Cosa porta a togliersi la vita?

Attualità & Cronaca

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Cosa spinge sempre più persone a decidere di strapparsi la vita di dosso. Quando è iniziato il loro viaggio verso la non vita?

Il viaggio non del singolo ma dell’umanità tutta. Il viaggio che porta alla colpa. Concentriamoci proprio su queste due parole: viaggio dalla parola latina ‘’viaticum’’ con il significato di ‘’provviste per il cammino’’ e colpa, sempre dal latino ‘’cello’’ quale spinta a mal fare, occasione di danno. Partendo da questi significati guardiamoci attorno e rendiamoci conto di come il mondo attuale non si impegni più nel fornire le giuste provviste per il cammino e l’uomo sia spinto a disperare piuttosto che a sperare, tendere cioè alla meta, e a sentirsi in colpa, quindi portato a fare il male.

Il problema oggi, permettetemi di dirlo, è soprattutto la meta. Essa, infatti, o è inarrivabile, talmente lontana da generare frustrazione e senso di inadeguatezza o è mutevole ed effimera, senza fondamento, e, una volta raggiunta, non soddisfa l’uomo che sposta l’asticella sempre più in là, diventando un perenne insoddisfatto. È sano avere desideri, scintille che ci indicano la direzione come le stelle ai naviganti, ma è altrettanto fondamentale comprendere e avere coscienza che non siamo noi a definire il termine, il fine ultimo.

foto di Donnarumma Giuliana

Oggi tutti fissano la propria meta, che poi c’è da discutere anche se sia davvero la propria o meno; dopo averla fissata iniziano il loro cammino avendo lo sguardo fisso unicamente su di essa e, qualsiasi cosa si frapponga tra loro e la meta, lo vivono come uno strappo, una lacerazione, un dolore profondo. Essendo diventato il dolore un tabù, il viandante-uomo non trova più rimedio ad esso tra le provviste che porta con sé nel viaggio.

Basti pensare che davanti ad una persona che soffre per una malattia terminale si pensa all’eutanasia o che, davanti alle prime difficoltà a lavoro lo si cambia senza alcuna affezione né senso di appartenenza o, ancora, che, in un rapporto di amore e amicizia la prima divergenza sostanziale si trasforma in motivo di distacco definitivo. Insomma, nel kit del viandante l’uomo ormai spera di trovare una pozione magica per il dolore piuttosto che armatura e armi per poterci passare attraverso e sopravvivere.

Dunque, quando la meta, tutta umana, è lontana e non si trova l’antidoto al dolore, che inevitabilmente irrompe nella vita di ognuno, si dispera, cioè non si tende più a nulla, ci si immobilizza. Certo nelle sabbie mobili l’unico modo per non sprofondare velocemente è restare immobili ma serve comunque qualcuno che arrivi a salvarci, che ci lanci una corda. Abbiamo bisogno degli altri che magari abbiano nel loro kit del viaggiatore un modo di uscire da quelle sabbie mobili del dolore. Necessario è anche un desiderio, di una strada verso le stelle, su cui tornare a camminare. Soprattutto abbiamo bisogno di una linea di fede che, come nella bussola, indichi sempre il punto fisso verso cui guardare. La prua è fissa e predeterminata, non la decide il comandante, egli ha desiderio di procedere la navigazione correttamente e si serve della bussola. Perde la rotta, corregge il tiro per ritrovarla: é tutto un gioco di squilibri e riequilibri. Se perdere la rotta portasse il comandante a terminare il viaggio allora nessuna nave o nessun aereo porterebbe più passeggeri a destinazione. È, in ultima istanza, la mancanza di una linea di fede, di un punto fisso che porta la vita a scegliere di non essere più?

https://www.raiplay.it/video/2020/07/Come-stanno-i-ragazzi-eae4564e-cc87-4588-8b72-c1bbef4e9d24.html

Vorrei tanto poterlo chiedere a te.

A te che all’età di 27 anni hai deciso di farla finita nel parcheggio dell’università dove ho studiato e dove ho sempre trovato qualcuno che mi desse una mano a superare quel senso di colpa che poteva venire da un esame non superato o da una scadenza non rispettata. Avrei voluto tanto che tu avessi incontrato i miei stessi compagni di viaggio che, tra un caffè e una sigaretta, hanno sempre buttato tutto in caciara e mi han fatto tornare la voglia di riprovarci ancora e ancora. Forse ne hai incontrati anche di migliori, ma questo non ti ha sanato le ferite e non ti ha dato il coraggio di parlare dei tuoi problemi con loro, forse perché la debolezza non è più un lusso di questi tempi. Forse hai parlato e sei stato anche aiutato ma il dolore e la disperazione ti hanno accecato gli occhi e il cuore.

Nel tuo zainetto hai cercato disperatamente un rimedio a tutto il male di vivere, a tutta quella colpa che ti opprimeva ma l’hai trovato vuoto oppure pieno di cose che ti ricordavano le tue mete inarrivabili. Io non ti conoscevo e in punta di piedi cerco di dare voce a te e a chi come te avrebbe voluto trovare in quel kit del viaggiatore una società che accoglie di più l’errore, lo sbaglio, il fallimento e un trampolino da cui lanciarti per poter affrontare nuove avventure. Purtroppo sulla tua strada non hai trovato che una balaustra di un parcheggio e ti sei lanciato giù col peso che portavi nel tuo zainetto.

http://www.progetto-radici.it

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