assistono alla rappresentazione di Knock, ovvero il trionfo della medicina di Jules Romain, a cura della Compagnia delle Seggiole, e, divisi in piccoli gruppi, devono, nei giorni successivi, interpretare una scena sbagliata inserita ad hoc nel copione, individuando ed emendando gli errori comportamentali, filmandosi e condividendo poi i risultati coi Docenti e con gli altri Studenti

Quinto anno: la Medicina nelle Gallerie degli Uffizi. Divisi in piccoli gruppi, gli Studenti vengono accompagnati da uno storico e un medico per leggere i segni di eventuale malattia nelle opere d’arte. Nessuna pretesa di diagnosi perfetta, ma brain storming di fronte a un paziente virtuale, che non esprime i sintomi. Questo esercizio (Visual Thinking Strategy) allena l’occhio clinico e contribuisce alla riflessione sulla diagnosi differenziale.

Queste attività non si configurano come scelte degli Studenti, ma sono (faticosamente) inserite nel piano di studi: e gli Studenti rispondono con entusiasmo, partecipazione, impegno.

È vero, come scrive Scanni: è una goccia nel mare, ma come ha detto Madre Teresa di Calcutta, “l’oceano senza quella goccia sarebbe più piccolo”.

Donatella Lippi

Professore Ordinario di Storia della Medicina e Medical Humanities

Scuola di Scienze della Salute Umana, Università degli Studi di Firenze

foto Policlinico Gemelli

One Reply to ““Scuola di Umanizzazione”, promossa dal Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri, per imparare l’empatia”

  1. Maurizio Mannocci ha detto:

    … La terapia in medicina è riuscire a non sentirsi isolato / non compreso…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Traduci
Facebook
Twitter
Instagram
YouTube